Il Vittoriano

A seguito dell'Unità d'Italia e in particolare sotto il regno di Umberto I di Savoia, nel periodo noto come "età umbertina", il nostro paese conobbe un intenso sviluppo architettonico per quanto riguarda i pubblici spazi urbani e le costruzioni di tipo celebrativo, di rappresentanza.
Il Monumento a Vittorio Emanuele II, noto come Vittoriano o Altare della Patria è sicuramente il più grandioso ed emblematico di essi, perfetta sintesi dell'unificazione nazionale.
Eppure questo maestoso complesso, un trionfale capolavoro scenico definito nel giorno dell'inaugurazione come un "marmoreo inno alla Patria" dal Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, è uno dei monumenti meno amati dagli italiani.

Vittorio Emanuele II in un ritratto di Tranquillo Cremona.

Vituperato per le sproporzionate dimensioni, per il candore del marmo che contrasta con gli edifici più antichi di Roma, paragonato a una torta nuziale o a una macchina da scrivere, il Vittoriano custodisce la nostra storia ricordandoci il passato, acquisendo ancor più valore una volta conclusa la Grande Guerra.
Il concorso per la costruzione fu bandito in seguito alla morte del primo re d'Italia, il "Padre della Patria", regnante il figlio Umberto, vedendone uscire vincitore, dopo alcuni anni, l'architetto Giuseppe Sacconi, che si occuperà anche della tomba del sovrano presso il Pantheon a seguito del regicidio avvenuto a Monza il 29 luglio del 1900.

Ritratto di Umberto I di Savoia, il "Re buono".

La conclusione dei lavori, cominciati nel 1885 con la posa della prima pietra da parte di re Umberto, coincise con il cinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, nell'anno 1911, quando al trono vi era Vittorio Emanuele III.
Il giovane stato italiano, che dal 1870 spostò a Roma la capitale, aveva finalmente il suo simbolo, teatro dei momenti celebrativi di maggiore importanza, volto a commemorare il suo primo monarca a cui doveva la libertà e la gloria futura.

Vittorio Emanuele III nel 1913.

Alla presenza del sovrano, di sua moglie Elena del Montenegro, della regina madre Margherita di Savoia e di Giolitti, il monumento venne inaugurato dinanzi ad una folla entusiasta. Di lì a poco in molti sarebbero stati chiamati alle armi e l'Altare della Patria divenne il luogo di sepoltura del Milite Ignoto, a simboleggiare tutti i caduti che avevano dato la vita nel primo conflitto mondiale.

Una fotografia scattata durante l'inaugurazione del 4 giugno 1911.

La tomba del soldato ignoto si trova in una cripta situata proprio sotto la colossale statua di Vittorio Emanuele II a cavallo, un luogo significativo, in quanto l'eroe si è sacrificato in nome della patria e degli ideali che la animano.
L'iscrizione sulla tomba recita: "Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria".
Il valore di tale sepoltura assume un carattere universale, ergendosi a sepolcro di tutti quei militari che avevano trovato la morte in battaglia, divenendo un luogo per ogni madre che aveva perso un figlio.
Fece scrivere Vittorio Emanuele III su un altro epitaffio: "Ignoto il nome - folgora il suo spirito - dovunque è l'Italia - con voce di pianto e d'orgoglio - dicono - innumeri madri: - è mio figlio".
La retorica delle parole non può cancellare però le condizioni proibitive e disumane nelle quali i soldati si trovarono a combattere.

Per fare spazio all'immane mole bianca del Vittoriano, a inizio secolo scomparvero alcune strade storiche della città eterna e i relativi quartieri, come per esempio via Macel de' Corvi, nella cui piazza omonima era situata l'ultima dimora di Michelangelo Buonarroti, che trascorse qui gran parte del suo lungo soggiorno romano. Nella stessa via abitò anche l'architetto Giulio Romano.

Veduta di piazza Macel de' Corvi in un'incisione settecentesca di Giuseppe Vasi.

Il progetto del Vittoriano prese ispirazione dai monumentali santuari ellenistici come l'Altare di Zeus a Pergamo e il Santuario della Fortuna Primigenia di Palestrina, i cui resti si trovano ancora oggi non lontano da Roma e che qui vediamo in una ricostruzione di Pietro da Cortona.

Il Vittoriano appare dunque come un'immensa agorà aperta ai cittadini, una piazza di smisurate proporzioni che si innalza su tre livelli collegati da scalinate.
Al centro le cinquanta tonnellate della bronzea statua equestre del primo re d'Italia risaltano sull'imponente sfondo del "sommoportico", un solenne corridoio costituito da sedici colonne corinzie di quindici metri d'altezza ispirate a quelle del Foro Romano, poco distante dal monumento. Sotto di esse si trova la terrazza delle città redente, con gli altari delle città "liberate" dall'Italia, vale a dire Trieste, Trento, Gorizia, Fiume, Pola, Zara: le prime tre sono ancora nei confini nazionali mentre le altre appartengono alla Croazia.
Alle due estremità del complesso si trovano i propilei, sporgenti rispetto alla struttura centrale e coronati entrambi da una Vittoria alata su una quadriga.

Durante il periodo fascista il Vittoriano divenne il palcoscenico della propaganda e delle principali celebrazioni, anche per la vicinanza con Palazzo Venezia, scelto da Benito Mussolini come sede del governo dal quale pronunciare i discorsi con cui arringava le folle.
Una delle manifestazioni maggiormente riuscite fu la consegna dell'Oro alla Patria nel dicembre del 1935, per sostenere le conquiste coloniali, quando i consensi per il fascismo erano altissimi. I primi a portare le fedi nuziali furono re Vittorio Emanuele III e la regina Elena, seguiti da autorevoli personaggi politici e della cultura di inizio secolo, molti dei quali non appoggiavano il regime, tra cui Gabriele d'Annunzio, che mandò addirittura una cassa d'oro, Luigi Pirandello, che donò la medaglia del Premio Nobel per la letteratura, il direttore del Corriere della Sera Luigi Albertini, ma anche Guglielmo Marconi e Benedetto Croce.

Tra le moltissime opere che adornano il Vittoriano vi è una scultura, in basso a destra rispetto alla statua di Vittorio Emanuele, che è sicuramente la più suggestiva e carica di emozione, intitolata Il Sacrificio e realizzata da Leonardo Bistolfi. Un soldato, che dal titolo capiamo aver perso la vita combattendo per la patria, ha desiderato e sognato sino agli ultimi istanti la libertà, la cui figura allegorica si china dolcemente su di lui per dargli un ultimo bacio. L'attimo prima dell'incontro tra le loro labbra è sospeso eternamente dallo scultore in un gesto che dispone alla commozione.

Con la caduta del regime fascista e la fine della Seconda guerra mondiale il Vittoriano conobbe un periodo di oblio, considerato dal popolo come un ingombrante testimone delle tragedie della prima metà del Novecento. Con lo scorrere del tempo fu riscoperto e rivalutato, tornando ad essere protagonista nei momenti più significativi per la nazione e la Repubblica.
Visita immancabile in un viaggio a Roma, città che affascina per il glorioso passato, il Vittoriano accoglie il visitatore ricordando la nascita dell'Italia, in un certo senso contenendo la storia del nostro paese dato che sotto di esso si trova il Museo del Risorgimento. Salire le sue scale è come riscoprire le proprie origini, accorgendosi che risalgono solamente a pochi anni fa, ed è soprattutto comprendere quanto di grande i nostri predecessori sono stati capaci di costruire.

Curiosità

Per rendersi conto delle dimensioni di quest'opera basta dire che poco prima dell'inaugurazione fu organizzato un pranzo all'interno del cavallo di bronzo per coloro che avevano contribuito alla realizzazione del progetto. Parteciparono una ventina di persone.

Note

La foto del Vittoriano in pieno giorno è stata scattata durante la mia visita a Roma nel giugno 2022.

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