Luigi Pirandello

... E dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili.

Il Novecento

L'inizio del XX secolo era fortemente caratterizzato dall'influsso dei tre grandi poeti a cavallo tra Ottocento e Novecento: Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli e Gabriele d'Annunzio.

Intanto a livello europeo esplosero le cosiddette avanguardie, movimenti artistici audaci e innovativi, in anticipo sui gusti, che volevano rompere definitivamente i ponti con le forme più tradizionali della letteratura. Il mondo stava cambiando; la società moderna imponeva di rivedere la concezione stessa di arte e letteratura, che, nel nuovo contesto politico e sociale, potevano mantenere un significato solo nel caso di un rinnovamento autentico e radicale. Per questo gli intellettuali delle avanguardie si distaccarono dalla tradizione proiettandosi nel futuro.
L'affermarsi della psicanalisi di Sigmund Freud dimostrò l'esistenza dell'irrazionalità e di zone nascoste nel profondo della psiche, influenzando notevolmente sia l'arte che la letteratura. Si affermarono così movimenti come l'Espressionismo, il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo.

Nel 1910 il critico Giuseppe Antonio Borgese, in un articolo sul quotidiano "La Stampa", fu il primo a parlare di "crepuscolarismo" per definire quella tendenza letteraria che costituiva, secondo lui, il tramonto, il crepuscolo appunto, della grande tradizione poetica italiana dell'Ottocento. Poeti come Gozzano, Corazzini, Moretti e Govoni, furono accomunati dal rifiuto polemico della retorica carducciana e del mondo estetizzante di d'Annunzio, sostituendo alla figura romantica del poeta-vate una nuova ironica semplicità e una poesia intimista. Essi rifiutano dunque qualsiasi tono eroico e sublime, oltre che ogni forma di impegno civile o sociale, ispirandosi, invece, al Pascoli della poetica del fanciullino. La metafora del crepuscolo voleva indicare una situazione di spegnimento, dove predominavano i toni tenui e smorzati, di quei poeti che non avevano emozioni particolari da cantare, se non la vaga malinconia, coscienti della crisi della poesia nel nuovo secolo. Tale metafora sta ad indicare la fine di un'ideale parabola della poesia italiana, che si spegne con l'arrivo della sera, dopo il mattino (Dante, Petrarca, Boccaccio), il mezzodì (Boiardo, Ariosto, Tasso), il primo meriggio (Goldoni, Parini, Alfieri) e il vespro (Foscolo, Manzoni, Leopardi).

I crepuscolari esprimono addirittura vergogna nell'essere poeti ed arrivano a rifiutare questo titolo, come scrive in questi struggenti versi Sergio Corazzini: "Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange".
Corazzini si abbandonò nella sua poetica al fragile destino umano; di salute cagionevole, morì a solo ventuno anni di tubercolosi. L'immagine del fanciullo condannato alla morte sembra essere anche quella del ruolo della poesia e del poeta nella società di massa.
Arrivò a dichiarare Guido Gozzano, il maggior rappresentante dei crepuscolari: "Io... mi vergogno d'essere un poeta!". Nella concezione ironica della sua poesia fa della letteratura il luogo nel quale esprimere l'inutilità della letteratura stessa. L'aureola poetica, già caduta a Charles Baudelaire nella caoticità delle strade parigine, è adesso irrimediabilmente perduta e il poeta non è che un uomo come tutti, anzi, ancor più malato e debole degli altri.

Uno dei movimenti d'avanguardia più importanti a livello europeo fu sicuramente il futurismo, basato sul totale rifiuto delle forme d'arte tradizionali, volto alla ricerca di un linguaggio adeguato alla nuova civiltà delle macchine e alla vitalità dell'epoca moderna. Il primo Manifesto del futurismo venne pubblicato nel 1909 da Filippo Tommaso Marinetti sulle pagine del quotidiano "Le Figaro" di Parigi e richiamava l'atto di fondazione di un movimento politico. I futuristi aspiravano dunque a modificare radicalmente la società in un'ottica antiborghese politicamente legata a forme di nazionalismo. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si schierarono infatti a favore dell'interventismo e Marinetti nel dopoguerra aderì al fascismo. Membro del movimento ma contrario alle idee politiche di Marinetti fu Aldo Palazzeschi, il quale espresse nella sua poetica la ricerca di un'identità, dovuta alla crisi del ruolo del poeta e alla sua collocazione sociale a inizio secolo. "Son forse un poeta? No, certo. [...] Chi sono? Il saltimbanco dell'anima mia". La poesia è per lui lo spazio del gioco e del riso in cui il poeta diviene un saltimbanco a causa del cambiare dei tempi e della società, che ormai non ha più nulla da domandare ai poeti. Al rifiuto e alla vergogna del ruolo di poeta incontrati in autori come Corazzini e Gozzano, si aggiunge ora un'immagine non meno triste, emarginata, celata dall'allegria e dalla spensieratezza, cioè quella del clown.

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
"follia".
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
"malinconia".
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
"nostalgia".
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.

Arlecchino - Pablo Picasso - 1917

Contrari alla posizione crepuscolare e a quella futurista furono i cosiddetti "vociani", cioè gli intellettuali che nel 1908 si riunirono intorno alla rivista fiorentina La Voce, fondata da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini. Sebbene pubblicò solo fino al 1916, è considerata una delle più importanti riviste culturali del Novecento. Tra i suoi collaboratori, lo scrittore Camillo Sbarbaro era ben consapevole che la condizione del poeta non era più quella del vate, ma quella degradata di un uomo qualunque, tuttavia rimane l'estrema possibilità di conoscere questa condizione. Per fare ciò il poeta dovrà guardarsi vivere dall'esterno, divenendo uno spettatore di sé. Egli si scopre così un "sonnambulo" che ha smarrito il senso della realtà mentre si aggira nel mondo in un vagabondaggio privo di senso. Il mondo è un deserto in cui al poeta non resta che osservarsi senza compassione, come un oggetto tra gli altri.
Anche Clemente Rebora, il maggiore tra i giovani poeti legati alla "Voce", espresse la sua visione dell'esistenza umana, utilizzando un'allegoria ferroviaria. Il viaggio della vita è come quello di un vagone merci, trascinato dalla locomotiva e incatenato tra gli altri convogli, alla ricerca di un significato che resterà senza risposta. Questa sua personale ricerca lo porterà ad avvicinarsi alla religione e a prendere i voti. Ordinato sacerdote, decise di distruggere tutti i suoi scritti e chiudersi nel completo isolamento, senza tuttavia mai smettere l'attività poetica.
Ben lontano dall'esperienza della "Voce" e dall'ambiente intellettuale fiorentino, ma tra i poeti più importanti di inizio secolo, Dino Campana divenne l'ultimo dei poeti "maledetti", soprattutto per la sua vita travagliata e leggendaria, vero idolo per alcuni suoi lettori moderni, ma anche "matto sul serio" secondo colleghi come Umberto Saba. A differenza di tanti contemporanei legati alle avanguardie, egli credette profondamente nella forza della poesia, nella sua capacità di esprimere ancora, in ogni tempo e in qualsiasi contesto sociale, significati e valori assoluti, universali. Questa visione alta e sublime della poesia venne ripresa dal Simbolismo francese e la sua vicenda paragonata a quella di Arthur Rimbaud.
Parallelamente a questi poeti si realizzano le due maggiori esperienze letterarie di livello europeo: la drammaturgia di Luigi Pirandello e la narrativa di Italo Svevo.
Gli anni '20 vedranno invece l'affermarsi di due grandi personalità: Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale.

La vita

Luigi Pirandello nacque a Girgenti, oggi Agrigento, nel 1867 e frequentò l'università a Palermo, seguendo sia i corsi di Giurisprudenza che di Lettere. Scelti gli studi umanistici si trasferì a Roma, ma in seguito a un contrasto con il professore di latino si laureò a Bonn, in Germania, con un tesi sul dialetto della sua terra natale. Qui lesse i grandi scrittori dell'Ottocento tedesco, tra cui Goethe, e la filosofia di Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche.
Pirandello fu autore di un'importante rivoluzione letteraria, soprattutto nel teatro. La sua poetica iniziò dal Naturalismo, corrente francese della seconda metà dell'Ottocento, i cui precursori furono Honoré de Balzac e Gustave Flaubert, quest'ultimo considerato il maestro del movimento, che vide in Émile Zola il massimo esponente. Il Verismo è considerato il corrispondente italiano del Naturalismo e prende il nome da Giovanni Verga. Insieme a Verga il principale teorico del Verismo fu Luigi Capuana, incontrato da Pirandello durante il periodo romano, figura decisiva per la formazione del giovane scrittore.
Il suo primo libro di poesie uscì nel 1889 col titolo di Mal giocondo e il secondo, Pasqua di Gea, due anni dopo. Nel 1892 fece ritorno a Roma dedicandosi alla scrittura letteraria e teatrale. Di questo periodo sono il romanzo L'esclusa, uscito solo nel 1901, e la sua prima raccolta di novelle, Amori senza amore, del 1894. Nello stesso anno sposò Maria Antonietta Portulano, in un matrimonio che gli venne imposto dal padre, donna dalle instabili condizioni di salute mentale. Nel 1903 un grave dissesto economico dissipò tutti i capitali della famiglia, provocando una grave crisi nervosa nella moglie. Fu un momento difficile per Pirandello e i suoi tre figli; lo scrittore fu così obbligato a dare lezioni private e costretto ad intensificare la collaborazione con i giornali, in particolare il Corriere della Sera.
In questo clima nacque il romanzo più celebre di Pirandello, Il fu Mattia Pascal, manifesto della nuova narrativa "umoristica", capace di appassionare varie fasce di lettori perché ricco di colpi di scena, ma anche complesso e filosofico.
Più avanti iniziò a rappresentare i suoi primi drammi teatrali; il suo è un teatro provocatorio, capace di di suscitare perplessità, critiche e opinioni contrastanti.
Intanto l'Italia è entrata in guerra e i due figli maschi sono al fronte. La moglie si aggrava e Pirandello è così costretto a ricoverarla in una clinica psichiatrica nonostante i sensi di colpa.
Nel 1921 venne rappresentata Sei personaggi in cerca d'autore; poco apprezzata in Italia, l'anno dopo entusiasma il pubblico di Londra e New York decretando il successo internazionale dell'autore.
L'anno successivo viene rappresentato anche l'Enrico IV; Pirandello decide intanto di riorganizzare tutta la sua produzione di novelle nella raccolta Novelle per un anno.
A livello politico l'evento di maggior rilievo di questi anni è l'ascesa del fascismo e la presa del potere da parte di Benito Mussolini. Pirandello si iscrisse in questo periodo al Partito fascista indirizzando una lettera a Mussolini per dargli tutto il suo appoggio.
Nel 1926 uscì il romanzo Uno, nessuno e centomila che si differenzia dal Fu Mattia Pascal per una conclusione decisamente ottimistica. Inizia così un decennio definito da alcuni critici "surrealista" in cui lo scrittore valuta positivamente l'elemento inconscio, ingenuo e istintivo dell'essere umano. Nonostante ciò la poetica di Pirandello sembra essere ben distante dal Surrealismo francese e dalle teorie di Freud, poste alla base di questo movimento, che egli non conosceva.
Negli anni successivi il legame tra Pirandello e il fascismo si raffredda, mentre il suo teatro continua ad avere un grande successo anche oltre i confini nazionali. Ciò gli valse il premio Nobel per la Letteratura nel dicembre del 1934. Due anni più tardi si spense a Roma a causa di una polmonite.

Le opere

Il fu Mattia Pascal è il romanzo manifesto della nuova narrativa “umoristica”, uscito nel 1904.

Cosa sia l’umorismo nella sua concezione, Pirandello lo spiega quattro anni più tardi in un saggio scritto in occasione di un concorso universitario.
Nei suoi romanzi e nelle sue novelle l’umorismo presenta alcuni caratteri fondamentali:

  • L'umorismo privilegia la discordanza, la disarmonia, il ridicolo, l'incongruente e il casuale per dimostrare che la vita non è riducibile a schemi precisi.
  • Le opere umoristiche sono aperte e inconcluse, proprio in quanto la vita “non conclude”.
  • La lingua dell’umorismo è quella quotidiana, l'unica capace di comunicare una concezione della vita che riguarda tutti e che può essere compresa da tutti.
  • Si basa su una riflessione filosofica critica e negativa in cui l'autore, in modo simile a Nietzsche, mostra l'inconsistenza dei valori tradizionali.
  • I protagonisti sono antieroi che si contraddicono cambiando spesso idee.
  • L'umorismo si differenzia dalle categorie classiche del comico, del tragico e dell'epico perché espressione tipica del moderno.
Una delle caratteristiche principali dell’umorismo è dunque la “riflessione”. Essa permette di passare dalla semplice percezione della stranezza, della disarmonia, alla comprensione di ciò che la origina. Pirandello chiama il primo momento “avvertimento del contrario” e il secondo “sentimento del contrario”.

Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico.

È quindi l’umorista a far riflettere gli spettatori su una situazione ridicola portandoli alla comprensione non solo razionale ma soprattutto emotiva ed empatica, partecipando alla sorte del soggetto di cui l’atteggiamento comico, semplicemente, spinge a ridere. Il comico è invece colui che ha il solo compito di far ridere il pubblico, divertendolo e intrattenendolo.

L’arte umoristica evidenzia il contrasto tra “forma” e “vita”. La forma è per Pirandello l’insieme delle leggi civili, delle regole sociali, degli ideali e delle credenze religiose e politiche che l’uomo si è costruito nel tempo per convincersi che la vita abbia un senso. Si tratta, però, come già aveva dimostrato un poeta come Giacomo Leopardi, di “illusioni”, perché la vita non può essere rinchiusa in una forma, in un ruolo stabile; essa è la massa oscura delle pulsioni vitali, la tendenza anarchica che spinge ciascuno di noi a violare le regole e uscire dagli schemi per sfogare la parte più profonda e irrazionale che ha in sé.

Legato al dualismo forma-vita è quello maschera-persona. Costretto a vivere nella forma sociale, il soggetto non è che una maschera, un personaggio che recita una parte nella “commedia” che la società esige da lui e che egli stesso si è autoimposto con i suoi ideali e valori. Una volta che ci è stata assegnata una maschera è impossibile liberarcene perché gli altri continuano a giudicarci in base alle aspettative che si sono creati. Per questo ogni tentativo di ribellione al ruolo sociale sarà dai più considerato un gesto folle.
"Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti".

Il fu Mattia Pascal

È il romanzo della svolta umoristica, uscito a puntate nel 1904. Narra la storia di un uomo che vince una fortuna al casinò, quando nel tornare a casa apprende dai giornali di essere morto. Il protagonista approfitta di quello che evidentemente è uno scambio di persona per girare l'Italia e la Germania sotto falso nome, per poi stabilirsi a Roma. Qui però si rende conto che la libertà di cui crede di godere è un'illusione: privo di identità anagrafica si ritrova solo senza poter avere nemmeno un cane a fargli compagnia, né comprare una casa, né denunciare il furto subito nella pensione in cui è ospite. Sfidato a duello da un violento pittore spagnolo per questioni amorose, decide infine di tornare ad essere Mattia Pascal fingendo un suicidio. Tornato al suo paese, scopre che la moglie ha sposato il suo migliore amico ed ha avuto una figlia da lui. Ciò basta a convincere Mattia di non riappropriarsi ufficialmente della propria identità, decidendo così di trascorrere il resto dei suoi giorni in una biblioteca, dove scrive le sue memorie in quella che è una triste conclusione.

Uno, nessuno e centomila

Iniziato nel 1909 e pubblicato solo nel 1926, è il romanzo più significativo di Pirandello insieme al Fu Mattia Pascal. Il protagonista è Vitangelo Moscarda, personaggio per molti versi simile a Mattia: inetto, vive con disagio il proprio aspetto fisico ed è costretto a sposare una donna impostagli da altri. Il tema dell'inettitudine sarà centrale nella letteratura del Novecento, in particolare in autori come Italo Svevo e Federigo Tozzi. Per tutti Vitangelo è il figlio ozioso e disoccupato di un banchiere usuraio, ma un giorno decide di ribellarsi e gettare la maschera sociale che gli è stata imposta. Liquida così l'eredità, regala appartamenti ai bisognosi e arriva persino alla decisione di vendere la banca paterna, in modo da essere finalmente un uomo libero. I soci della banca lo vorrebbero interdire, ma con l'aiuto di Anna Rosa, un'amica della moglie, Vitangelo riesce ad accordarsi col vescovo per devolvere tutti i propri averi in opere di carità. Quando cerca di baciare Anna Rosa, il protagonista è però respinto e la donna, sconvolta, gli spara con una pistola ferendolo. Al processo, Vitangelo si reca in tribunale come un mendicante e la fa scagionare. Senza più un soldo, sente finalmente di essere guarito e di aver trovato la serenità che cercava. La conclusione, che trova una soluzione positiva al problema del conflitto tra l'individuo e la modernità, è decisamente ottimistica rispetto al Fu Mattia Pascal.

Enrico IV

Insieme a Sei personaggi in cerca di autore, è considerato il capolavoro teatrale di Pirandello, rappresentato per la prima volta al Teatro Manzoni di Milano nel 1922, in un periodo particolarmente prolifico per l'autore.
La scena si apre in una reggia, quasi come se lo spettatore si trovasse ad assistere a una tragedia di William Shakespeare, con una festa in maschera organizzata dal protagonista, un borghese del primo Novecento che recita la parte di Enrico IV, imperatore tedesco di epoca medievale. Insieme a lui vi sono la donna amata, Matilde, ed il rivale in amore Belcredi. La finzione, che è importante per la componente del "teatro nel teatro" tipica di Pirandello, rivela tuttavia un dramma più profondo quando si scopre che il protagonista ha creduto veramente di essere il sovrano a seguito di una caduta da cavallo che gli aveva provocato un attacco di follia. L'uomo continua a recitare quella parte nonostante il ritorno della memoria e dello stato di lucidità, con gli amici e i parenti che, per compiacerlo e per aiutarne la guarigione, non smettono di travestirsi con abiti medievali ricostruendo nella villa umbra del nobiluomo la corte imperiale di Enrico IV.
Il triste significato del dramma risiede nell'evasione dalla realtà attraverso la finzione della follia, preferita dal protagonista nel momento in cui, tornata la memoria, ha scoperto di aver perso l'amore della sua vita, Matilde, sposatasi con il rivale Belcredi. Nel finale il finto Enrico IV arriva ad uccidere Belcredi, che ha scoperto essere il responsabile dell'incidente della caduta da cavallo, condannando però se stesso, con questo gesto, a recitare per sempre, nella totale solitudine, il ruolo del pazzo.

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