Torquato Tasso

Forse, se tu gustassi anco una volta la millesima parte de le gioie che gusta un cor amato riamando, diresti, ripentita, sospirando: perduto è tutto il tempo, che in amar non si spende.

Come Francesco Petrarca, diviso fra due epoche storiche opposte quali Medioevo e Umanesimo, Torquato Tasso è il poeta di un'età di crisi e di transizione: il Rinascimento da una parte e la Controriforma dall'altra, un periodo di inquietudini e insicurezze che caratterizzò la seconda metà del Cinquecento.
Il Concilio di Trento, voluto da papa Paolo III Farnese nell'anno 1545 e durato sino al 1563, doveva essere un tentativo di conciliazione fra cattolici e protestanti, tuttavia le diverse visioni del pontefice e dell'imperatore Carlo V d'Asburgo, sebbene entrambi preoccupati per la diffusione del luteranesimo, si rivelarono del tutto opposte. Paolo III voleva infatti riaffermare l'autorità della Chiesa e punire gli eretici, mentre l'imperatore cercava una mediazione fra le due parti opposte al fine di non compromettere la propria autorità in Germania. Alla fine il messaggio che uscì dal concilio fu quello di una netta chiusura da parte della Chiesa nei confronti dei protestanti e il risultato non fu che un ulteriore rafforzamento della Chiesa romana, in una ferma e dura opposizione nei confronti del mondo protestante che gli storici definirono appunto Controriforma.
Il clima di questo periodo, ben anticipato dall'ammonimento al mondo del Giudizio universale di Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina, si riflette anche nella poetica del Tasso, nonostante la sua libertà di pensiero ereditata dalla cultura umanistico-rinascimentale, e in particolare nel suo capolavoro, la Gerusalemme liberata.
Il poema esprime una sensibilità inquieta e tormentata, la religiosità sofferta dell'autore, l'intimità della sua anima. Coerentemente con i propri sentimenti, Tasso ama l'atmosfera notturna, al pari della pittura del suo tempo che si contrapponeva a quella lucente di inizio Cinquecento. Le ombre e le tenebre della notte sembrano alludere a una crisi della ragione tradizionale, insediata da nuove perplessità e realtà. Tutto questo rende estremamente moderna la sua poesia, che per tali motivi sentiamo tanto vicino a noi.
Il grande poeta Giacomo Leopardi elesse Tasso a modello, ritrovandosi in lui anche nel dramma della vita privata, nella condizione di infelicità. Racconta il poeta di Recanati che nel 1823, mentre si trovava a Roma, si recò a visitare la tomba del Tasso presso il Gianicolo. Era la prima volta che otteneva il permesso di lasciare il paese natale, tuttavia la città lo deluse e la speranza di evadere dalla malinconia che affliggeva il suo cuore si rivelò presto un'illusione. Il suo animo scoppiò così in un pianto liberatorio dinanzi al sepolcro di quel poeta che tanto leggeva con amore e che era stato per lui un riferimento. L'anno successivo compose la celebre operetta morale Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare.
Leopardi non fu l'unico a rimanere affascinato e a commuoversi dinanzi alla bellezza e alla profonda quiete che avvolge i luoghi attorno alla chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo dove ancora oggi riposa il Tasso. Scriveva infatti nell'ottobre 1828 il poeta francese Stendhal nelle meravigliose pagine di Passeggiate romane:

«Questa mattina di buon'ora, prima che venisse caldo, siamo saliti al convento di Sant'Onofrio (sul Gianicolo, presso San Pietro). Il Tasso si fece portare qui quando si accorse che stava per morire. Fece una buona scelta: senza dubbio questo è uno dei più bei posti del mondo per morire. Lo spettacolo grandioso ed immenso che di quassù si gode, affacciati su questa città di tombe e di rovine, forse può rendere meno penoso il trapasso dalle cose terrene, se pure esso è davvero così triste come si dice.
Il panorama che si gode dal convento è senza dubbio uno dei più belli del mondo. Siamo appena tornati da Napoli e da Siracusa; ma ci è difficile dire quale vista sia preferibile a questa. Ci siamo seduti sotto una vecchia quercia del giardino. È qui, dicono, che il Tasso venne a vedere il cielo per l'ultima volta (1595). Ci hanno mostrato anche il suo scrittoio e un sonetto scritto di suo pugno, conservato sotto vetro. Abbiamo esaminato con tenerezza queste linee, così piene di vera sensibilità e di oscura filosofia platonica. Era questa del resto, a quei tempi, la fisionomia di chi aveva un'anima sensibile».

Quello che oggi rimane della "quercia del Tasso", alla cui ombra il poeta era solito sedersi a riflettere, come recita l'iscrizione: «All'ombra di questa quercia Torquato Tasso vicino ai sospirati allori e alla morte ripensava silenzioso le miserie sue tutte».

La vita

Torquato Tasso nacque a Sorrento, nel Regno di Napoli, l'anno 1544, ultimo dei tre figli di Bernardo Tasso, gentiluomo di corte e poeta egli stesso di nobile famiglia bergamasca.
Durante la giovinezza Tasso si trasferì con il padre alla corte dei Della Rovere ad Urbino, che era stata uno dei centri più importanti e raffinati del Rinascimento a livello artistico e politico. Accolto da Guidobaldo II Della Rovere, Tasso poté studiare con il figlio del duca, Francesco Maria II, in quello che rimarrà un ambiente determinante nella sua esperienza successiva.

Guidobaldo II ritratto dal Bronzino e suo figlio Francesco Maria, ultimo duca della città, in un dipinto di Federico Barocci.

Nel 1559 seguì il padre a Venezia dove, suggestionato dal clima della città, impegnata nel conflitto contro i Turchi, iniziò la stesura di un poema epico sulla prima crociata, il Gierusalemme, abbozzo del futuro capolavoro, rimasto però incompiuto. La minaccia turca era avvertita con grande timore dalla Serenissima, che solamente nel 1571 riuscirà, nella Battaglia di Lepanto, a sconfiggere la flotta ottomana che intimidiva l'intero Mediterraneo.

La Battaglia di Lepanto - Giorgio Vasari - 1572 circa - Città del Vaticano, Sala Regia del palazzo Apostolico

Nel 1560 si recò a Padova per frequentare la prestigiosa università, studiando prima diritto e poi quelle materie a lui più congeniali quali la filosofia e la letteratura. A diciotto anni compose il Rinaldo, un poema epico di argomento cavalleresco, e cominciò a scrivere liriche amorose a seguito dei primi innamoramenti.
Qualche anno più avanti, nel 1565, Tasso fu assunto al servizio del cardinale Luigi d'Este a Ferrara, dove conobbe Lucrezia Bendidio, dama di Eleonora d'Este, sorella di Luigi. Lucrezia era una bellissima ragazza di quindici anni con notevoli doti canore. Il giovane poeta le dedicò rime su modello di Petrarca, tuttavia il suo sogno amoroso fu breve in quanto la ragazza era già promessa sposa. Pur senza arrendersi inizialmente, con le nozze dell'amata si lasciò andare a un profondo sentimento di sconforto e delusione. Durante un soggiorno a Mantova presso i Gonzaga, recatosi per visitare il padre, Tasso aveva invece conosciuto Laura Peperara, l'altra donna amata e cantata in questi anni.
Il poeta, sebbene ancora molto giovane, aveva maturato una notevole esperienza nelle principali corti italiane, Urbino, Mantova e Ferrara, perfettamente inserito in quel mondo di eleganza e cultura, incarnando in modo esemplare la figura del poeta cortigiano. Insieme alla corte, l'ambiente destinato a segnare la formazione di Tasso fu l'accademia, che nel corso del Cinquecento, grazie agli ideali umanistici, era divenuto uno dei centri di elezione dell'attività intellettuale.
Gli anni ferraresi furono quelli più sereni e produttivi per il Tasso, circondato da gentiluomini e dame per le sue doti poetiche e le buone maniere. La corte di Ferrara, regnante il duca Alfonso II d'Este, era una delle più splendide d'Italia, soprattutto per merito di una lunga tradizione che risaliva al Quattrocento. A partire dal 1572 Tasso era passato al servizio diretto del duca come gentiluomo stipendiato, senza incombenze precise; in tal modo ebbe il tempo di dedicarsi interamente alla poesia in un contesto nel quale, a cominciare da Matteo Maria Boiardo per arrivare a Ludovico Ariosto, il tema privilegiato era stata la letteratura cavalleresca. Iniziò così la stesura di quel poema epico sulla crociata che aveva già in mente ma non aveva mai portato a termine: la Gerusalemme liberata. Nel 1575 poté leggere il lavoro completo al duca Alfonso, dedicatario dell'opera.

Nel frattempo, nel 1573, aveva composto un dramma pastorale, l'Aminta, per intrattenere i membri della corte durante i loro ozi festosi. La conclusione della stesura del suo più importante poema con cui ancora oggi è ricordato, segnò però la fine dell'esistenza felice di Tasso, che qualche anno prima aveva perso il padre. Al suo capolavoro il poeta guardava con insoddisfazione e con una sorta di inquietudine, per questo decise di non pubblicarlo, come tormentato dalla ricerca di un'assoluta perfezione. Recatosi a Roma, sottopose il suo lavoro al giudizio di alcuni autorevoli letterati, filosofi e teologi. Nel 1577 si sottopose spontaneamente all'Inquisizione di Ferrara per mettere alla prova la propria ortodossia nella fede cattolica, ma nonostante l'assoluzione la sua intima inquietudine continuava a crescere.
I sintomi di squilibrio mentale si manifestarono anche con manie di persecuzione, come quando, convinto di essere spiato e controllato da un servo, si scagliò contro di lui con un coltello. Il duca Alfonso decise di rinchiuderlo in un convento, tuttavia Tasso riuscì presto ad evadere, recandosi a Sorrento. Qui si presentò alla sorella sotto mentite spoglie annunciando la propria morte, così da mettere alla prova il suo amore. Avuta la certezza del dolore della sorella si fece riconoscere e trascorse insieme a lei qualche giorno sereno, anche se i turbamenti psichici, dovuti anche ad un profondo bisogno di essere amato, continuavano ad essere sempre più evidenti.
Tornato a Ferrara nell'anno 1579, non trovando l'accoglienza calorosa che si aspettava, la sua follia degenerò definitivamente, con il poeta che diede in escandescenze dinanzi a tutti, offendendo il duca e la corte. Alfonso ne ordinò allora la reclusione come pazzo furioso nell'Ospedale di Sant'Anna, dove rimase internato per ben sette anni. A seguito di un periodo di totale solitudine, gli venne poi concessa una relativa libertà che gli consentiva di compiere brevi passeggiate, ricevere visite, di studiare e di scrivere. Febbrile fu l'attività del poeta durante l'esperienza del carcere, dedicandosi a numerose rime, a innumerevoli lettere e a buona parte dei Dialoghi, nonché alla consueta revisione della Gerusalemme. La sua mente era però ancora vittima di continui incubi e allucinazioni; proprio queste orribili visioni sono raffigurate da un suggestivo dipinto del francese Eugène Delacroix, dove vediamo il folle poeta che, seduto su di un letto, si volge per non ascoltare le voci delle persone che crede lo chiamino da dietro le sbarre. Fra le tante manie di persecuzioni vi era anche quella di un folletto che si divertiva nel mettergli in disordine gli scritti. Il quadro, realizzato nel 1839, si erge ad emblema della condizione malinconica degli artisti incompresi, considerati folli ed emarginati dalla società.

Cresceva intanto la fama del poeta, che diversi signori si dichiaravano disposti a liberare e ospitare nelle loro corti, ma anche il successo stesso si rivelò fonte di amarezza e sconforto per Tasso, in quanto dovuto a una pubblicazione della Gerusalemme liberata in un'edizione incompleta e scorretta che non aveva mai avuto il suo assenso.
Liberato dalla prigionia nel 1586 per intercessione di Vincenzo Gonzaga, Tasso si recò sotto la sua protezione a Mantova, dove, però, rimase per poco tempo, alternando negli ultimi anni di vita soggiorni a Roma e a Napoli. Concentrato nel radicale rifacimento del poema, l'anno 1593 lo pubblicò col titolo di Gerusalemme conquistata. Da ricordare sono anche alcune opere di argomento devoto, grazie alle quali papa Clemente VIII gli propose l'incoronazione poetica a Roma. Tasso si era però ammalato gravemente e aveva deciso di ritirarsi nel convento di Sant'Onofrio, dove: «cominciare da questo luogo eminente, e con la conversazione di questi divoti padri, la mia conversazione in Cielo». Qui si spense serenamente il 25 aprile del 1595.

Durante il suo soggiorno a Roma, Goethe, desideroso di passeggiare sino al colle del Gianicolo in una bella giornata di sole, si recò, scrive in Viaggio in Italia, «fino a Sant'Onofrio, dove, in un angolo della chiesa, è sepolto il Tasso». L'illustre viaggiatore fu colpito da un busto del poeta custodito presso la biblioteca del convento che, afferma, «esprime la squisita, dolce, introspettiva genialità dell'uomo».

La tomba del poeta all'interno della chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo.

Le opere

Il Rinaldo

A soli diciotto anni, lasciato incompiuto il progetto di un poema epico-storico sulla prima crociata, il Gierusalemme, Tasso si dedicò al genere, amato nell'ambiente di corte, del romanzo cavalleresco, pubblicando nel 1562, su modello del padre, il Rinaldo, che narra in dodici canti delle imprese d'armi e d'amori del celebre paladino della leggenda carolingia. Nella prefazione al poema Tasso dichiara di voler imitare gli antichi, Omero e Virgilio su tutti, ma anche i poeti moderni come Ariosto. Al contrario dell'Orlando Furioso, caratterizzato da una molteplicità di personaggi e di azioni, Tasso pone l'attenzione ad un unico protagonista nel quale si rispecchia riversando in lui il proprio sogno di gloria e d'amore.
Nell'opera, sebbene ancora priva di originalità, si cominciano a intravedere alcuni temi e scelte stilistiche che caratterizzeranno il capolavoro maturo.

Tasso intorno ai vent'anni.

Le Rime

La composizione di testi lirici abbracciò l'intero arco dell'attività poetica del Tasso, per tale motivo i temi delle Rime presentano una grande varietà tematica, a partire da componimenti amorosi passando per quelli d'occasione e di devozione.
Al contrario del Canzoniere di Petrarca, modello di riferimento per il Tasso e per ogni letterato del Cinquecento, le Rime non hanno un'organizzazione chiara e precisa, un senso unitario e un unico motivo che lega l'intera opera. Sebbene il capolavoro del Petrarca si presenti nel sonetto d'apertura come una raccolta di "rime sparse", di frammenti di un'anima inquieta e tormentata, si può facilmente individuare il tema ricorrente e totalizzante, vale a dire l'amore per colei che è l'assoluta protagonista a cui si rivolge costantemente l'io poetico: Laura.
Durante gli anni di prigionia a Sant'Anna, Tasso iniziò a riordinare in un'unica edizione, la Prima parte delle Rime, edita a Mantova nel 1593, tutta la propria produzione d'amore, e nella Seconda parte delle Rime, uscita due anni più tardi, l'intera produzione encomiastica.
Le rime amorose riprendono tutti i contenuti della grande tradizione a lui precedente che confluiscono in Petrarca e al tempo stesso aprono la strada al nuovo secolo e alla lirica barocca. La prima caratteristica delle Rime è quella di essere un esercizio squisitamente letterario in cui il poeta raffina il proprio stile pur rimanendo chiaro e trasparente nell'esposizione. L'immediatezza espressiva e la semplicità non rinunciano però ad una propensione verso il sublime, coniugando sapientemente altezza stilistica e colloquialità, ricercatezza e naturalezza, ponendo inoltre attenzione, nei numerosi madrigali, alla musicalità del verso.
Uno dei temi ricorrenti è l'intensa sensualità che caratterizza le poesie dedicate alle donne realmente amate dal poeta, come Lucrezia Bendidio e Laura Peperara, oppure ad altre figure femminili legate alla vita delle corti, in particolare quella estense, per composizioni d'occasione e di stampo tipicamente cortigiano.

Ecco mormorar l'onde
e tremolar le fronde
a l'aura mattutina e gli arboscelli,
e sovra i verdi rami i vaghi augelli
cantar soavemente
e rider l'oriente:
ecco già l'alba appare
e si specchia nel mare,
e rasserena il cielo
e le campagne imperla il dolce gelo
e gli alti monti indora.
O bella e vaga Aurora,
l'aura è tua messaggera, e tu de l'aura
ch'ogni arso cor ristaura.

In questo meraviglioso madrigale, dedicato a Laura Peperara, viene presentato un paesaggio idealizzato e incontaminato, un vero e proprio locus amoenus nel quale l'alba dona vita a tutto il creato. Allo stesso modo, in un'analogia fra paesaggio e stato d'animo, nel finale il cuore del poeta viene confortato dalla figura della donna amata che, come l'aria mattutina, porta vita e ristoro in chi la ama. Nei vv. 3 e 13 il termine "l'aura", come già aveva fatto il Petrarca, è infatti da intendersi sia come aria ma anche come il nome della figura femminile cantata dall'autore.

Suggestivi sono i paesaggi descritti dal Tasso, come albe luminose o notturni lunari che avocano sentimenti nostalgici e delicati, quasi impalpabili, atmosfere indefinite nelle quali si riflettono gli stati d'animo. Le immagini femminili tendono infatti a confondersi con la natura e la natura a sua volta diviene un'amante fuggevole e più che mai umanizzata. Questi concetti si capiscono bene col madrigale che segue, dove la natura sembra partecipare al dolore del poeta per la separazione dall'amata. La rugiada che si deposita sulla natura a seguito della notte, come se la luna e le stelle avessero pianto, viene infatti paragonata alle lacrime versate dal narratore. La ricerca di una dolce e languida musicalità dei versi determina una sensazione malinconica di distacco e lontananza.

Qual rugiada o qual pianto,
quai lacrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
e perché seminò la bianca luna
di cristalline stille un puro nembo
a l'erba fresca in grembo?
perché ne l'aria bruna
s'udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l'aure insino al giorno?
fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?

Ritratto del Tasso datato al 1590 circa.

L'Aminta

Testo drammatico risalente al 1573, durante un periodo di relativa tranquillità nella vita tormentata del poeta, che si colloca in un preciso genere, quello della favola pastorale, ovvero un'azione teatrale ambientata nel mondo dei pastori.
La favola pastorale, genere che si diffuse nelle corti e negli ambienti colti del Manierismo fra il Cinquecento e il Seicento, riprende una lunga tradizione letteraria che ha origine con i poeti classici per poi essere ripresa dalla letteratura cortigiana di Quattro e Cinquecento con autori quali Agnolo Poliziano, Lorenzo de' Medici e Jacopo Sannazaro.
Il genere della favola pastorale differisce dalla commedia in quanto non presenta situazioni comiche collocate in un contesto cittadino contemporaneo realisticamente rappresentato, bensì temi seri, patetici e sentimentali ambientati in un mondo favoloso; differisce inoltre dalla tragedia in quanto non raggiunge il livello sublime nei personaggi e nello stile, infine perché presenta un lieto fine.
L'Aminta, rappresentata nei pressi di Ferrara alla presenza del duca Alfonso e di tutta la corte estense, è suddivisa in cinque atti preceduti da un prologo. Il testo, incentrato sul dialogo, è pensato per l'intrattenimento della corte, i cui membri potevano essere facilmente riconoscibili dietro alle figure dei pastori così da allietare e divertire l'atmosfera durante la messa in scena.
Da un lato l'opera si propone di idealizzare e celebrare la vita di corte, dall'altro rivela una profonda insofferenza per i suoi rituali, per le sue ipocrisie e convenzioni, i suoi conflitti interni, le gelosie e le invidie, a cui viene contrapposto un bisogno di semplicità, in una ricerca di sentimenti e comportamenti spontanei, sinceri, che possono essere trovati solo con l'evasione in un mondo di favola estraneo alla realtà.
Lo stile e lo svolgimento dell'azione sono estremamente e volutamente semplici. Il giovane pastore Aminta è innamorato della ninfa Silvia. Entrambi sono inesperti d'amore e Aminta viene presentato come un personaggio timido che non riesce a vincere la ritrosia dell'amata. Ad aiutare il ragazzo si impegnano due personaggi maturi, Tirsi, dietro a cui si cela la figura del poeta, il quale rivolge numerosi consigli al giovane, e Dafne, che cerca invece di convincere Silvia ad accettare il sincero sentimento di Aminta.
Recatosi ad una fonte dove Silvia è solita fare il bagno nuda, Aminta trova la donna in pericolo a causa di un satiro che vorrebbe abusare di lei. Il pastore riesce a liberarla, ma Silvia fugge spaventata senza mostrargli alcuna gratitudine, chiusa nel suo disdegno dell'amore.
La soluzione della vicenda, che deve essere a lieto fine, è resa possibile da una serie di equivoci e di malintesi che hanno per oggetto la morte dei due protagonisti. Quando viene ritrovato un velo sporco di sangue, ad Aminta viene riferito che Silvia è stata sbranata dai lupi, in seguito la giovane, in verità illesa, crede che Aminta si sia ucciso per il dolore della sua perdita. Alla notizia Silvia, finalmente, cede all'amore, correndo a cercare l'amato e gettandosi piangendo sul suo corpo. Il suicidio di Aminta è però fallito, in quanto, gettatosi da una rupe, è stato protetto nella caduta da un cespuglio. La storia si conclude così con il matrimonio fra i due giovani.
L'opera fu molto amata dal Leopardi, che sceglierà il nome della protagonista di questa favola per uno dei suoi componimenti più famosi, A Silvia, dedicato alla prematura scomparsa dell'amata Teresa Fattorini.

La Gerusalemme liberata

Capolavoro di una vita, la Gerusalemme liberata è un poema epico di venti canti scritto con versi endecasillabi in ottave, che seguono lo schema ABABABCC. Dedicata al signore di Ferrara, Alfonso II, l'opera nacque nel contesto estense, una corte dal gusto cavalleresco dove grandissimo successo aveva avuto qualche anno prima l'Orlando furioso di Ariosto.
Tasso aveva ben chiara l'idea di una narrazione epica e storica sin dalla giovinezza, unendo nel soggetto della prima crociata i temi delle armi e della missione religiosa, particolarmente attuali in un'Europa cinquecentesca in cui forte era la minaccia turca sul Mediterraneo, sfociata nel 1571 nella Battaglia di Lepanto.
I due fili rossi attorno a cui si sviluppa il lungo poema vengono esposti chiaramente già nei due versi, celeberrimi, con cui comincia l'opera: «Canto l'arme pietose e 'l capitano che 'l gran Sepolcro liberò di Cristo».
Il capitano citato è lo storico condottiero Goffredo di Buglione, comandante della prima crociata che nel 1099 liberò Gerusalemme dai musulmani. Insieme al sublime eroico si intrecciano le vicende amorose dei personaggi, si pensi alla tragica storia fra Tancredi e Clorinda o all'attrazione di Rinaldo per la maga Armida, tuttavia Tasso abbandona i temi romanzeschi e la pluralità di eroi e azioni che caratterizzavano il poema dell'Ariosto, scegliendo una materia storica per soddisfare quella verosimiglianza su cui si basa il genere del poema eroico, dando vita ad una struttura narrativa unitaria e chiusa, lineare sebbene la complessità del lavoro, divisibile in cinque grandi parti che rimandano ai cinque atti della tragedia classica.
I due modelli di riferimento principali del poeta sono l'Iliade e l'Odissea, rispettando inoltre le regole della tragedia formulate nella Poetica di Aristotele, a cui guarda come modello per quella linearità che allontana il poema dai capolavori di Boiardo e Ariosto, connotati da una tendenza all'espansione del racconto quasi illimitata.
A coronamento della vicenda storica della prima crociata, Tasso inserisce un meraviglioso cristiano che innalza la battaglia fra cristiani e musulmani all'eterna lotta fra il cielo e gli inferi, fra Dio e Satana, divisi nel soccorrere i crociati ed ostacolarli nella loro impresa, il tutto in una soluzione verosimile e credibile, in quanto parte della fede e della dottrina cristiana. Questi elementi rendono l'opera unica per equilibrata bellezza e armonia di racconto, tanto che il poeta Ugo Foscolo scriverà con assoluta devozione:
«Se mai per vicenda di tempi le favelle si mutassero, e la italiana non fosse più parlata, vi sarà nondimeno in ogni tempo chi guarderà meravigliando alle pagine della Gerusalemme liberata».

Disegno raffigurante Tasso tratto da un dipinto di Alessandro Allori databile al 1575.

Personaggi

Nel campo cristiano il personaggio principale, di primaria importanza per il buon esito della crociata, è Goffredo di Buglione, capitano eletto per volontà divina nell'esordio del poema, quando riceve l'ordine dall'arcangelo Gabriele di assumere la guida dell'esercito. Garante terreno della missione celeste e dell'unità del campo cristiano, Goffredo è emblema dell'eroismo disinteressato, divenendo l'incarnazione di un nuovo eroe, spesso considerato dai critici privo di passione e prevedibile, in quanto integerrimo e severo, ma in realtà di grande fascino nei suoi momenti solitari, quando, assorto nei pensieri, veglia sul proprio esercito che giace assopito nell'accampamento.
Goffredo non è il solo protagonista dell'opera, in quanto accanto a lui troviamo Rinaldo, eroe necessario al compimento dell'impresa al quale è affidato anche l'intento encomiastico del poema, essendo un giovane cavaliere capostipite mitico della dinastia estense. Il suo modello è Goffredo, ma il suo temperamento è caratterizzato da insicurezze e difetti, nonché dal farsi travolgere dalle passioni. Novello Achille, richiamato in battaglia poiché indispensabile, di Rinaldo seguiamo nel poema un percorso di formazione che lo porterà sino alla piena maturazione.
Terza figura fra le truppe dei crociati è Tancredi, fedele al proprio capitano ma così distante dal suo temperamento, in quanto emblema del dubbio e della fragilità insita nell'umano. Spesso vittima delle tentazioni, come ad esempio l'amore nei riguardi della valorosa guerriera pagana Clorinda, Tancredi arriverà ad uccidere l'amata sul campo di battaglia, non riconoscendola dietro l'armatura. Obbedendo alla richiesta di essere battezzata, da parte della donna in fin di vita, Tancredi riconquista un'anima nemica della fede cristiana, ma allo stesso tempo si erge a prototipo di eroe solitario privo di qualsiasi felicità personale.
Dalla parte dei pagani, dove non vi è un potere forte come quello di Goffredo, bisogna ricordare l'anziano signore di Gerusalemme, Aladino, crudele monarca che appare però sfiduciato e rassegnato al proprio amaro destino, finendo per essere ucciso. A fianco del sovrano vi è Ismeno, un sacerdote e indovino turco i cui incantesimi cercano di impedire l'agire dei crociati, solamente rallentati dai suoi poteri. Di notevole importanza sono poi Argante e Solimano. Argante è un valoroso cavaliere, di cui sono messi in evidenza l'indole violenta ma anche quei ripieghi malinconici e di introspezione che affascinano il poetare del Tasso. Lo stesso si può dire per Solimano, una delle figure più profonde fra i pagani in ambito psicologico, sovrano spodestato dai cristiani che agisce guidato da un sentimento di odio, pur avvertendo un presagio di sventura che lo riduce a vivere nell'ombra, quasi sicuro della sconfitta.
Pagane sono le tre principali figure femminili dell'opera, vale a dire Clorinda, Erminia e Armida. Di origini cristiane, Clorinda, bellissima vergine consapevole delle proprie azioni e dotata di un notevole coraggio, diviene emblema della conversione religiosa. I suoi dissidi interiori e il tormentato amore per il rivale Tancredi troveranno pace solamente nella morte e nell'incontro con Dio. Erminia è invece un personaggio apparentemente debole, innamorata segretamente di Tancredi, il cui destino è intrecciato a quello dell'amato e di Clorinda, rivelandosi però anche capace di scelte difficili per assecondare i suoi desideri. Armida è infine la figura femminile più complessa la cui parabola, dall'essere una maga seduttrice e spietata che sembra avere in mano con sicurezza gli eventi, giungerà sino al sincero innamoramento per Rinaldo, profondamente cambiata nell'animo dall'amore, che riesce a privarla di ogni sua convinzione rendendola fragile e vulnerabile.

Trama

Al sesto anno di guerra, la prima crociata non volge al termine a causa dei principali condottieri cristiani, dimentichi del loro sacro obiettivo e impegnati ognuno a seguire fini personali. Attraverso l'arcangelo Gabriele, Dio incarica Goffredo di Buglione, l'unico rimasto fedele alla missione, di assumere la guida dell'esercito affinché porti a compimento l'impresa.
A seguito del proemio dell'opera, che comprende l'esposizione dell'argomento, l'invocazione alla Musa e la dedica al signore di Ferrara, Alfonso II d'Este, comincia la narrazione vera e propria, quando Goffredo passa in rassegna le truppe e dispone l'assedio intorno alle mura di Gerusalemme. Nella città santa il re Aladino prepara la difesa. Il mago Ismeno suggerisce al sovrano il furto di un'immagine della Vergine Maria dal tempio dei cristiani e di nasconderla in una moschea, ma, forse per intervento divino, l'immagine sparisce suscitando le ire di Aladino, intenzionato a punire il colpevole. Per evitare le punizioni che il re minaccia all'intera popolazione cristiana, la giovane e bellissima Sofronia, quasi come un'eroina biblica, si autoaccusa del furto e viene condannata. Giunge allora in suo soccorso Olindo, segretamente innamorato, deciso a salvare l'amata. Aladino finisce così per punirli tutti e due, condannandoli al rogo, da cui sono salvati dalla pagana Clorinda, che ne chiede la grazia al suo re. L'episodio, apparentemente poco necessario, serve in realtà a porre in evidenza la forza della fede cristiana, disposta al martirio, sebbene Olindo si sacrifichi anche per l'amore che lo lega a Sofronia, mentre dall'altra parte notiamo il negativo esercizio del potere da parte di Aladino, quasi deriso dai due personaggi virtuosi.
Assistiamo poi ai primi scontri fra cristiani, tra i quali spiccano le figure di Tancredi e Rinaldo, e pagani, di cui i più valorosi sono la guerriera Clorinda e il feroce Argante. Dall'alto delle mura cittadine Erminia, dolce principessa di Antiochia, mostra ad Aladino i migliori combattenti cristiani, tra cui Tancredi, di cui è innamorata.
Satana, deciso a contrastare i crociati, manda le sue schiere di demoni in aiuto dei pagani e così la battaglia si eleva sino alle forze celesti. Strumento nei piani del demonio è anche la maga Armida, che si reca nel campo cristiano per far innamorare di sé alcuni guerrieri. Dieci di loro sono estratti a sorte per riportarla sul trono di Damasco, da cui dichiara di essere stata scacciata, ma sono in molti di più a seguirla perché invaghitesi della sua bellezza, finendo per essere tutti imprigionati nel suo castello. Intanto Rinaldo lascia l'esercito dei crociati per aver ucciso Gernando, che lo ha calunniato.
Argante è intenzionato a risolvere a duello le sorti della guerra, sfidando i cristiani. Prescelto per affrontarlo è Tancredi, il quale comincia un accanito scontro con il pagano, interrotto solamente dal sopraggiungere della notte. Erminia ha assistito dalle mura e, preoccupata per le ferite riportate dall'amato, lo soccorre. Uscita da Gerusalemme travestita con le armi di Clorinda, è sorpresa dai crociati presso il loro accampamento e costretta alla fuga. Trovata ospitalità in uno scenario idilliaco, presso alcuni pastori, la donna è inseguita da Tancredi, che vedendola l'ha scambiata per l'amata Clorinda. La ricerca conduce Tancredi sino al castello di Armida, dove finisce prigioniero. L'esercito cristiano, privo di Rinaldo e Tancredi, si trova senza i suoi guerrieri più valorosi.
Fra i cristiani giunge Carlo, narrando che il suo re, il danese Sveno, è stato ucciso dal sultano turco Solimano prima di potersi recare in battaglia col proprio esercito. Intanto si diffonde la falsa notizia del ritrovamento del corpo di Rinaldo, in quello che è probabilmente il momento più difficile per la fazione cristiana.
Istigato da Aletto, una delle tre furie, Solimano approfitta della situazione per attaccare il campo crociato al sopraggiungere dell'alba, ma quando lo scontro volge al peggio per i cristiani, Dio comanda ai demoni di fare ritorno negli inferi e, all'improvviso, un gruppo di cinquanta misteriosi cavalieri giunge in aiuto di Goffredo. Sono i prigionieri di Armida, fra cui Tancredi, tutti liberati da Rinaldo erroneamente creduto morto.
I cristiani scatenano allora l'assalto contro Gerusalemme, mentre il vecchio tutore Arsete rivela a Clorinda le sue origini cristiane. Avviene poi un episodio decisivo e celeberrimo, vale a dire l'incontro fra Clorinda e Tancredi. L'eroe, non riconoscendo l'amata dietro all'armatura, la sfida a duello e finisce per ucciderla. Clorinda, in fin di vita, chiede di essere battezzata e trova salvezza nella morte. Tancredi ne seppellisce il corpo e, in preda alla disperazione, è consolato solamente dall'apparizione in sogno dell'amata, ormai in cielo.
Dio decide che è giunto ormai il momento che il conflitto si avvii verso la conclusione in favore dei cristiani, avvisando Goffredo in sogno come sia necessaria la presenza di Rinaldo in battaglia ai fini risolutivi, così il sovrano invia Carlo e Ubaldo a cercarlo. Rinaldo si trova prigioniero presso il palazzo di Armida, vittima degli incantesimi della donna. I due messaggeri, superati mostri ed insidie, raggiungono Rinaldo, mostrandogli il proprio stato di torpore allo specchio. L'eroe, vergognoso della propria condizione di schiavo d'amore, si allontana dal giardino incantato e ritorna in guerra proprio come Achille. Armida, che si scopre sinceramente innamorata, rimane sola in preda alla disperazione e preannuncia vendetta.
Rinaldo si riconcilia con Goffredo e comincia l'assalto decisivo dei cristiani con cui riescono a penetrare oltre le mura di Gerusalemme. Tancredi uccide a duello Argante, ma anche l'eroe cristiano rimane ferito e viene salvato dalle amorevoli cure di Erminia. Nella battaglia conclusiva Rinaldo, ucciso Solimano, ritrova Armida; la maga, inizialmente desiderosa di vendetta, si pente sinceramente e fugge tentando il suicidio, ma il cavaliere riesce a fermarla.
Quando Goffredo uccide Emireno, capitano degli egiziani, la guerra giunge finalmente alla conclusione e al lieto fine dopo i numerosi lutti, con il capitano delle truppe cristiane che può entrare nella città santa e sciogliere il voto adorando il Santo Sepolcro.

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Note

Le foto della quercia e della tomba del Tasso sono state scattate durante il mio viaggio a Roma nel febbraio 2019.

Bibliografia

  • Il piacere dei testi. L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma - Volume 2 - Paravia
  • La scrittura e l'interpretazione. Dal Manierismo all'Arcadia - Volume 3 - Palumbo Editore
  • Letteratura italiana. Dalle origini al Seicento - Andrea Battistini (a cura di) - il Mulino
  • Gerusalemme liberata - Torquato Tasso (a cura di Franco Tomasi) - BUR
  • Teatro - Torquato Tasso (introduzione e note di Marziano Guglielminetti) - Garzanti
  • Torquato Tasso. L'anima e l'avventura - Ferruccio Ulivi - Piemme
  • Torquato Tasso. Una psicobiografia - Giampiero Giampieri - Le Lettere
  • Passeggiate romane - Stendhal - Garzanti
  • Viaggio in Italia - Goethe - Mondadori