Agnolo Poliziano

Ritratto di Poliziano nel dettaglio di un affresco di Domenico Ghirlandaio custodito nella Cappella Sassetti della chiesa di Santa Trinita a Firenze.

L'età umanistica

Con la morte di Francesco Petrarca nel 1374 e di Giovanni Boccaccio nel 1375, sino alle Stanze di Poliziano del 1475, si parla, per l'assenza di capolavori, di un "secolo senza poesia", un periodo tuttavia fondamentale dal punto di vista culturale.
Gli autori del Canzoniere e del Decameron avevano infatti aperto la strada, grazie al ritrovato interesse per l'antichità e la riscoperta dei classici, al diffondersi dell'Umanesimo, periodo storico che coincide con il Quattrocento e che precorre il Rinascimento.
Il pensiero umanistico e rinascimentale pose l'uomo al centro dell'universo, artefice del proprio destino e delle proprie fortune, oggetto dell'indagine filosofica, artistica o letteraria. Si passò dunque da una concezione teocentrica del mondo basata sulla religione e su Dio ad una visione antropocentrica dove è l'uomo il protagonista e l'autore della propria storia.

L'uomo vitruviano leonardesco, emblema della filosofia antropocentrica del Rinascimento con l'uomo al centro del cosmo.

In varie città italiane si era diffusa a livello politico una nuova forma di governo, la Signoria, con il potere nelle mani di un singolo signore a cui succedevano ereditariamente i discendenti della sua famiglia. La città di Firenze, culla della civiltà umanistica e rinascimentale, passò nel 1435 sotto la Signoria di Cosimo de' Medici detto il Vecchio, appartenente a una potente famiglia di mercanti e di banchieri, con il quale avrà inizio quel regno di estrema importanza che toccherà l'apice con suo nipote Lorenzo il Magnifico.

Ritratto di Cosimo il Vecchio - Pontormo - 1520 circa - Firenze, Galleria degli Uffizi

Il signore si circonda di consiglieri e di fedelissimi da lui scelti, occupandosi personalmente di politica interna ed estera e amministrando la giustizia. Attorno a lui si crea una corte, meta ambita da ogni intellettuale e artista di cui il signore si serve grazie al proprio mecenatismo illuminato; l'arte diviene così uno strumento di propaganda per mettere in risalto fra le varie signorie il proprio valore e prestigio, il proprio gusto estetico e quella raffinata sobrietà basata su un ideale di armonia che sarà la caratteristica non solo della dinastia medicea ma anche delle altri signorie principali, come quella dei Montefeltro a Urbino, degli Sforza a Milano o dei Gonzaga a Mantova.
La corte non è l'unico centro di diffusione della cultura umanistica; nel Quattrocento nacque infatti l'accademia, una nuova istituzione intesa come luogo di scambio di idee e di discussione. Il modello era quello delle scuole filosofiche antiche, su tutte l'Accademia di Platone, dove il dialogo era il metodo di ricerca fondamentale. Si formarono così cenacoli intellettuali patrocinati dal signore che si svolgevano nella corte o presso i palazzi e le ville di nobili mecenati.
Altro luogo di cultura era ovviamente l'università, che non conobbe tuttavia particolari sviluppi rispetto alla tradizione medievale; nacquero invece scuole umanistiche ispirate a nuovi principi pedagogici incentrati sul discente come soggetto attivo di un processo di formazione teso nel sviluppare armonicamente ogni facoltà della persona, non solamente quelle intellettive ma anche quelle morali ed emotive attraverso la socializzazione con i compagni e il maestro, in particolare con lo studio delle discipline letterarie e la lettura dei classici. Questa educazione era proposta da alcuni grandi umanisti e celebri educatori, infaticabili pedagoghi e fondatori di scuole fra cui si distinsero Guarino Veronese, attivo in particolare a Ferrara per gli Este e Vittorino da Feltre, che fondò la sua scuola a Mantova presso i Gonzaga.
Conseguenza del cambiamento del ruolo dell'artista all'interno della società fu anche il diffondersi della bottega dell'artista come centro di diffusione del sapere; se in precedenza compiere un'attività manuale come quella del pittore era considerato avvilente, grazie all'Umanesimo si riconobbe finalmente il valore intellettuale di un artista. Gli artisti possedevano infatti anche capacità scientifiche, matematiche e geometriche, si pensi a Filippo Brunelleschi, il quale scoprì le regole della prospettiva poi introdotte nella pittura da Masaccio, Paolo Uccello e Piero della Francesca.
Anche la diffusione della stampa portò alla nascita di un altro centro, la bottega dello stampatore, che divenne luogo di incontro e scambio culturale per letterati e filosofi. A Venezia si trovava la bottega del più famoso stampatore di questi anni, vale a dire Aldo Manuzio, uomo colto che fu con la sua bottega il fondatore di una vera e propria accademia.
Ultimo elemento di estrema importanza fu il diffondersi delle biblioteche pubbliche, non più istituzioni chiuse inaccessibili al pubblico, con molti umanisti che, su modello del Petrarca, contribuirono alla formazione di biblioteche private di notevoli dimensioni.

La vita

Agnolo Ambrogini, noto come Poliziano dal nome latino della sua città d'origine, Montepulciano, nacque l'anno 1454 e fu una delle personalità più importanti alla corte del Magnifico Lorenzo, considerato il maggior poeta italiano di tutto il Quattrocento, giunto a Firenze giovanissimo a seguito dell'uccisione di suo padre. Ammesso nella nobile cerchia del signore della dinastia Medici, Poliziano ottenne da Lorenzo l'incarico di precettore, istruendo così i suoi figli a cominciare dal primogenito Piero sino a Giovanni, il futuro Leone X.

Il dipinto

Nell'affresco del Ghirlandaio presso la Cappella Sassetti della chiesa di Santa Trinita a Firenze vediamo raffigurata la conferma della regola francescana davanti al papa. Assistono alla scena alcuni personaggi contemporanei, fra cui Lorenzo de' Medici, che vediamo a destra in abito rosso e con i folti capelli neri. Il Magnifico tende la mano al Poliziano, il primo a salire le scale, insieme al quale vi sono i figli del signore di Firenze. Poliziano era infatti il loro pedagogo d'eccezione, che insegnava italiano e latino facendo imparare a memoria un autore come Virgilio.


A seguito di un diverbio con la moglie di Lorenzo, Clarice Orsini, nel 1479 Poliziano si allontanò da Firenze passando alla corte mantovana dei Gonzaga, tuttavia già l'anno successivo, riconciliatosi con i Medici, fece ritorno nell'ambiente squisitamente intellettuale di quella che era allora la signoria più prestigiosa, nella quale poteva confrontarsi con filosofi come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, nonché un pittore, con cui fu legato da amicizia, quale Sandro Botticelli.
Tutti questi autori, a cui bisogna aggiungere anche Cristoforo Landino, commentatore della Divina Commedia, cercarono di riproporre l'antichità classica nella realtà contemporanea in tutta la sua magnificenza, con la stessa spiritualità ed estetica.
Come maestro di questo nascente pensiero venne eletto Platone, considerato il più affascinante filosofo della classicità perché capace di esprimere temi nobili e profondi quali il rapporto fra Dio e il mondo, l'anima, l'amore ed il bello ideale.

Da sinistra Marsilio Ficino, Cristoforo Landino e Agnolo Poliziano nel dettaglio dell'affresco Annuncio dell'angelo a Zaccaria del Ghirlandaio custodito nella Cappella Tornabuoni della basilica di Santa Maria Novella.

Con la morte del Magnifico l'anno 1492 cominciò un periodo difficile per ogni pensatore a lui vicino, così Poliziano cercò una sistemazione più sicura e intraprese la carriera ecclesiastica, tuttavia a causa di una febbre trovò la morte il 29 settembre 1494 appena quarantenne, anche se è molto probabile la tesi di un avvelenamento.

L'opera

Alla produzione poetica Poliziano affiancò il lavoro filologico, di estrema importanza per gli umanisti in quanto permetteva di riscoprire e dare nuova vita allo spirito degli antichi.
Il capolavoro fra i suoi scritti in volgare sono sicuramente le Stanze per la giostra del Magnifico Giuliano, un poemetto in ottave, redatto fra il 1475 e il 1478, che è il sogno rimasto incompiuto di una sintesi perfetta fra potere e bellezza. L'opera vuole infatti cantare la vittoria di Giuliano de' Medici, fratello di Lorenzo, in una giostra d'armi, introdotta da una grande celebrazione della famiglia medicea, e allo stesso tempo narrare dell'amore del giovane per una bellissima donna genovese, Simonetta Cattaneo.

Giuliano e Simonetta in due ritratti del Botticelli.

Celeberrima fu all'epoca la sfortunata relazione amorosa di Giuliano de' Medici e Simonetta, sposa di Marco Vespucci, nobildonna capace di conquistare con la sua grazia tutta Firenze. Il mito della ragazza nacque anche a causa di un 'esistenza stroncata a soli ventitré anni dalla malattia, lasciando nel dolore più assoluto il povero Giuliano, che la raggiunse due anni più tardi, nel 1478, a seguito dell'omicidio nella Congiura dei Pazzi.
Il protagonista delle Stanze è Giuliano, ribattezzato classicamente Iulio, un giovane dedito esclusivamente alla caccia e all'esercizio d'armi, insensibile all'amore, come i personaggi delle opere minori boccaccesche. Cupido, sdegnato, decide di punirlo, e durante una spedizione di caccia lo allontana dai compagni facendolo inseguire una cerva che d'improvviso scompare in una selva. Qui compare una ninfa bellissima, Simonetta, per cui Iulio prova un'immediata e nuova dolcezza, delusa dall'allontanarsi della giovane.

Era già drieto alla sua desïanza
gran tratta da' compagni allontanato,
né pur d'un passo ancor la preda avanza,
e già tutto el destrier sente affannato;
ma pur seguendo sua vana speranza,
pervenne in un fiorito e verde prato:
ivi sotto un vel candido li apparve
lieta una ninfa, e via la fera sparve.

La fera sparve via dalle suo ciglia,
ma 'l gioven della fera omai non cura;
anzi ristringe al corridor la briglia,
e lo raffrena sovra alla verdura.
Ivi tutto ripien di maraviglia
pur della ninfa mira la figura:
parli che dal bel viso e da' begli occhi
una nuova dolcezza al cor gli fiocchi.

Il dipinto

Nel dipinto di Botticelli vediamo distesi sul prato di un verde giardino la dea Venere e il dio della guerra Marte. L'autore vuole mostrare la superiorità della dea dell'amore, che vince su tutte le altre divinità disarmando Marte, colto da un sonno così profondo da non accorgersi dei satirelli che giocano con le sue armi. Il fascino dell'opera è però custodito nei volti di Venere e Marte, che richiamano quelli di Simonetta Vespucci e del suo Giuliano, in un malinconico ricordo eseguito postumo alle loro sfortunate esistenze, sopraffatte dal destino e da un amore tanto grande quanto beffardo.


A seguito dell'innamoramento di Iulio, Cupido si reca a Cipro dalla madre Venere per annunciare la notizia del suo trionfo. Poliziano allora, in conclusione del primo libro, lascia spazio ad una lunga e minuziosa descrizione del regno di Venere, vero e proprio "locus amoenus", giardino di delizie incontaminato, simile a quello delle apparizioni della Laura petrarchesca, in cui regna un'eterna primavera. Doveva seguire un secondo libro, rimasto tuttavia incompiuto sia per la morte di Simonetta che per la Congiura dei Pazzi.

Or canta meco un po' del dolce regno,
Erato bella che 'l nome hai d'amore:
tu sola benché casta puoi nel regno
secura entrar di Venere e d'Amore:
tu de' versi amorosi hai sola il regno;
teco sovente a cantar viensi Amore:
e posta giù dagli omer la faretra,
tenta le corde di tua bella cetra.

Vagheggia Cipri un dilettoso monte
che del gran Nilo i sette corni vede
e 'l primo rosseggiar dell'orizzonte,
ove poggiar non lice a mortal piede.
Nel giogo un verde colle alza la fronte;
sott'esso aprico un lieto pratel siede;
u' scherzando tra' fior lascive aurette
fan dolcemente tremolar l'erbette.

Corona un muro d'òr l'estreme sponde
con valle ombrosa di schietti arbuscelli,
ove in su' rami fra novelle fronde,
cantan i loro amor soavi augelli.
Sentesi un grato mormorio dell'onde,
che fan due freschi e lucidi ruscelli
versando dolce con amar liquore,
ove arma l'oro de' suoi strali Amore.

Nascita di Venere - Sandro Botticelli - 1482 circa - Firenze, Galleria degli Uffizi

Importanti nella produzione in volgare di Poliziano sono anche le Canzoni a ballo, ballate di endecasillabi a cui si dedicò anche lo stesso Lorenzo de' Medici nel suo Trionfo di Bacco e Arianna, componimenti occasionali e legati ai festeggiamenti cittadini che invitano a cogliere le gioie della vita e dell'amore, come la cosiddetta Ballata delle rose di Poliziano. Una fanciulla, intenta a cogliere dei fiori durante la bella stagione primaverile, si rivolge ad alcune compagne esortandole a vivere il momento, la giornata, così fuggevole nell'eterno scorrere dell'esistenza. Bisogna infatti cogliere la rosa prima che sfiorisca, con il poeta che qui segue un topos, quello della rosa come emblema della bellezza e della giovinezza, che dall'antichità arriverà sino a Dino Campana.

I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

Eran d'intorno violette e gigli
fra l'erba verde, e vaghi fior novelli
azzurri gialli candidi e vermigli:
ond'io porsi la mano a côr di quelli
per adornar e' mie' biondi capelli
e cinger di grillanda el vago crino.

I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino.

Ma poi ch'i' ebbi pien di fiori un lembo,
vidi le rose e non pur d'un colore:
io colsi allor per empir tutto el grembo,
perch'era sì soave il loro odore
che tutto mi senti' destar el core
di dolce voglia e d'un piacer divino.

I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino.

I' posi mente: quelle rose allora
mai non vi potre' dir quant'eran belle;
quale scoppiava della boccia ancora;
qual'eron un po' passe e qual novelle.
Amor mi disse allor: «Va', co' di quelle
che più vedi fiorite in sullo spino».

I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino.

Quando la rosa ogni suo' foglia spande,
quando è più bella, quando è più gradita,
allora è buona a metter in ghirlande,
prima che sua bellezza sia fuggita:
sicché fanciulle, mentre è più fiorita,
cogliàn la bella rosa del giardino.

I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.

La Primavera - Sandro Botticelli - 1480 circa - Firenze, Galleria degli Uffizi