Eugène Delacroix

La fonte di un genio è la sola immaginazione, la raffinatezza dei sensi che vede quello che gli altri non vedono, o lo vede in modo diverso.

Eugène Delacroix nacque il 26 aprile 1798 a Charenton-Saint-Maurice, in Francia, da una nobile famiglia borghese che gli permise di studiare nella più prestigiosa scuola di Parigi. Fu un allievo eccellente e la solida cultura classica fece di lui uno degli artisti più colti della sua generazione, il massimo esponente del movimento romantico francese, il "principe dei romantici".

Appassionato di letteratura, era legato da amicizia col poeta francese Charles Baudelaire, più giovane di lui, che ne dipinse un ritratto psicologico.

«... Misto di scetticismo, di educazione, di dandysmo, di ardente volontà, d'astuzia, di dispotismo e infine di una specie di bontà particolare e di "moderata tenerezza" che accompagna sempre il genio».

Delacroix fu affascinato dalla poesia italiana, in particolare lesse Dante e, da romantico, Torquato Tasso. A livello artistico si ispirò ai geni immortali di Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio.

Il suo primo grande dipinto, La barca di Dante, datato 1822 e custodito al Museo del Louvre, raffigura un episodio dell'Inferno, in particolare quando nel Canto VIII l'Alighieri e Virgilio vengono traghettati dal demone Flegiàs nel fiume Stige per giungere alla città infuocata di Dite.

Il Poeta appare spaventato e alza il braccio destro come per tenere lontano un dannato. Virgilio, sua amorevole guida, gli tiene la mano sinistra per incoraggiarlo.

L'iracondo fiorentino Filippo Argenti tenta di rovesciare l'imbarcazione e, furibondo, morde il legno della barca. Le altre anime immerse nell'acqua fangosa sono preda della loro stessa rabbia e si mordono a vicenda. Alla sinistra di Dante si vedono le mura della città di Dite avvolte da un fumo minaccioso.

I corpi muscolosi, che riprendono i movimenti agitati delle onde della palude per enfatizzare l'instabilità dell'imbarcazione, sono realizzati con un effetto di chiaroscuro tipico dei personaggi michelangioleschi.

L'opera omaggia La Zattera della Medusa dell'amico Théodore Géricault, preso a modello nella produzione di Delacroix che lo considerò sempre come un maestro nonostante fossero quasi coetanei.

Tasso nell'ospedale di Sant'Anna, dipinto del 1839, vede il poeta della Gerusalemme Liberata nella prigionia di sette anni in manicomio. Dopo un terribile periodo di totale segregazione, gli venne concessa una relativa libertà che gli permise di ricevere visite, di studiare e di scrivere. La produzione fu intensa e le lettere elementi preziosi per capirne la psicologia, tuttavia lo scrittore era turbato da continui incubi e da allucinazioni. Proprio ciò sembrano raffigurare le persone che lo guardano dalle sbarre. Egli era convinto che un folletto gli mettesse in disordine le sue carte e che un mago lo perseguitasse.

L'opera è simbolo della condizione malinconica degli artisti incompresi, considerati folli ed emarginati dalla società. Scriveva Tasso:

«Come ribello contra il Principe, mio Signore, per elezione, come ingiurioso contra gli amici e conoscenti, e come ingiusto contra me stesso sono trattato; e sono scacciato dalla cittadinanza, non di Napoli o di Ferrara, ma del mondo tutto [...] privo di tutte l'amicizie, di tutte le conversazioni, di tutti i commerci, della cognizion di tutte le cose, di tutti i trattamenti, di tutti i conforti: rigettato da tutte le grazie, e in ogni tempo, e in ogni luogo egualmente schernito e abbominato».

Febbricitante, lacero, in fondo alla segreta,

straziando un manoscritto sotto i piedi, il poeta,

con occhi che l’orrore brucia, una scala affissa

vertiginosa, dove il cuor gli s’inabissa.

Risa ebbre e bizzarre empiono la prigione,

e invitano all’assurdo la sua stanca ragione;

il Sospetto lo assedia, e goffa e laida e varia

circola la Paura attorno a lui nell’aria.

Questo genio rinchiuso in un’orrida grotta,

fra smorfie, urla, fantasime che in turbinosa frotta

gli si rivoltan dietro l’orecchio, questo assorto

veggente che si sveglia in un carcere smorto…

ecco il tuo emblema, o Anima colma di sogni, oscura

Anima che il Reale serra fra quattro mura!

Charles Baudelaire


Michelangelo nel suo studio, datato 1846, è un omaggio al genio del Buonarroti, raffigurato immerso nei pensieri, vicino alle sue grandi sculture. Proprio nel Romanticismo ottocentesco nacque l'immagine dell'artista come eroe romantico e come genio, che il Rinascimento aveva collaborato a creare.

Delacroix fu legato da un'amicizia dolce e sincera a un compositore polacco che in quegli anni incantava i salotti di Parigi con i suoi brevi e immensi pezzi per pianoforte: Fryderyk Chopin.

Il musicista era più giovane di lui e insieme passavano interi pomeriggi e serate a parlare di arte, musica e a farsi compagnia, sostenendosi nelle difficoltà che le loro fragili esistenze incontravano ogni giorno. Erano entrambi sensibili, sofferenti, malati. La loro rivincita era però quella di vivere con lo spirito, da veri artisti romantici che si perdono nelle proprie emozioni.

Delacroix, grande conoscitore di musica, assegnò a Chopin il posto migliore dopo Mozart; Chopin, invece, che tanto lo ammirava come uomo, non amava la sua pittura, preferendogli per esempio un artista come Ingres. Nonostante le loro differenze di cultura, si capivano perfettamente con il cuore. Il pittore realizzò un ritratto dell'amico e scriveva di lui:

«Ho sempre dei lunghi colloqui con Chopin, che amo molto e che è un uomo di rara distinzione: è l'artista più vero che io abbia incontrato. Fa parte di quel ristretto numero di coloro che si possono ammirare e stimare».

Il loro era dunque un legame vero; restarono uniti fino alla fine, trovando nello stare insieme quel conforto che nessun altro affetto riuscì a donargli e nelle loro chiacchierate un momento di pace e felicità nel vuoto inspiegabile che si prova nelle incolmabili tristezze delle vite d'artista.

«La sera, da Chopin. L'ho trovato molto accasciato, quasi senza respiro. La mia presenza, dopo un po' gli ha fatto bene. Mi diceva che la noia è il suo tormento più crudele. Gli ho chiesto se avesse conosciuto, in passato, il vuoto insopportabile che io sento ogni tanto. Mi ha risposto che sapeva sempre occuparsi di qualche cosa; una occupazione, anche poco importante, riempe i momenti vuoti ed evita queste sensazioni. I dispiaceri sono un'altra cosa»...

Queste righe furono scritte il 14 aprile del 1849. Chopin era ormai stanco, privo di forze, segnato da anni di sofferenza; si spense poco dopo, giovanissimo, la notte del 17 ottobre dello stesso anno. Accanto a lui, l'amico Delacroix.

Ritratto di Fryderyk Chopin - 1838

Autoritratto - 1840

La Libertà che guida il popolo è il capolavoro di Delacroix, datato 1830 e custodito nel Museo del Louvre.

«Ho cominciato un tema moderno, una barricata, e se non ho combattuto per la patria, almeno dipingerò per essa»...

L’artista ha voluto rendere omaggio alle tre giornate della Rivoluzione parigina del 1830. L’insurrezione era stata provocata da quattro ordinanze con le quali re Carlo X Borbone aveva violato la Costituzione del 1814.

I combattimenti emergono dal fumo degli incendi e dalla polvere del crollo della barricata fatta di travi e grosse pietre, coperta di cadaveri e moribondi. Una giovane donna regge nella mano destra la bandiera francese e guida il popolo ad avanzare; nella sinistra un fucile con baionetta. La figura è simbolo di Libertà e coniuga i caratteri della dea e della popolana. Essa sembra discesa dal cielo per guidare la Francia alla rivolta. Delacroix nel dipingerla fa riferimento al modello classico della Venere di Milo, scoperta nel 1820 ed esposta al Louvre.

La Libertà è circondata da personaggi rappresentanti le varie classi sociali, unite nella lotta contro il tiranno. Vi sono un popolano, un militare, un borghese. Sulla destra si possono scorgere le torri di Notre-Dame.

L’artista ebbe il merito di trasformare l’omaggio al moto di rivoluzione di un singolo popolo in un inno universale alla libertà dell’uomo.

Delacroix lavorò instancabilmente fino agli ultimi anni. Morì a Parigi il 13 agosto 1863. Il suo stile influenzò molto gli artisti a lui successivi: Paul Cézanne, suo grande ammiratore, affermò: «dipingiamo tutti come Delacroix». Fu il precursore della pittura espressionista per i suoi sfondi dipinti rapidamente e con violenza e il modello per alcuni impressionisti. Seguirono il suo stile autori come Édouard Manet, che realizzerà ben due versioni del capolavoro La barca di Dante, Pierre-Auguste RenoirEdgar Degas, Odilon Redon, Henri Matisse, Paul Gauguin e persino Vincent Van Gogh. Alla fine del percorso dei Musei Vaticani si può infatti trovare la Pietà realizzata dall'olandese su modello di Delacroix, l'unico tra i suoi vari dipinti a raffigurare il volto di Cristo.

«Io voglio piacere all'operaio che mi porta un mobile; voglio lasciare soddisfatti di me l’uomo col quale il caso mi fa incontrare, sia un contadino o un gran signore. Col desiderio di riuscire simpatico e di aver rapporti con la gente, vi è in me una fierezza quasi sciocca, che mi ha quasi sempre fatto evitare di vedere le persone che potevano essermi utili, per timore di aver l’aria di adularle. La paura di essere disturbato quando sono solo deriva ordinariamente dal fatto che io sono occupato dalla mia grande faccenda che è la pittura: io non ne ho nessun’altra importante»...

Omaggio a Delacroix - Henri Fantin-Latour - 1864 - Parigi, Museo d'Orsay