Margherita di Savoia

Regina per sempre
Onde venisti? Quali a noi secoli
sí mite e bella ti tramandarono?
fra i canti de' sacri poeti
dove un giorno, o regina, ti vidi?

Con questi versi sublimi un repubblicano convinto come Giosuè Carducci comincia la sua celebre ode Alla Regina d'Italia in onore di Margherita di Savoia, figura amatissima dal popolo per i suoi modi affabili e dai poeti per la sua eleganza, protagonista indiscussa del trono sabaudo quale moglie di Umberto I durante il tramonto dell'Ottocento e nel ruolo di regina madre nel primo ventennio del XX secolo.
Affascinante, capace di guadagnarsi l'affetto dei sudditi per la sua semplicità, ma allo stesso tempo sicura di sé e autoritaria, Margherita era la donna perfetta per interpretare una parte tanto prestigiosa che nessuno aveva mai recitato prima, affrontando il compito con serietà e coraggio.
Grazie a lei, donna di grande cultura e sensibilità estetica, circondata dai migliori artisti, poeti e intellettuali dell'epoca, il Quirinale divenne una delle corti più importanti in Europa, il cui sfarzo dei ricevimenti, dei balli e dei salotti letterari ruoterà costantemente attorno alla sua figura, descritta con entusiasmo anche dalle poetiche parole di Gabriele d'Annunzio in occasione della prima romana del Lohengrin di Richard Wagner: "La Regina aveva un abito di broccato candido chiuso intorno al collo, molto semplice, e sui capelli alcune rose tee. In quella semplicità, le regali grazie luminavano più vive... Ascoltava con attenzione, un po' chinata verso il palcoscenico. Quando Lohengrin salì sul battello del Cigno, in mezzo alla luce mitica che gli percoteva nell'armatura d'argento, la Regina si levò ed apparve bellissima, erta di tutto il busto, plaudente. Guardandola, io mai come ieri sera sentii il fascino dell'eterno femminino regale".

Margherita fu una delle prime a comprendere l'importanza del consenso popolare, proponendosi di nazionalizzare la monarchia e divenendo presto un chiaro punto di riferimento per il paese, come ebbe a dire Indro Montanelli: "Era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina".

Fu a seguito dell'unificazione nazionale, quando Umberto divenne erede al trono d'Italia, che cominciò la ricerca di una moglie adatta al ruolo, in grado di rafforzare una dinastia che doveva riuscire a legare nel suo nome l'intero paese. Si fecero così molte ipotesi, guardando alle varie corti europee, sino a quando Vittorio Emanuele II, il "Padre della Patria", capì che la migliore fra le candidate a divenire la prima regina di casa Savoia altri non era che una principessa di famiglia, figlia di Elisabetta di Sassonia e di Ferdinando duca di Genova, fratello del re. Margherita, cugina di primo grado di Umberto, piaceva molto a Vittorio Emanuele perché sin da ragazza mostrava l'orgoglio di appartenere al casato, maturando presto una concezione assolutistica del trono che avrebbe dunque consolidato il potere.

Vittorio Emanuele II in un ritratto di Tranquillo Cremona.

Margherita, nell'immaginario collettivo, era una donna determinata ma benevola, simbolo materno dell'unità appena raggiunta, capace di esercitare il proprio potere e influenzare le scelte politiche. Ella, nonostante i difficili momenti storici che suo marito dovette affrontare, non era nemmeno lontanamente preoccupata che il prestigio della corona potesse essere messo in discussione, fermamente convinta che la forza fosse dalla parte del potere e che riuscisse sempre a ristabilire l'ordine. Iniziò così a manifestare simpatie per governi forti e guidati da uomini autoritari.

Ritratto di re Umberto I.

Nella coppia Umberto era sicuramente quello più tollerante e condiscendente, preoccupato più di tutto del confronto con l'ingombrante figura paterna, un uomo che riuscì a trasformare i Savoia da sovrani di un piccolo regno subalpino nella casa regnante dell'Italia con capitale Roma. Anche Margherita aveva per tali motivi un assoluto rispetto e una profonda stima per Vittorio Emanuele, lo zio divenuto nell'anno 1868 anche suo suocero.

Il matrimonio tra Margherita e il principe Umberto.

I futuri regnanti si sposarono a Torino in quelle che furono definite le "nozze del secolo", perché in grado di attirare le simpatie popolari e rafforzare il senso di unità. Alla cerimonia seguì infatti un viaggio per le varie città italiane nel quale si capì sin da subito che il fascino di Margherita, capace di accattivarsi la simpatia di chiunque l'avvicinava, sarebbe divenuta la vera protagonista del trono sabaudo.

Una foto di Margherita nell'anno delle nozze.

In questo senso fu davvero emblematico l'ingresso di Margherita in Roma capitale nel gennaio del 1871, che si potrebbe quasi definire come una seconda conquista della città a seguito di quella dell'anno precedente. Per i novelli sposi fu organizzato un corteo lungo il cui percorso si recò una folla immensa nonostante il freddo e la pioggia battente. Margherita, sapendo che in molti si rammaricavano di non poterla vedere, capì che un suo gesto avrebbe potuto conquistare tutti quei sudditi, così ordinò di scoprire la carrozza affrontando le intemperie pur di donare un grazioso saluto a chi l'acclamava. Il risultato fu che una volta giunti al Quirinale, i principi dovettero affacciarsi più volte al balcone per i rispondere ai lunghi applausi.
Il rapporto con la città eterna, nonostante il trionfo di Margherita, risentiva però dell'ostilità della Chiesa, che a seguito della breccia di Porta Pia, regnante papa Pio IX, continuava a non riconoscere il Regno d'Italia anche con il nuovo pontefice Leone XIII, salito al soglio petrino lo stesso anno dell'incoronazione di Umberto. Non bastò nemmeno la fede di Margherita, regina cattolica e molto devota, per ricucire dei rapporti sui quali gravava una ferita ancora troppo profonda. Questa era una delle principali preoccupazioni per Umberto, insieme ai debiti lasciati dal padre cui si aggiungevano anche i primi disordini sociali, condizionando il suo carattere malinconico e rassegnato, quasi consapevole del proprio destino, lasciandosi spesso trasportare da momenti di totale sconforto: "Essere re d'Italia è un mestiere che invecchia".

Un ritratto di re Umberto presso la villa Reale di Monza.

Come ogni matrimonio dinastico anche quello di Margherita e Umberto non fu semplice e il sentimento, se vi è stato, durò ben poco. Lo si capisce bene sin dalla dichiarazione di Umberto, molto formale, e dall'altrettanto risposta della sposa: "Margherita, vuoi essere mia moglie?". "Tu sai quanto sono orgogliosa di appartenere a Casa Savoia. Lo sarò anche di più diventando tua moglie".
Il re sin da giovanissimo era innamorato di una dama milanese più anziana di lui, Eugenia Bolognini duchessa Litta, divenuta la favorita una volta che Umberto prese il potere. I due reali, col tempo, finirono così per allontanarsi, conducendo vite separate, pur mostrandosi uniti in pubblico. Per i sudditi erano infatti una bella coppia, in quanto Margherita, nonostante l'amarezza, seppe sempre interpretare con eleganza il proprio ruolo al quale era stata educata, oltre che con serietà e modernità, mostrandosi sorridente e cortese nei modi, divenendo il simbolo delle speranze di una giovane nazione.

Umberto e Margherita durante il soggiorno napoletano.

Non appena sposi i due reali si trasferirono a Napoli, ancora una volta per ragioni di unità nazionali essendo la città divisa tra i nostalgici filoborbonici e i favorevoli ai Savoia.
Proprio a Napoli giunse la notizia tanto attesa della dolce attesa di Margherita, per la gioia di Umberto e di Vittorio Emanuele II, che si recò personalmente a visitare la nuora nonostante le precarie condizioni di salute. La sera dell' 11 novembre 1869 venne alla luce il futuro Vittorio Emanuele IIIa seguito però di un parto travagliato e di lunga durata che costò alla regina l'impossibilità di avere altri figli.

Sarà un rapporto alquanto difficile quello fra l'erede al trono e Margherita, nonostante il piccolo Vittorio Emanuele crebbe circondato dall'affetto e dalle attenzioni della madre. Sin da subito il neonato, piccolo e gracile di costituzione, aveva manifestato problemi respiratori nonché di crescita. Si iniziò così a criticare la decisione di sposarsi fra parenti, scelta approvata eccezionalmente dalla Chiesa che normalmente vietava le nozze tra consanguinei.
Il principe, durante l'adolescenza, manifesterà non pochi complessi di inferiorità che si porterà avanti per l'intera esistenza, divenendo introverso e cinico sino a disprezzare tutti. Secondo un aneddoto quando la regina propose un giorno al figlio di passeggiare insieme per Roma egli le rispose: "E dove vuoi andare a mostrarti con un nano?".

Il re Umberto era molto distaccato nei confronti del figlio, preoccupato e forse deluso dalle sue infelici condizioni fisiche, seguendo una didattica familiare, già adottata nei suoi confronti, secondo la quale "in casa Savoia, si regna uno alla volta". I principi ereditari dovevano infatti essere tenuti al di fuori di ogni contatto con gli affari di Stato e dalla vita politica in attesa del loro turno. In questo modo si cercava di non addossare ai futuri sovrani le responsabilità, ed eventualmente le colpe, di chi li aveva preceduti, tuttavia si correva il serio rischio che salissero al trono senza alcuna esperienza.
Per sopperire a questa mancanza la regina Margherita scelse un'educazione decisamente severa per suo figlio, al punto che il re Umberto arrivò quasi a provare compassione per il giovane erede, cercando a volte di alleggerire l'atmosfera dicendogli, per scherzo: "Ricordati che ad un re basta sapere fare la propria firma, leggere il giornale e montare a cavallo".

Margherita teneva moltissimo all'educazione del figlio, che di fatto fu il primo sovrano di casa Savoia a crescere veramente istruito e con una profonda cultura adatta al compito che lo aspettava, tuttavia questo non riuscì a colmare in lui quel senso di inferiorità che sarà il suo punto debole per tutta la vita, ma nemmeno ad evitare che il "piccolo re" finisse vittima di uno dei periodi più drammatici della storia contemporanea, divenendone inevitabilmente il maggiore responsabile. La severa educazione, per la quale Vittorio Emanuele era costretto a trascorrere gran parte della propria giornata con numerosi precettori, finì invece per allontanare sempre più madre e figlio nei loro rapporti. Margherita si occupò personalmente solo del catechismo, non riuscendo però a trasmettere la dottrina e la fede nella quale fermamente credeva. Vittorio Emanuele diverrà infatti un uomo laico, materialista e anticlericale.

Il "Padre della Patria" al centro con a fianco i figli Umberto e Amedeo. Alla sua destra in primo piano la principessa Margherita con in braccio il piccolo erede.

Quando Vittorio Emanuele era ancora bambino i genitori decisero di intraprendere con lui un viaggio per le varie città d'Italia al fine di legare ulteriormente il popolo alla dinastia sabauda. Fu un notevole successo per la famiglia, con la folla che ovunque accorreva numerosa per salutare i sovrani e l'erede, tuttavia a Napoli il re subì il primo dei tre attentati alla sua vita, l'ultimo dei quali gli sarà fatale. Riuscito ad avvicinarsi alla carrozza reale, il giovane anarchico Giovanni Passanante si scagliò contro Umberto con in mano un pugnale. Il monarca riuscì prontamente a difendersi colpendo l'assalitore con l'elsa della sciabola, aiutato anche dal Presidente del Consiglio Cairoli, rimasto ferito. Margherita, che aveva accanto a sé il figlio, fu segnata profondamente da quella giornata, maturando ancor di più la convinzione della necessità di una politica forte; Umberto mantenne invece la sua consueta calma apparente anche di fronte ad un fatto tanto grave e preoccupante, quasi arrendevole al proprio destino.

L'episodio dell'attentato raffigurato su un giornale dell'epoca.

Interessante è analizzare la diversa reazione all'accaduto da parte dei due sovrani, con Margherita che dichiarò apertamente il proprio stato d'animo turbato, la propria inquietudine, pronunciando una frase emblematica che sembrò anticipare le avversità che di lì in avanti avrebbe dovuto attraversare la corona: "Si è rotto l'incantesimo di Casa Savoia!". La regina sembrava comprendere come parte della popolazione, nonostante i trionfi di quel momento storico, non avrebbe mai accettato pienamente la dinastia, e soprattutto che le acclamazioni e gli omaggi non facevano che nascondere il fatto che quel carattere tra mitico e sacro del trono in cui lei credeva profondamente non esisteva ormai più.
Il re, invece, quantomeno appariva sereno, sebbene in lui aumentava il malumore e un sentimento di sconforto. In pubblico, la sera stessa dell'attentato, era riuscito anche a strappare una risata ai commensali, sollecitandoli a prendere posto a pranzo: "Mettiamoci a tavola e non facciamo più aspettare i cuochi. Avete visto, signori, di che cosa sono capaci". Passanante era un cuoco disoccupato. Nessuno può sapere, però, cosa doveva pensare in realtà il sovrano in quell'esatto momento in cui sorprese tutti con quest'ottima battuta.

Margherita e Umberto in una rara fotografia.

Forse in questi momenti Margherita amava sinceramente Umberto, educata com'era al culto del coraggio nonché al profondo rispetto, ancor prima del marito, del proprio sovrano. I due erano però sempre più lontani nella vita privata, con la residenza del Quirinale, luogo di rappresentanza e di sfarzo, che era divenuto il teatro per Margherita dove mettere in scena tutto il suo fascino regale, con balli, pranzi e cenacoli intellettuali, mentre Umberto aveva trovato nella città di Milano e nel territorio lombardo il proprio ambiente d'elezione, scegliendo di soggiornare spesso alla villa Reale di Monza, probabilmente anche per ragioni di vicinanza con l'amante, la duchessa Litta.

Margherita fu l'unica in casa Savoia ad amare il Quirinale e a farne, grazie alla sua sensibilità estetica e il suo carattere intraprendente, la corte più splendida e prestigiosa d'Europa, con ricevimenti e feste di grande classe ai quali partecipavano i politici, i poeti e i migliori artisti dell'epoca. Non sarà ovviamente lo stesso con Elena del Montenegro, moglie di Vittorio Emanuele III, regina dai modi completamente diversi rispetto a quelli solenni di Margherita. Quei balli e quelle serate al Quirinale al tempo di Umberto e Margherita rimarranno così nell'immaginario di un sereno periodo, quello della Belle Époque, destinato a finire troppo presto. Intanto cresceva sempre di più la leggenda della prima regina d'Italia e si può affermare con certezza che se l'Italia post unitaria aveva avuto il mito del Gran Re, l'Italia umbertina nutriva una sorta di venerazione per la sua amata regina, che per la grazia con cui ricopriva il proprio ruolo fu sin da subito celebrata più del marito, divenendo la vera immagine della monarchia.

Fu una relazione alquanto controversa quella fra i sovrani di casa Savoia e il Quirinale, un palazzo che in questo periodo viveva il suo massimo splendore grazie a Margherita ma che i re non hanno mai amato molto. Vittorio Emanuele II, a seguito della presa di Roma, non voleva infatti alloggiare in un edificio contestato dal papa, forse anche per motivi di superstizione. Il "Padre della Patria" aveva voluto al Quirinale il reggimento dei Corazzieri, la guardia d'onore dei re, ancora oggi al servizio del Presidente della Repubblica, nati nel 1868 in occasione delle nozze tra Umberto e Margherita come scorta al corteo regale.

Re Vittorio Emanuele II al Quirinale.

Come detto, Umberto I preferiva la residenza monzese al Quirinale, mentre Vittorio Emanuele III elesse a sua dimora la più borghese villa Savoia. Forse Umberto II, il nipote che Margherita amava moltissimo, avrebbe desiderato restarvi più di tutti, essendo cattolico nonché amante del bello, tuttavia vi poté alloggiare solo nel mese e poco più, complicatissimo, che si trovò a regnare.

I novelli sposi Umberto II e la principessa Maria José del Belgio affacciati al balcone del Quirinale.

Si può dire che il giovane Umberto e sua moglie Maria José, che secondo l'opinione di Montanelli sarebbero stati un eccellente re e una validissima regina, assomigliavano maggiormente ad Umberto I e Margherita rispetto a Elena e Vittorio Emanuele. Se il figlio di Margherita aveva impostato uno stile di vita coniugale lontano da quello dei suoi genitori, eliminando ogni aspetto mondano a corte, con Elena che fu una regina semplice nei modi e più che mai lontana dalle decisioni politiche, Umberto II e Maria José erano invece, sebbene non uniti come coppia, amatissimi dal popolo, con la principessa, donna di cultura desiderosa di ricoprire attivamente e con modernità il proprio ruolo da regina, che sarebbe potuta divenire un simbolo del paese come lo fu Margherita.
Umberto II nacque nel 1904, a seguito dunque del regicidio di suo nonno, per la gioia di Margherita, forse la più grande della sua vita. Il nipote, così diverso da suo padre Vittorio Emanuele, era l'orgoglio di Margherita, che rivedeva compiaciuta in lui, alto, raffinato, sensibile e credente, la figura di Carlo Alberto, padre del primo re d'Italia, con il quale Umberto condividerà la triste sorte dell'esilio in Portogallo.

Umberto con la nonna, la regina madre Margherita.

Tornando al ventennio conclusivo dell'Ottocento, decisivo sul piano internazionale fu nel 1881 il viaggio dei reali d'Italia a Vienna in visita all'imperatore Francesco Giuseppe. Anche questa volta assoluta protagonista fu Margherita, nonostante il difficile confronto con Sissi, la famosa principessa moglie dell'imperatore. Donna elegante, dal grande charme e dall'altissima cultura, divenuta una vera celebrità dell'epoca, l'imperatrice aveva però un difetto, ossia un certo distacco dalla folla, apparendo poche volte in pubblico e con freddezza. Margherita seppe sfruttare il proprio consenso popolare con la gentilezza dei modi e la grazia nel presentarsi ai sudditi, che subito ne rimasero incantati.

L'imperatore Francesco Giuseppe a sinistra e Umberto I a destra con al centro le rispettivi consorti seduti sul palco reale del Teatro dell'Opera di Vienna.

Anche Umberto ottenne con questo viaggio un notevole successo, guadagnandosi la stima e la fiducia del più anziano Francesco Giuseppe, che lo riteneva migliore di suo padre. Il re d'Italia condividerà il tragico epilogo con la principessa Sissi, anch'ella vittima di un attentato da parte di un anarchico italiano due anni prima del nostro sovrano.
Al Quirinale, vera e propria vetrina per gli incontri con i grandi d'Europa, tra cui re Edoardo VII d'Inghilterra e il Presidente della Repubblica francese Émile Loubet, fu ospite per due volte in questi anni l'imperatore tedesco, il Kaiser Guglielmo II, che qui vediamo seduto in primo piano accanto all'erede al trono d'Italia, alla sua sinistra. In piedi si riconosce Umberto, mentre Margherita è più in disparte alle spalle dell'imperatore.

I buoni rapporti con Austria e Germania porteranno alla firma, il 20 maggio 1882 a Vienna, della Triplice alleanza, un accordo segreto che durò sino al patto di Londra del 1915, quando Vittorio Emanuele III decise per il passaggio dell'Italia dalla Triplice alleanza all'intesa con Francia e Inghilterra, senza metterne al corrente il Parlamento e il Paese, decretando l'ingresso nella Prima guerra mondiale.
Il figlio di Margherita, completamente diverso per carattere ed educazione dalla madre, non nutriva infatti simpatia per Guglielmo II e non condivideva l'entusiasmo della regina per la famiglia imperiale tedesca. Margherita, filotedesca, non poteva invece che approvare pienamente la scelta del marito, determinata ad essere sempre dalla parte dei governi forti e avendo una visione assolutistica della monarchia. Si può allora capire il timore che avrà quando suo figlio sceglierà di partecipare alla Grande Guerra, un conflitto che secondo la regina madre avrebbe potuto causare l'avvento delle democrazie e decretare l'epilogo delle grandi dinastie.

Madre e figlio saranno in disaccordo anche durante l'ascesa fascista, quando Benito Mussolini prendeva il potere per l'entusiasmo della regina madre, affascinata dall'uomo forte al comando, mentre Vittorio Emanuele, che fascista non era e non nutriva alcuna simpatia per il duce, si trovava in una posizione alquanto complicata. Alla fine si rassegnò ad accettare il ministero Mussolini, preoccupato per la sua posizione e quella della corona, viste anche le simpatie dei cugini Aosta per il movimento fascista. Chissà allora se nel non proclamare lo stato d'assedio nel 1922 giocò un ruolo decisivo anche la madre, il cui pensiero a riguardo era ben noto al "piccolo re". Si può dire lo stesso di quando anni dopo il sovrano, ormai succube di Mussolini, lasciò che il paese entrasse in una folle guerra a fianco della Germania. Anche in questo caso le idee della madre, venuta a mancare nel 1926, gli tornavano probabilmente in mente e questa volta decise purtroppo, al contrario di quanto aveva fatto nel primo conflitto mondiale, di ascoltarle.
Oltre all'orientamento filotedesco, all'idea riguardo il fascismo e alla posizione durante la Grande Guerra, che comunque Margherita sostenne una volta che il figlio decise di entrarvi, Vittorio Emanuele e sua madre erano stati divisi anche ai tempi del governo Crispi, conclusosi nel 1896 a seguito del fallimento dell'impresa coloniale in Etiopia con la disastrosa battaglia di Adua. Vittorio Emanuele preferiva a Crispi il suo acerrimo rivale, Giovanni Giolitti, aprendo allo statista piemontese la sua grande carriera politica che caratterizzerà i primi quindici anni del Novecento.
Lo stato d'animo della regina madre in questi anni si può ben sintetizzare con una battuta che pronunciò divisa tra ironia e amarezza: "Mio figlio ha due manie, il suo presidente del Consiglio e sua moglie Elena".

A sinistra re Vittorio Emanuele e al centro Giolitti.

Se la politica del figlio era tutta sbagliata agli occhi della madre, anche la vita coniugale con Elena doveva apparirle quantomeno non consona ad una coppia reale, essendo la consorte troppo brava madre di famiglia e troppo poco regina, con i suoi modi borghesi nell'educare le figlie.
Margherita era pur sempre una Savoia, amatissima dal popolo, e sicuramente questo dovette pesare su Elena, anche se la regina madre, appena accaduto il regicidio, fu costantemente attenta a rispettare le etichette nonostante il profondo rammarico di aver perduto la corona, un dolore accentuato dalle scelte politiche del figlio, il quale decise per un nuovo corso liberale dimostrando con i fatti che non aveva inclinazioni da reazionario e che il senso profondo della tragica morte del padre non gli era sfuggito.
La regina madre, a seguito di un soggiorno a Roma presso palazzo Margherita in via Veneto, decise poi di ritirarsi in un esilio volontario, non in montagna, dove era solita trascorrere molte vacanze, bensì in Liguria, a Bordighera. In questa scelta si può ipotizzare una volontà di non pesare sulle decisioni dei sovrani, fedele alla regola di casa Savoia secondo cui era ormai passato il suo turno, e soprattutto per non risultare una figura troppo ingombrante nei confronti di Elena.

Da sinistra Vittorio Emanuele, la regina Margherita, Umberto I e la principessa Elena.

In tarda età, ai pochi intimi confidenti, Margherita dichiarò che il rimpianto e il dispiacere più grande della sua vita era stato quello di non essere potuta stare vicino al figlio, nei monti difficili come in quelli di felicità, scegliendo di farsi elegantemente da parte per cercare di aiutarlo nell'ottenere un maggiore consenso, ma purtroppo Vittorio Emanuele, uomo certamente dotato di una notevole intelligenza e nei primi anni di regno abile uomo politico, non aveva molta sensibilità e non seppe mai guadagnarsi l'affetto della gente, cinico e testardo nella convinzione di essere l'unico in grado di mantenere il trono, accorgendosi troppo tardi, forse per invidia, che il figlio aveva ormai più popolarità di lui e che avrebbe potuto salvare la monarchia.

Vittorio Emanuele sul trono durante un discorso e alla sua sinistra Umberto.

L'ultimo grande momento di gioia e di sincero affetto nella vita di Margherita e suo marito Umberto I fu rappresentato dai solenni festeggiamenti per le loro nozze d'argento nell'anno 1893, in straordinarie cerimonie che si può dire segnarono la fine di quel sogno monarchico in cui aveva sempre creduto la regina. Perfetta conclusione di quella giornata fu la serata a teatro per assistere al Falstaff dell'ormai anziano Giuseppe Verdi, chiamato da Umberto sul palco reale per essere applaudito, in un nobile gesto assai gradito dal pubblico in sala.

Seguì un periodo difficile e di profonda crisi per la corona, segnato nuovamente da un attentato alla vita del sovrano avvenuto a Roma nella primavera del 1897, quando un anarchico di nome Pietro Acciarito si scagliò contro la carrozza dove vi era, questa volta, solo il sovrano. Umberto fu svelto anche in questo caso nell'intuire la volontà del giovane e nel ritrarsi balzando in piedi per schivare la pugnalata. L'assalitore fu arrestato e condannato all'ergastolo dato che il re aveva abolito la pena di morte.

In quegli anni Margherita, preoccupata, aveva perso quel fascino regale, quella soave bellezza che aveva incantato Carducci e l'intero popolo italiano. Tendeva ad ingrassare, si era appesantita, anche se in occasione del matrimonio del figlio, nel 1896, i sudditi, facendo inevitabilmente un confronto con Elena, continuavano a preferire Margherita, che rimase sempre nell'immaginario collettivo la vera e unica regina.

Non fu dunque la figura della regina bensì il prestigio della corona come istituzione a perdere i consensi in quegli anni di crisi e disordini sociali sfociati nei drammatici moti di Milano del maggio 1898, quando il generale dell'esercito Fiorenzo Bava Beccaris ordinò di sparare colpi di cannone sulla folla di manifestanti. Il re, invece che condannare il gesto, premiò il suo comportamento conferendogli la Croce di Grand'Ufficiale dell'ordine militare dei Savoia, nominandolo inoltre senatore. La conseguenza di tale atteggiamento sarà il regicidio di due anni più tardi.

Nei giorni precedenti a quel tragico 29 luglio 1900, Margherita aveva avuto continui e non nascosti presentimenti, tremando ogni volta che il marito doveva uscire e pregandolo di rimanere a casa. In quella afosa serata estiva monzese Umberto non poté però fare a meno di andare incontro al proprio destino, fatalità che ispirò l'ode di Giovanni Pascoli intitolata Al Re Umberto.
Il sovrano era stato invitato ad una manifestazione ginnica alla quale avrebbe dovuto premiare i vincitori, recandosi solamente poco prima della conclusione perché infastidito dalla tosse. Per la calura chiese una carrozza aperta, scegliendo incautamente di non indossare nemmeno, sotto il panciotto, la maglia d'acciaio, accettando i rischi della propria condizione con un certo fatalismo.

I reali mentre scendono le scale della villa monzese e l'esatto luogo oggi.

I sovrani si erano trasferiti alla reggia per trascorrervi la stagione estiva, circondati dalla pace di questo luogo tanto meraviglioso, progettato dall'architetto Giuseppe Piermarini, ancora oggi avvolto però da una sottile malinconia che inevitabilmente incombe a seguito del regicidio di Umberto. All'epoca il sovrano appariva come un uomo stanco che aveva perso popolarità, invecchiato precocemente, dimagrito per le insoddisfazioni quotidiane e stressato dalle molte preoccupazioni.

Passate le nove il re uscì con la sua carrozza, recandosi al campo sportivo poco distante dalla villa dove si trattenne per circa un'ora trascorrendo un piacevole momento: "Fra questi giovanotti in gamba mi sento ringiovanire".
Ad attenderlo tra la folla vi era anche l'anarchico Gaetano Bresci, emigrato negli Stati Uniti e tornato in patria con i pochi soldi che aveva appositamente per uccidere Umberto, nella sua idea l'unica soluzione per vendicare le vittime innocenti di Milano.
Verso le ventidue e trenta, salutato dagli applausi degli atleti e dalle note della Marcia Reale, il sovrano si congedò salendo sulla carrozza circondata dalla gente. Bresci approfittò della confusione e della distrazione dei servizi di sicurezza per sparare quattro colpi di pistola, di cui tre centrarono il bersaglio. Nella concitazione generale il cocchiere partì al galoppo verso la reggia, mentre il re mormorava: "Avanti, credo di essere ferito". Quasi senza accorgersi di morire, arrivò alla villa ormai cadavere.

Quando Margherita vide entrare la carrozza nel parco del palazzo a grande velocità capì immediatamente, insorgendo in un grido di dolore: "Hanno ucciso te, che tanto amavi il tuo popolo! Eri tanto buono, non facesti male a nessuno e ti hanno ucciso! Questo è il più gran delitto del secolo". Più avanti ricorderà: "Me lo vidi davanti come Gesù deposto dalla Croce", frase che spiega la statua della Pietà al centro della Cappella Espiatoria, il monumento innalzato dall'architetto Giuseppe Sacconi sul luogo dell'attentato per volere di Margherita e di suo figlio Vittorio Emanuele.

A seguito degli spari di rivoltella del Bresci la folla si raccolse dinanzi alla villa Reale, aspettando notizie raccolta dietro ai cancelli chiusi. All'interno Margherita dimostrava una forza eccezionale, preparando la camera ardente, spedendo telegrammi alle Corti straniere e cercando di avvisare l'erede al trono che si trovava in viaggio a bordo di un panfilo con la moglie Elena.
Vegliò il marito tutta la notte, compiendo la mattina seguente un gesto, subito divenuto celebre al di fuori dalla corte e raccontato dal popolo con sentimenti di ammirazione, che dimostra la sua regalità, vale a dire quello di lasciare entrare per un ultimo saluto la Litta, l'amante che il monarca aveva amato per tutta la vita.

Una rarissima foto della salma del re e il letto su cui fu deposto.

Per combattere il gran caldo, in attesa del ritorno di Vittorio Emanuele, il corpo di Umberto fu tenuto nella vasca del suo bagno e ricoperto di ghiaccio. Quando il nuovo re giunse a Monza incontrò la madre nel salone della villa, provando non poca commozione nel riabbracciarla.

Margherita baciò la mano del figlio, ormai divenuto il suo sovrano, cedendo inoltre il passo a Elena, in un gesto che dovette costarle molto ma che faceva parte delle etichette regali, per lei un vero e proprio culto da rispettare anche in quelle ore così dolorose. Nella camera ardente, davanti al corpo del padre, Vittorio Emanuele rimase impassibile, come se non provasse alcuna emozione. La bara fu poi trasferita a Roma per i solenni funerali al Pantheon, dove Umberto riposa ancora oggi.

Margherita in quei giorni aveva composto una preghiera dedicata alla memoria del marito così tragicamente scomparso, sperando che venisse letta nelle chiese dopo le messe, tuttavia l'anziano Leone XIII si rifiutò di riconoscerla, continuando a considerare i Savoia come nemici della Santa Sede. Anche in questo caso non migliorarono dunque i difficili rapporti fra trono e altare; bisognerà infatti aspettare l'elezione di Pio X nel 1903 per vedere allentate le restrizioni del Non éxpedit, col quale il Vaticano vietava ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana, disposizione poi revocata definitivamente nel 1919 da papa Benedetto XV. Solamente dieci anni dopo, durante il pontificato di papa Pio XI, saranno siglati i Patti lateranensi che ancora oggi regolano i rapporti fra Stato e Chiesa. Con essi la Santa Sede riconosceva il Regno d'Italia sotto la dinastia sabauda con Roma capitale, mentre l'Italia riconosceva lo Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del Sommo pontefice.

Intanto il nuove re prestava giuramento a palazzo Madama, assumendosi le proprie responsabilità in un momento storico tanto complesso e dimostrando un inaspettato coraggio per un ragazzo noto per essere schivo e riservato, attratto da una vita tranquilla, gesto che ispirò i versi di d'Annunzio: "O tu che chiamato dalla morte, venisti dal mare. Giovane che assunto dalla morte fosti Re nel mare".

Per i cinque mesi successivi alla tragedia di Monza, Margherita preferì restare lontana da Roma, indecisa sino all'ultimo se farvi ritorno dovendo ormai ricoprire un ruolo secondario dopo essere stata l'assoluta protagonista e con tanto splendore. Si recò allora a Venezia per un breve periodo, per poi accettare la proposta del figlio fissando la propria residenza a Roma presso quello che divenne palazzo Margherita.
Accolta alla stazione con dimostrazioni di sincero affetto popolare, l'ex sovrana si chiuse a lutto nella sua nuova dimora, che presto divenne la vera reggia. Se Vittorio Emanuele ed Elena conducevano infatti una vita dimessa, con il Quirinale che non viveva ormai più i fasti dell'età umbertina, presso palazzo Margherita si mantenevano rigorosamente le buone tradizioni della regalità. Ogni visitatore doveva così inchinarsi tre volte al cospetto della regina madre e a conclusione del colloquio uscire indietreggiando dalla sala, voltandosi solo dopo aver raggiunto la porta così da non darle le spalle.

Nell'anno 1911, in occasione del cinquantesimo anniversario dell'Unità nazionale, fu inaugurato a Roma il maestoso complesso del Vittoriano, il monumento al "Padre della Patria" simbolo della nostra storia. Alla presenza di re Vittorio Emanuele III, di sua moglie Elena e di Margherita una folla piena di entusiasmo accorse in piazza Venezia, ultimi momenti di serenità prima che molti giovani furono chiamati alle armi e che il Vittoriano diventasse il luogo di sepoltura del Milite Ignoto, a simboleggiare tutti i caduti del primo conflitto mondiale.

Durante la Grande Guerra la regina madre trasformò in ospedale la propria residenza, così come avvenne in Quirinale, dove però la protagonista, nelle vesti di crocerossina, doveva essere Elena.
In questi anni Margherita scelse di acquistare a Bordighera una villa per trascorrervi gli ultimi anni, mentre l'Italia, concluso il conflitto, assisteva a minacce ancor più spaventose, tra cui l'ascesa della politica totalitaria del fascismo, che presto prese il potere per la felicità di Margherita. Fu un errore quello della regina madre, che a differenza del figlio era sicura che il governo Mussolini potesse ristabilire l'ordine e difendere la corona in un periodo di incertezze. Il duce, in realtà, da giovane aveva inneggiato a Bresci, definendo Margherita una "bigotta reazionaria". Sarà l'uomo che porterà l'Italia alla rovina nella follia della Seconda guerra mondiale e una delle cause principali della caduta della monarchia, considerata complice del regime.

La regina madre si spense a Bordighera la mattina del 4 gennaio 1926, per la commozione sincera del popolo che si recò a Roma per dei funerali imponentissimi che non si vedevano dai tempi del primo re d'Italia, mentre in sottofondo la Marcia funebre di Fryderyk Chopin suonava grave e dolente.
La salma di Margherita fu poi tumulata nel Pantheon, sotto la tomba di re Umberto e di fronte a quella di Vittorio Emanuele II, nella cappella centrale di sinistra rispetto all'ingresso, accanto al principe degli artisti, Raffaello Sanzio, alimentando ulteriormente la leggenda della prima regina, l'unica ad essere seppellita in questo luogo di tale importanza.

La regina madre Margherita e il figlio Vittorio Emanuele nel 1924 mentre escono dal Pantheon dopo la visita alla tomba di Umberto.

Fra splendori e contraddizioni, sfarzi di regalità, canti di poeti, ma anche difetti e miti popolari, della carriera mortale di Margherita rimane quell'aneddoto legato alle nozze di suo figlio e la principessa Elena, quando il popolo guardava la giovane sposa facendo inevitabilmente il confronto con Margherita. Inutile ripetere che per tutti, nonostante Margherita fosse più anziana e vicina ai cinquant'anni, lei rimaneva la più bella, la più amata: "Regina per sempre"...

Note

Le fotografie presenti nella pagina sono state scattate durante la mia visita a Monza nel giugno 2021.

Bibliografia

  • La regina Margherita - Carlo Casalegno - il Mulino
  • Il re e Margherita - Silvio Bertoldi - Rizzoli
  • I Savoia. Novecento anni di una dinastia - Gianni Oliva - Mondadori
  • Le regine d'Italia - Giovanni Gigliozzi - Newton Compton Editori