Benito Mussolini e il fascismo

Figura centrale nella storia italiana contemporanea, Benito Mussolini, noto con l'appellativo di Duce, è stato un politico, giornalista e dittatore, fondatore nel 1921 del Partito Nazionale fascista.
Il fascismo nacque a seguito della Grande Guerra, anticipato da alcuni movimenti radicali di destra e di sinistra come il nazionalismo, il sindacalismo rivoluzionario e il futurismo. Anche la rivista "La Voce", con la contestazione antigiolittiana da parte dei gruppi intellettuali, fu determinante per l'avvento del fascismo, individuando nel Risorgimento una "rivoluzione incompiuta" che non era stata capace, dopo l'unificazione territoriale, di compiere anche l'unificazione morale e la nazionalizzazione delle masse.
L'Italia uscì dalla guerra mondiale in condizioni molto difficili, in un clima in cui aumentavano il malcontento popolare e la rabbia dei nazionalisti, i quali attaccarono il governo sostenendo di non essere stato in grado di ottenere tutti i territori che gli alleati avevano promesso in caso di vittoria, definendola una "vittoria mutilata". L'Italia era riuscita ad ottenere il Trentino, il Friuli-Venezia Giulia, ma non la città di Fiume, contesa con la Jugoslavia. Nel settembre del 1919 Gabriele d'Annunzio guidò un gruppo di volontari occupando militarmente la città, situata nell'attuale Croazia. La sua azione mostrò la debolezza dello stato italiano aumentando i consensi a favore dei nazionalisti. Questo fu capito bene da Mussolini che nel 1919, in piazza San Sepolcro a Milano, non distante dal Duomo, fondò un movimento nazionalista chiamato Fasci italiani di combattimento, divenuto nel 1921 il Partito Nazionale fascista.
Gli anni che vanno dal 1919 al 1920 sono ricordati come il "biennio rosso", un periodo che vide un'ondata di conflitti di classe senza precedenti nella storia del nostro paese. I contadini occupavano le terre, gli operai le fabbriche; la tensione era altissima e il movimento fascista cresceva nei consensi, con la gente che credeva che un ritorno all'ordine potesse ripristinare la situazione sociale.
Quando Mussolini fondò i Fasci di combattimento aveva trentasei anni; era nato il 29 luglio del 1883 a Predappio, in Emilia-Romagna, da una famiglia di origine contadina. Il padre era un fabbro anarchico socialista e la madre una maestra elementare. Formatosi da autodidatta studiando Friedrich Nietzsche e Karl Marx e leggendo le riviste culturali "Il Leonardo" e "La Voce", fu anch'egli per alcuni mesi maestro elementare. Nel 1912 venne nominato direttore dell' "Avanti!", imponendosi come la figura più popolare del socialismo italiano, ammirato dai giovani rivoluzionari, sostenuto dalle masse e rispettato dagli intellettuali antigiolittiani, divenendo presto il leader effettivo del partito, al quale diede un'energica impronta rivoluzionaria. La sua retorica convincente, la forte ambizione, il desiderio di potere e di dominio, lo resero un fascinatore, una guida capace di trascinare il popolo. Egli possedeva eccellenti doti di moderno politico di massa, suscitando nei suoi ascoltatori emozioni e passioni grazie al suo stile conciso e violento di giornalista e grande affabulatore.
Inizialmente socialista, dunque, allo scoppio della guerra nel 1914 si dichiarò subito per la neutralità assoluta, ma pochi mesi dopo si convertì all'interventismo ritenendo che la guerra potesse avere una valenza rivoluzionaria.
Nel novembre dello stesso anno fondò un proprio quotidiano, "Il Popolo d'Italia", ritenendo di spostare a favore dell'intervento gran parte del Partito socialista, ma solo pochi esponenti lo seguirono, mentre la maggior parte lo condannò come traditore, finendo così per essere espulso dal partito. A seguito dell'esperienza delle guerra si convertì definitivamente a posizioni di destra dando quindi vita ai Fasci di combattimento. Alla riunione di fondazione in piazza San Sepolcro parteciparono solo un centinaio di persone, i cosiddetti "sansepolcristi" - tra cui pochissime personalità eminenti, se non Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo, e Arturo Toscanini, che in seguito divenne però una bandiera dell'antifascismo - e sino a gran parte dell'anno successivo il fascismo rimase un movimento quasi irrilevante nonostante la campagna a sostegno dell'impresa di Fiume. I rapporti tra Mussolini e d'Annunzio, considerato una figura decisiva e di riferimento per gli ideali fascisti, non furono tuttavia idilliaci e i loro incontri estremamente fugaci. Mussolini non sopportava l'idea che il Vate potesse relegarlo in secondo piano e così, quando il poeta lo accusò di codardia in una lettera al Popolo d'Italia, il messaggio fu censurato.

Mussolini e Gabriele d'Annunzio.

Il vero cambiamento per il fascismo avvenne nel 1920; la rapida successione di governi deboli e la mancanza di alternative aumentano i consensi, inoltre i fascisti riescono a capire la paura e a farne uno strumento a loro favorevole trasformandola in odio. I nemici presi di mira divengono i socialisti, di cui precedentemente Mussolini era stato la guida. La classe borghese e i ceti medi, per paura di essere declassati da una rivoluzione socialista, si rendono disponibili a nuove politiche autoritarie e iniziano in milioni a seguire il duce, divenendo complici e artefici delle future violenze. L'iniziale sconfitta elettorale del Fasci di combattimento si trasformò così nella fortuna del futuro regime, che partecipò alle elezioni del maggio 1921 nei Blocchi nazionali, patrocinati da Giovanni Giolitti, il quale si era illuso di porre fine allo squadrismo favorendo l'ingresso dei fascisti in Parlamento.

Questa rapida ascesa è figlia della capacità di Mussolini di capire il malcontento degli italiani a seguito della Prima guerra mondiale e di cavalcare la loro paura fomentando l'odio nei confronti dei socialisti. La situazione dell'Italia si era rivelata infatti più che mai critica a seguito degli sconvolgimenti dovuti ai tre anni di conflitto. A coloro che avevano partecipato alla guerra erano state promesse terre, lavoro e i nazionalisti non facevano che aumentare il malcontento popolare attaccando il governo, sostenendo che non era stato in grado di ottenere tutti i territori promessi dagli alleati in caso di vittoria.

Un altro fattore determinante per l'ascesa del fascismo fu sicuramente la mancanza di un'alternativa, con i gruppi di opposizione che fecero il grave errore di presentarsi divisi alle elezioni.

Così, nel 1922, il Partito Nazionale fascista, la più forte organizzazione politica del paese, si accingeva a conquistare il potere, mentre tutti gli altri partiti erano in crisi per le divisioni interne. L'errore dei partiti antifascisti, dei politici liberali e dell'opinione pubblica fu quello di sottovalutare la forza del fascismo e la sua volontà di potere, considerandolo un movimento destinato a durare poco.
Invece, il 22 ottobre, con la marcia su Roma, avvenne l'ascesa al potere del fascismo, con 25.000 camicie nere che si diressero verso la capitale chiedendo di prendere la guida del paese e minacciando, in caso contrario, la presa del potere con la violenza. Fu una forma di ricatto sul governo e sul re, generando la confusione ai vertici dello Stato.
La mattina del 30 ottobre Mussolini salì le scale del Quirinale, incaricato da Vittorio Emanuele III di formare un nuovo governo.

Mussolini e Vittorio Emanuele III.

Ottenuta la fiducia della Camera e del Senato con una larga maggioranza, furono dati al nuovo presidente del Consiglio anche i pieni poteri per l'attuazione di riforme fiscali e amministrative. Nonostante ciò si capì subito che qualcosa di molto grave era accaduto. Per la prima volta nella storia dello Stato italiano un governo era affidato al capo di un partito armato, destinato a divenire una dittatura.
Con l'approvazione da parte della Camera della legge Acerbo nel luglio del 1923 il peso parlamentare del partito di Mussolini crebbe notevolmente, sebbene l'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 giugno 1924, di cui il duce si assunse la responsabilità morale, fece vacillare il governo. Mussolini riuscì comunque ad evitare la caduta perché le politiche antifasciste erano deboli e non seppero sfruttare politicamente la situazione.
Non si conosce se fu davvero Mussolini ad incaricare qualcuno di catturare ed uccidere Matteotti e forse non si saprà mai. Certo è che dopo l'ultimo discorso di denuncia in parlamento da parte di Matteotti, Mussolini uscì infuriato e di fronte a più di un testimone affermò che era assurdo che un uomo come lui circolasse ancora sulla scena politica. Con l'assassinio del suo ultimo nemico che ancora si alzava coraggiosamente in piedi contro il regime, il fascismo perse definitivamente l'innocenza e cominciò il suo periodo più tragico e buio.
Il governo entrò appunto in una crisi nella quale più volte il duce, ormai solo, rischiò di perdere il potere. Forse d'Annunzio avrebbe potuto farlo precipitare, parlando con il suo carisma, in quanto era ancora l'uomo più influente della destra, ma al tempo si era già ritirato al Vittoriale, deluso e indignato dalla cattiva imitazione che i fascisti e Mussolini facevano di lui.

La propaganda continua del regime, l'uso della radio e dei cinegiornali come potenti mezzi di comunicazione, aumentavano continuamente il consenso popolare. Il duce scelse Palazzo Venezia a Roma, vicino al Vittoriano, come sede del governo e il suo grande balcone per i celebri discorsi con cui arringava le folle. La propaganda fascista prestava inoltre molta attenzione all'educazione dei giovani che sin dalla tenera età dovevano formarsi nell'ideologia e nei valori fascisti. Così furono create alcune organizzazioni giovanili come l'Opera Balilla. Nel 1923 venne istituita la riforma Gentile, che prese il nome dal Ministro della Pubblica Istruzione del governo Mussolini, Giovanni Gentile, la quale prevedeva la formazione classica e umanistica come unico mezzo di istruzione per formare le future classi dirigenti. Il Liceo classico divenne il più prestigioso e il massimo raggiungimento della cultura italiana dell'epoca.

Alla fine del 1926 tutti i partiti, escluso quello fascista, furono messi fuori legge, i giornali di opposizione soppressi e la stampa fascistizzata. Venne inoltre introdotta la pena di morte contro chiunque mettesse a repentaglio la sicurezza dello stato.
Nel 1929 Mussolini, consapevole che la Chiesa fosse assai influente tra gli italiani ne cercò l'appoggio firmando insieme al segretario del papa, che allora era Pio XI, i cosiddetti Patti lateranensi che ancora oggi regolano i rapporti fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede. Lo Stato Pontificio era stato unito al Regno d'Italia nove anni dopo l'unificazione nazionale, nel 1870, a seguito della breccia di Porta Pia, vissuta dalla Chiesa come un vero e proprio assedio, noto infatti come Presa di Roma. Da allora era stato posto fine al potere temporale dei papi, che adesso tornavano ad averlo, sebbene notevolmente limitato, all'interno della Città del Vaticano, nata proprio con l'accordo del 1929.

Papa Pio XI.

Mentre nel 1932 dinanzi al Duomo di Milano il duce festeggia il primo decennio del suo regime, in Germania Adolf Hitler compie la sua ascesa politica che lo porta l'anno successivo a prendere il potere.
L'esperienza e i modi di Mussolini, in questo periodo all'apice del successo, sono un modello per Hitler che vedeva in lui un vero e proprio idolo, un maestro e ispiratore. Ammirava e invidiava il suo operato che lo portò a creare la più grande organizzazione politica del mondo, imponendo all'Italia ordine e disciplina.
Hitler non era ben visto dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti d'America quando salì al potere, mentre Mussolini godeva della stima e dell'appoggio soprattutto degli americani. Anche per questa ragione il duce cercherà fino all'ultimo di tenersi distante da Hitler per continuare ad avere questi buoni rapporti.
Il 14 giugno del 1934 avvenne a Venezia il primo incontro tra Mussolini e Hitler. Per quest'ultimo era la prima volta che usciva dal territorio tedesco, rimanendo affascinato da come la folla sosteneva il duce, sempre più la sua figura politica di riferimento. Il dittatore tedesco alloggiò in un albergo vicino alla casa dove morì Richard Wagner, il suo musicista preferito sin dalla giovinezza. Mussolini non sembrava però ricambiare la stima per il collega, soprattutto per la visione differente riguardo all'Austria che egli voleva indipendente mentre Hitler voleva annettere alla Germania.
Mentre in Piazza San Marco Mussolini mostra orgoglioso la sfilata della gioventù fascista i rapporti tra i due appaiono più freddi che mai.
Poco dopo, nel settembre dello stesso anno, Mussolini terrà un discorso durissimo contro Hitler e il nazismo che contrappose alla grande storia di Roma.

L'anno seguente un'intera nazione salpò alla volta d'Etiopia, con i comandanti del regime che preferirono la moderna aviazione. Mussolini aveva maturato la decisione della conquista di un impero coloniale; iniziò così la guerra d'Etiopia, celebrata come un successo militare dell'Italia fascista, sebbene ai danni di un esercito decisamente meno attrezzato, macchiata inoltre dall'utilizzo, voluto dal duce, di bombe chimiche, esplicitamente proibite dagli accordi internazionali.
A metà degli anni trenta il fascismo raggiunse un consenso popolare senza precedenti. Gli uomini e le donne d'Italia vengono invitati a consegnare le proprie fedi nuziali al fine di sostenere le casse dello stato. In segno di dedizione il popolo si accalca con entusiasmo per consegnare personalmente le fedi nelle mani del duce.

Nel settembre 1937 Mussolini si reca in visita in Germania, accolto a Monaco per cinque giorni da una folla incitante. Hitler non è più quello di Venezia; ora è un uomo di potere che, sebbene nei modi non appaia forte, è capace di azioni forti. Mussolini sembra deciso a stargli a fianco. A Berlino, città simbolo della Germania del futuro, oltre un milione di persone li acclama senza sapere dell'imminente catastrofe che sarebbe stata la Seconda guerra mondiale, segno indelebile dell'orrore della Germania e della storia dell'umanità in cui persero la vita cinquanta milioni di uomini.
Questo incontro creò i presupposti per la sconfitta di Mussolini che d'ora in avanti non potrà più sottrarsi all'influenza di Hitler, in quella che si rivelerà un'amicizia fatale.

Nel marzo 1938 le truppe tedesche invadono l'Austria; finalmente Hitler è riuscito ad annettere il suo paese natale. Mussolini non è nemmeno stato avvisato ma alla fine acconsente. Il dittatore tedesco fa sapere di essergli grato e disposto ad aiutarlo sempre in caso di bisogno.
Nello stesso anno Hitler giunge in Italia per la sua seconda visita ufficiale. Mussolini ha fatto erigere la stazione Ostiense per impressionare l'ospite, al cui arrivo, però, è salutato prima da Vittorio Emanuele III. Ciò sorprende il cancelliere tedesco che appare contrariato dalla presenza del re.
L'incontro tra i due dittatori, che appaiono ora alla pari, rafforza il loro legame; si rivedranno a settembre a Monaco, al fine di risolvere il problema della Cecoslovacchia. Hitler era infatti intenzionato ad invaderla militarmente al fine di sottometterla alla nuova grande Germania. Mussolini era invece contrario, ritenendo che l'Italia non fosse ancora pronta alla guerra. Fu il Primo Ministro britannico Chamberlain a sollecitare Mussolini di convincere Hitler a far parte di una conferenza internazionale a cui avrebbero partecipato, appunto, Italia, Germania, Inghilterra ed anche Francia, con il suo Primo Ministro Daladier. Per il cancelliere tedesco l'unica soluzione possibile rimase però l'annessione. Nella notte tra il 29 e il 30 settembre si arrivò ad un accordo in cui venne permesso alla Germania di annettere pacificamente gran parte della Cecoslovacchia. La pace però non ci sarà in quanto Hitler non voleva quei territori in regalo ma attraverso la loro conquista bellica che avverrà all'inizio del 1939.
Mussolini tornò a Roma festeggiato come eroe della pace, così come Chamberlain a Londra e Daladier a Parigi. A Chamberlain fu addirittura concesso da re Giorgio VI di affacciarsi al suo fianco dal balcone di Buckingham Palace, a testimonianza della politica di conciliazione e pacifista del monarca, ma in realtà gli accordi di Monaco non servirono ad altro se non rimandare il conflitto a meno di un anno, quando il primo giorno di settembre dell'anno 1939 scoppiò la Seconda guerra mondiale.
Sempre nel 1938, l'Italia visse una delle pagine più buie della sua storia, la promulgazione delle leggi razziali, rivolte principalmente contro le persone di religione ebraica. Il loro contenuto venne annunciato per la prima volta da Mussolini in un discorso a Trieste in Piazza Unità d'Italia.
L'antisemitismo dilaga e Hitler nel gennaio del 1939 usa parole come annientamento della razza ebraica.
Il 10 febbraio morì Pio XI, il quale stava preparando un'enciclica contro il nazismo. Gli successe Eugenio Pacelli, Pio XII, salito al soglio di Pietro in un periodo più che mai minaccioso della storia. Fu il papa della guerra, accusato di non aver difeso gli ebrei dall'olocausto.

Sempre più convinto di allearsi con Hitler, il 22 maggio Mussolini mandò a Berlino Galeazzo Ciano, fedele Ministro degli affari esteri che nel 1930 aveva sposato la figlia Edda. Firmerà quello che è noto come Patto d'Acciaio, che stabilì un'alleanza militare tra Italia e Germania in caso di guerra.
Mussolini ha perso la propria autonomia in politica estera; i tempi di Venezia sono lontani, adesso dipende da Hitler ed è succube della sua follia.

La Seconda guerra mondiale scoppiò quando Hitler invase con il suo esercito la Polonia che si arrese in meno di un mese. Francia e Inghilterra dichiararono allora guerra alla Germania. L'Italia è divisa se intervenire o rimanere neutrale. A Roma Pio XII si reca dal re e Mussolini non partecipa al colloquio. Già pensa ad entrare in guerra nel momento più opportuno al fianco dei tedeschi, mentre Vittorio Emanuele e il pontefice si schierano affinché il paese rimanga neutrale.

È il 10 giugno 1940 quando dal balcone di Palazzo Venezia Mussolini dichiara l'intervento dell'Italia in guerra.

Hitler aveva intanto travolto la Francia, tenendo anche questa volta il duce all'oscuro. Divenuto ormai un comprimario, venne invitato a Monaco da un Hitler vincitore che sembra voler condividere il trionfo con lui, sebbene alle proprie condizioni.
Mussolini non poteva tollerare che il dittatore tedesco gli rubasse la scena vedendo sfumare il suo sogno di gloria sul campo di battaglia. Forse anche per questo decise di schierare in guerra un paese ancora impreparato e senza che la Germania ne avesse bisogno. L'Italia cominciò la campagna militare nella Francia meridionale, ma ciò si rivelò un insuccesso. Hitler intanto guardava già all'Inghilterra dopo aver firmato la capitolazione della Francia a Compiègne. In quest'occasione l'Italia non sarà al fianco della Germania, costretta a firmare successivamente in una cerimonia a cui il duce, infuriato, non parteciperà.
L'esercito tedesco è ormai una formidabile macchina da guerra in terra, in mare e nel cielo. Mussolini è ossessionato dal compiere anch'egli una rapida vittoria. Così attacca la Grecia, fallendo però nuovamente.
Hitler lo viene a sapere di ritorno dalla Spagna, dove ha inutilmente cercato di convincere Francisco Franco a stare al suo fianco contro l'Inghilterra.
I tedeschi attaccano per via aerea gli inglesi, conoscendo la forza della loro flotta, scaricando per mesi migliaia di tonnellate di bombe sulle principali città, ma il nemico si dimostra resistente. Il Primo Ministro Winston Churchill adotta un programma apparentemente semplice: guerra totale contro i nazisti fino a che "non scomparirà la maledizione di Hitler sull'umanità". La sua tenacia contribuirà alla salvezza della Gran Bretagna e alla futura sconfitta di Hitler.
Il cancelliere decide di fare visita a Mussolini, chiedendogli di incontrarsi a Firenze, città che il pittore e architetto mancato amava molto. Il duce, sempre in balia della sua smania di successo, appare sempre meno all'altezza del potente alleato che decide di aiutarlo contro la Grecia. Quest'ultima poco può fare all'arrivo dell'esercito tedesco e viene conquistata in appena tre settimane.
I due dittatori si rividero nuovamente al Brennero su richiesta di Hitler; Mussolini è scocciato di dovergli obbedire, ma nonostante tutto l'atmosfera è positiva. L'incontro serve a Hitler per far credere al mondo che la sua attenzione sia rivolta al Mediterraneo; nessuno è a conoscenza, nemmeno il duce, che egli stia invece puntando alla Russia.
Il 22 giugno 1941 i nazisti invadono la Russia e Mussolini decide di mandare al fronte orientale un proprio corpo di spedizione.
In agosto il duce perde il figlio più giovane, Bruno, precipitato con il suo aereo durante un'esercitazione. Il popolo gli è vicino con affetto, anche se ancora per poco. Due settimane dopo, in visita da Hitler, Mussolini sembra un uomo diverso, quasi assente, relegato al margine dalla figura imponente dell'alleato.
Ad ottobre Hitler attacca la città di Mosca, ma il maltempo favorisce la resistenza sovietica. Il cancelliere è intenzionato ad avere la meglio prima dell'inverno, in quella che è chiamata Operazione Barbarossa, ma già a novembre la neve ed il gelo sono incontrastabili.
Il mese successivo il Giappone attacca l'America e il conflitto assume proporzioni globali. La Germania si schiera subito contro gli americani, così come l'Italia.

All'inizio del 1942 avviene un altro incontro tra Hitler e Mussolini. Il dittatore tedesco è più che mai determinato a convincere tutti di poter vincere, ma il duce appare distratto, quasi malinconico. A Roma, intanto, viene costituito un primo gruppo di oppositori che punta a coinvolgere il re per contrastare Mussolini.
A giugno si combatte tra Stati Uniti e Giappone una delle più grandi battaglie aeree e navali della storia. Il conflitto, noto come guerra del Pacifico, sarebbe culminato nell'agosto 1945 con il lancio di due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.

All'inizio del 1943 l'invasione della Russia si rivela un fallimento per la Germania, costretta, nella disfatta di Stalingrado, a subire la sua prima importante sconfitta. Hitler individua subito negli alleati italiani i principali responsabili.
In aprile Hitler incontra Mussolini, il quale spera di convincerlo a firmare una pace con l'Unione Sovietica, ma il cancelliere ripete che presto i rivali verranno sconfitti. Ancora una volta il duce deve obbedire.
Il 10 luglio l'invasione della Sicilia da parte degli Alleati mette a rischio la sicurezza del Regno d'Italia; è l'inizio del declino del regime fascista. Mussolini e Hitler si incontrano segretamente il 19 luglio a Villa Gaggia, vicino a Belluno, in quello che è celebre come "incontro di Feltre". Col territorio nazionale invaso il duce chiede esplicitamente aiuto all'alleato che però critica l'esercito italiano e non sembra più disposto ad aiutarlo. Proprio durante la riunione giunge una notizia drammatica: Roma è stata bombardata. Mussolini si precipita nella capitale, ma ormai la situazione è compromessa, così come la sua vita politica. Verrà infatti arrestato pochi giorni dopo, il 25 luglio, dopo essere stato sfiduciato e aver di conseguenza presentato le sue dimissioni al re. A Roma si festeggia la caduta del governo fascista; persino Galeazzo Ciano ha tradito Mussolini, sostenendo l'opposizione di Dino Grandi.
Pietro Badoglio è il nuovo capo del governo; l'8 settembre viene chiesto l'armistizio e il re abbandona Roma fuggendo con il figlio, il "re di maggio" Umberto II, dapprima a Pescara e poi a Brindisi, lasciando il paese al proprio destino.
Hitler è ora intenzionato a vendicarsi contro gli ex alleati. Il suo odio è grande; vuole cancellare totalmente l'Italia e occupa furente il paese. Intanto fa liberare Mussolini al fine di ricostruire un governo fascista nel Nord Italia. È la Repubblica Sociale Italiana, nota come Repubblica di Salò, cittadina sulle rive del lago di Garda dove ha sede il Ministero degli Esteri.
I tedeschi vogliono eliminare i traditori, per primo Galeazzo Ciano. A nulla servono le suppliche di Edda, figlia di Mussolini; suo padre, per mantenere buoni rapporti con Hitler, fa condannare a morte il genero.

Intanto gli Alleati si avvicinano sempre di più a Roma. Il 14 maggio 1944 il duce scrive all'amante Claretta Petacci: "I bei tempi sono finiti e non torneranno più".
Roma è in realtà finalmente libera, presa pacificamente d'assalto da giovani americani. A San Pietro il papa accoglie i liberatori: la guerra è ormai quasi finita.
Per Mussolini e Hitler la caduta di Roma è un duro colpo; i due si incontrano per l'ultima volta a luglio. Alla stazione il dittatore tedesco, che ha appena subito un attentato a cui è sopravvissuto, confida sinceramente al duce che egli è il suo migliore e forse unico amico. Hitler lo ha sempre visto infatti come un esempio, a cui riconobbe di avergli aperto la strada; lo ritiene inoltre un tradito dall'Italia e dagli italiani, di cui Hitler ha una visione certamente negativa.

Il 16 dicembre Mussolini lascia il suo rifugio presso il lago di Garda e decide di recarsi a Milano per parlare al popolo, nell'estremo tentativo di cambiare il corso della storia. Sarà il suo ultimo discorso alla folla e la città da dove tutto era cominciato quella dove tutto finirà.

Il 28 aprile 1945 i tedeschi hanno lasciato Milano e i partigiani sono entrati in città. Lo stesso giorno Mussolini viene fucilato insieme all'amante a Giulino di Mezzegra, in provincia di Como, mentre cercava di fuggire. I corpi vennero portati a Milano in serata e la notte del 29 aprile furono appesi alla tettoia di una pompa di benzina in Piazzale Loreto. La folla si accanì contro i cadaveri, umiliando con sputi, calci, spari e altri oltraggi il duce.

Due giorni dopo, informato dell'accaduto e profondamente turbato, Hitler decise insieme all'amante, Eva Braun, di togliersi la vita, ordinando ai suoi fedelissimi di essere subito cremato.

È questa la fine dei due dittatori che hanno segnato la prima metà del Novecento, legati indissolubilmente sino alle tragiche conseguenze.


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