Giuseppe Verdi

Giuseppe Verdi nacque a Le Roncole, una piccola frazione di Busseto, vicino Parma, nel 1813, lo stesso anno di Richard Wagner, il più importante esponente dell'opera romantica tedesca.

Fu il più grande drammaturgo musicale italiano dopo i protagonisti del primo Ottocento, vale a dire Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti.

La sua carriera fu molto lunga e produttiva; vi era in lui una ricerca instancabile di situazioni originali, nuove, una voglia continua di aggiornarsi e una passione straordinaria. Le opere che ha composto sono tra le più celebri ed eseguite ancora oggi nei teatri di tutto il mondo, come la cosiddetta "trilogia popolare", che contiene i suoi tre lavori principali nonché maggiormente significativi: Rigoletto (1851), Il trovatore (1853) e La traviata (1853).

Le fonti del teatro di Verdi si trovano in Francia, Inghilterra, Germania e Spagna, con una predilezione quasi esclusiva per la letteratura straniera, in particolare un autore su tutti: William Shakespeare.

Dell'inglese amava la capacità di rappresentare a fondo l'animo umano in ogni sua caratteristica e sfumatura, bravura che Verdi riprese attraverso il canto, grazie al quale ci consegna l'essenza del personaggio, al di là dell'azione scenica in cui questi è coinvolto.

Verdi si arrabbiò moltissimo quando, alle critiche al suo Macbeth, venne accusato di non conoscere Shakespeare. Rispose che era il suo autore di riferimento assoluto, che lesse sin da giovane continuando a studiarlo e interpretarlo.

Nel cuore dell'Ottocento, quando Verdi compose le opere principali, l'Italia non poteva certo vantare una posizione di prima linea nel dibattito estetico romantico. Se nell'ambito tragico, come in Vittorio Alfieri e Ugo Foscolo, era ancora forte la cultura classica, un autore innovativo fu sicuramente il giovane Alessandro Manzoni, tuttavia il suo teatro non ebbe grande successo, soprattutto sulle scene nazionali, basti pensare all'Adelchi. In questo contesto di emergenza culturale bisogna collocare l'operazione di aggiornamento che Verdi, musicista e non letterato, fu in grado di realizzare. La sua immagine divenne simbolo del Paese unito, grazie alle musiche a forte carattere nazionale: fu il Beethoven italiano.

Nonostante il crescente successo, egli amava la solitudine, riuscendo sempre a sfuggire ai suoi biografi; la sua carriera e la sua opera è stata raccontata infinite volte, ma l'uomo rimane una figura distante, difficile da conoscere veramente.

Da bambino venne sostenuto dal padre, disponibile a valorizzare il talento musicale del figlio, al quale venne donata una spinetta, il suo primo strumento.

Figura chiave della giovinezza fu Antonio Barezzi, commerciante amante della musica che accolse Verdi a casa propria divenendone il mecenate. Il giovane musicista dava lezioni alla figlia di Barezzi, Margherita, di sette mesi più giovane, con la quale si legò in una relazione che porterà al fidanzamento e alle nozze. Barezzi fu un secondo padre per l'autore, che a lui dedicherà nel 1847 il Macbeth, una delle sue opere più amate. Sempre grazie a lui poté recarsi a studiare a Milano, città fondamentale a livello artistico per la carriera di Verdi.

Durò settant'anni il rapporto tra il compositore e la città di Milano, dall'arrivo a diciotto anni per studiare, divenendo il luogo cruciale per la sua formazione, sino alla morte al Grand Hotel et de Milan, a pochi passi dalla Scala.

Il Teatro alla Scala fu molto rilevante nella sua vita; qui riuscì ad esordire nel 1839 con Oberto, conte di San Bonifacio, grazie anche all'impresario Bartolomeo Merelli, che diede fiducia ad un ragazzo di soli ventisei anni, allora ancora sconosciuto. Fu lui stesso ad aiutarlo quando, a seguito della perdita della moglie e del passo falso dell'opera intitolata Un giorno di regno, Verdi ebbe la tentazione di abbandonare le scene. Da questo periodo difficile nacque l'opera con cui, afferma l'autore stesso, cominciò la sua vera carriera artistica: il Nabucco.

Incisione raffigurante il Teatro alla Scala nel periodo di Verdi.

Il libretto del Nabucco gli venne consegnato direttamente dal Merelli e il compositore cominciò a metterlo in musica a partire dal celebre "Va, pensiero", divenuto il coro patriottico dell'unità nazionale. Sin dall'inizio Verdi esercitò una funzione politica attraverso la sua musica, anche inconsapevolmente. Il pubblico trovava sempre delle allusioni rivoluzionarie, smentite dall'autore, il quale affermava di essere solo un musicista, non un uomo politico. Questo anche quando venne accusato di avere qualcosa a che fare con lo slogan "Viva V.E.R.D.I.", evidente omaggio a Vittorio Emanuele di Savoia, primo re del Regno d'Italia. Il compositore era dunque un moderato, sostenitore dell'idee risorgimentali e di Cavour. Fu quindi favorevole all'unificazione nazionale, rimanendone però presto deluso, soprattutto a livello economico.

A partire dal Nabucco cominciarono per Verdi i cosiddetti "anni di galera", in cui lavorò senza sosta scrivendo un'opera all'anno, inseguendo sempre il successo con il costante pericolo, però, di fallire. All'epoca, infatti, il mondo teatrale era più che mai instabile e il progetto della messa in scena di un'opera una scommessa costosissima. L'impresario era colui che investiva molti soldi correndo il rischio della bancarotta per qualche impossibilità di portare a termine il lavoro o per la critica del pubblico e della censura. I rapporti tra l'impresa teatrale e i compositori o i librettisti non erano mai idilliaci in quanto i conti e il successo dovevano tornare. Verdi all'inizio dovette trattare direttamente con gli impresari; fu in seguito l'editore Giulio Ricordi la figura mediatrice tra loro.

Con la Giovanna d'Arco del 1845 i malumori causati dalla scarsa considerazione dei desideri del compositore di fronte alle necessità, soprattutto economiche, degli impresari della Scala, spinsero Verdi a rinunciare per più di vent'anni al palcoscenico che lo aveva lanciato. Inoltre l'artista si legò ad altri grandi teatri come La Fenice di Venezia, L'Argentina di Roma e il San Carlo di Napoli. Fu la prima milanese dell'Attila, datata 1846, a segnare la crisi profonda tra Verdi e la Scala.

La facciata del Teatro alla Scala - Angelo Inganni - 1852 - Milano, Museo Teatrale alla Scala

Sempre a Milano nel 1868 conobbe Manzoni, coetaneo di suo padre e quindi già celebre sulla scena milanese e nazionale. Fu un incontro decisivo per il musicista, che tanto lo stimava. Pochi anni dopo, alla notizia della scomparsa del Manzoni, Verdi fu talmente scosso da non prendere parte alle esequie, ma compose una Messa da requiem che venne eseguita nel primo anniversario di morte nella chiesa di San Marco a Milano.

Venezia fu un'altra città fondamentale e favorevole alla produzione di Verdi. Il Gran Teatro La Fenice, risorto dopo l'incendio, sostituì la Scala in una fase cruciale della sua carriera. In quindici anni darà ben cinque "prime", di cui celeberrime sono tre opere che costituiscono il "trittico veneziano": Ernani, Rigoletto e La traviata. Le prime due sono tratte da due drammi del grande poeta francese Victor Hugo, mentre La traviata, forse il lavoro più noto dell'intero catalogo verdiano, deriva dal romanzo La signora delle camelie di Alexandre Dumas. La realizzazione dei tre titoli è legata da quattro vicende comuni: la difficoltà nella scelta del soggetto; la difficoltà considerevole con la censura; i problemi di allestimento; un esito trionfale benché, nel caso de La traviata, in seconda battuta. Altro elemento comune è il librettista, Francesco Maria Piave, poco esperto e quindi perfetto per Verdi che voleva intervenire in prima persona sul testo. Con lui aveva un rapporto diretto, si rivolgeva in modo autoritario, al contrario che con Arrigo Boito e Salvadore Cammarano, considerati suoi pari. Con quest'ultimo, conosciuto a Napoli, realizzò l'altra delle opere che, insieme a quelle veneziane, è la più celebre del suo vasto repertorio: Il trovatore. Andata in scena a Roma, segnò un grande trionfo per la fase centrale della sua produzione. Verdi nutriva un rispetto profondo per la professionalità di Cammarano, col quale intrattenne un rilevante rapporto epistolare.

Parigi, "la capitale del mondo moderno", come Verdi la definì, vide soggiornare il compositore per sette anni complessivamente, anche se fu legato a questa città per un periodo ben più lungo, senza però nutrire mai il desiderio di trasferirsi definitivamente. Amava il perdersi nella moltitudine e nel frastuono della grande città, sensazione che lo faceva sentire solo, ma allo stesso tempo sereno, in quanto amante della solitudine. Il clima per Verdi fu produttivo, paragonabile a quello milanese. Apprese le nuove tendenze, osservando i giovani compositori e girando per i vari teatri. Mise in scena molte sue opere tradotte e conobbe il librettista Arrigo Boito, fondamentale per le opere conclusive.

Nacque nella capitale francese il progetto della celebre Aida, già cominciato a Genova, dimora invernale di Verdi sin da giovane. Concepita per l'inaugurazione del nuovo teatro d'opera del Cairo, vede come librettista Antonio Ghislanzoni. La "prima" italiana si tenne al Teatro alla Scala nel 1871.

Gli ultimi quindici anni della vita di Verdi rinsaldano il legame tra il compositore e Milano. All'indomani della "prima" dell'Otello, nel 1887 al Teatro alla Scala, viene nominato cittadino orario di Milano e decide di fondare quella che chiamerà "l'opera mia più bella", cioè una casa di riposo per musicisti, nell'odierna piazza Buonarroti, allora una zona periferica.

Nel 1893 rappresentò la sua unica opera comica, il Falstaff, ispirato ancora una volta a Shakespeare, su libretto di Arrigo Boito. Il compositore, all'età di ottant'anni, riuscì a sorprendere nuovamente il pubblico della Scala.

Coda davanti alla Scala la sera del Falstaff.

L'opera di Verdi è sempre un'analisi della natura umana che si rivela nella sua realtà e complessità nelle relazioni più intime: tra genitori e figli, tra fratelli e tra innamorati. La storia d'amore, fulcro delle vicende, apre di solito un triangolo di relazioni, poiché vi è sempre un personaggio che si oppone all'unione. Spesso ciò che impedisce il lieto fine è la società stessa, la cui forza riesce a mandare all'aria ogni piano e portare addirittura alla morte di uno dei personaggi. Ne La Traviata, per esempio, viene espressa l'impossibilità per Violetta di innamorarsi di un uomo onesto e ricco; questo sarebbe andato contro la moralità e il giudizio della gente. Proprio qui entra in scena una figura chiave nelle trame verdiane, cioè quella del padre che spesso si oppone agli innamorati, in questo caso il padre di Alfredo, cercando di ripristinare la rispettabilità e l'onore, messo in discussione da una relazione proibita. Nel caso de La Traviata il padre si pentirà nel finale, senza però poter vedere il figlio felice, a causa della morte di Violetta. L'antagonista dell'opera non è altro che il fato, il destino crudele che ha voluto separati i due innamorati. Vi è comunque, da parte dell'autore, un rinvio ad una felicità ultraterrena, tratta dalla poetica manzoniana. Il rapporto tra padre e figlia è presenta anche in Aida e nel Rigoletto.

Il teatro per Verdi era il luogo dove mostrare le passioni e i comportamenti umani, suscitando un'emozione nel pubblico, per lui l'ultimo e più importante giudice, ancor più della critica. L'autore ricerca costantemente situazioni nuove, aggiungendo personaggi che spezzassero la monotonia; il dramma doveva essere breve e interessante che non annoiasse mai lo spettatore, ma al contrario lo colpisse in prima persona. Per farlo credeva nella bellezza dell'arte come rappresentazione del reale. Ciò non significava copiare il vero, ma inventare qualcosa di verosimile che rispecchiasse la realtà. Questo è il motivo per cui scelse un autore come Shakespeare, il quale era per lui "un verista ma senza saperlo".

L'obiettivo del compositore era quello di realizzare un'opera breve; per questo chiedeva ai librettisti di abbreviare il testo. Grazie al canto veniva rappresentato l'animo dei personaggi, descritti con parole precise e dirette in grado di inquadrarli a livello caratteriale e nell'ambiente della vicenda. Parole, recitazione e musica dovevano integrarsi in un sistema coerente e convincente che andasse d'accordo, ogni elemento era decisivo, per questo Verdi spese sempre ogni sua energia nella realizzazione di un'opera.

Sulla scena è importante osservare anche gli spazi in cui i personaggi si raccontano, mostrando la loro anima. Vi è una distinzione tra spazi interni e esterni molto rilevante: nello spazio pubblico neutro, quei luoghi aperti come per esempio una piazza, oppure chiusi ma ugualmente pubblici come la locanda dove appare Falstaff, vengono manifestate la corruzione e la falsità sociale. La vita pubblica e la storia appare scorrere, contrapponendosi al dramma degli individui. In questi luoghi importante è la scenografia che per Verdi non doveva cambiare spesso, ma possibilmente restare la stessa in un atto; vi è dunque di solito una scenografia sola per ogni atto. Lo spazio privato è invece dove si consuma buona parte dell'azione drammatica in cui i personaggi sono colti nel segreto della loro intima vita interiore, con tutti i suoi conflitti. Qui la rilevanza scenografica è minore, mentre fondamentale è la parola che manifesta la psicologia del personaggio. Troviamo poi gli spazi idilliaci, come un giardino o una zona nei pressi di un fiume, di un lago, del mare, con un paesaggio pittoresco; un tipico locus amoenus. Infine gli spazi evocativi, solitamente luoghi aperti, molto generici, in cui prevalgono gli aspetti inquietanti. Questi rimandano a un'azione drammatica di primo piano, proiettata su uno sfondo scenografico significativo. Per esempio vi sono delle apparizioni, oppure ambientazioni tetre in carceri o sotterranei, associate al tema della morte. All'aria aperta, ma analogamente cupa, è l'ambientazione in boschi, foreste o cimiteri.

L'apice del successo Verdi lo raggiunse con la "trilogia popolare", realizzata in appena due anni, tra il 1851 e il 1853. Importante è considerare un aspetto che ritorna sia in Rigoletto che in Il trovatore e ne La traviata. Le opere, tratte da drammi romantici, presentano infatti personaggi che seguono un percorso che inizia nel negativo per poi divenire qualcosa di sublime; vi è dunque la concezione del brutto come mezzo per esaltare il bello. Questa idea romantica è tipica anche di Dante che, nella Divina Commedia, parte dalla cantica dell'Inferno, caratterizzata dalle umane passioni negative, grottesche, dai peccati più gravi, per arrivare alla salvezza, al Paradiso, addirittura sino alla visione di Dio. I suoi personaggi, come la celeberrima Francesca da Rimini del Canto V dell'Inferno, sono così belli e nobili d'animo proprio perché l'autore ha mostrato in precedenza quanto vi era in loro di negativo, in modo da esaltarli a modello di una bellezza che è tale in quanto radicata nel dolore. Addirittura di Francesca, grazie al suo dialogo con il Poeta, sappiamo che conobbe l'amore vero, che fu capace di amare, ma nonostante ciò si trova nella dannazione. La Violetta di Verdi è se vogliamo un personaggio simile che, partendo da una condizione negativa, come quella della prostituta, arriva ad amare immensamente, sacrificandosi per amore; ella era infatti disposta a far credere di non essere più innamorata ad Alfredo, di tradirlo, per poterlo vedere felice. Commovente è il finale in cui Alfredo scopre il sacrificio e corre dall'amata che sta per morire, mentre insieme sognano per un attimo un futuro felice. Nel Rigoletto il protagonista è un padre che appare brutto sia fuori che dentro; gobbo, crudele e invidioso, il quale ha però in sé anche un aspetto positivo, ossia il profondo affetto per la figlia, l'unica persona in grado di amare dopo la scomparsa della moglie. Ne Il trovatore, Azucena, la protagonista a cui Verdi avrebbe voluto dedicare l'opera, appare come una zingara che vuole vendicarsi, ma anche come una madre premurosa di un figlio non suo.

Questi sono i personaggi dell'opera di Verdi che più sono rimasti nel cuore del pubblico, perché vicini alla vicenda umana, che anche se a volte è negativa, può stupire positivamente, cambiare all'improvviso e mostrare degli aspetti meravigliosi. È proprio dai momenti difficili che scopriamo gli aspetti più belli e inaspettati, dei legami sinceri, degli amori; perché la bellezza della vita è che va avanti lasciandoci sempre un'opportunità, un'occasione per cambiare il nostro destino e meritarci un qualcosa di più grande.