Bartolomeo Merelli

Una figura di fondamentale importanza caratterizza il teatro musicale del XIX secolo, vale a dire l'impresario, un professionista capace di gestire con abilità un sistema tanto complesso e ricco di insidie quale il teatro, costretto a vivere di espedienti ed assumersi i rischi della buona riuscita dell'opera, facendo attenzione nel soddisfare proprietà - a cui era legato da un contratto d'appalto - e pubblico, ma anche compositori, musicisti ed attori.
Tra i più celebri impresari ottocenteschi bisogna sicuramente ricordare Bartolomeo Merelli, nato a Bergamo nell'anno 1794 e formatosi insieme a Gaetano Donizetti, ma anche Domenico Barbaja e Alessandro Lanari.
Se nel Seicento gli impresari erano solitamente cortigiani o membri cadetti delle dinastie regnanti, nel Settecento lo divennero gli ex artisti o comunque chi era già stato in qualche modo coinvolto nel mondo dell'opera o del ballo, proveniente da una famiglia musicale o teatrale, anche se non mancavano commercianti e appaltatori di giochi d'azzardo nei ridotti dei teatri, uno dei luoghi di svago prediletti dalle classi abbienti. L'invenzione della sala barocca - chiamata anche "all'italiana" - che si basava sul sistema dei palchetti di proprietà delle nobili famiglie, favorì infatti la diffusione di ambienti adibiti alle relazioni sociali e agli incontri mondani, in una sorta di spettacolo nello spettacolo che prevedeva il mangiare, il bere e il giocare in compagnia.
Nella seconda metà del secolo l'impresario cominciò a trattare con il proprietario per la concessione del teatro; rarissimi erano infatti i casi di proprietari che gestivano direttamente il teatro, così la conduzione veniva affidata all'impresario, tramite un contratto d'appalto, il quale si ergeva a mediatore tra proprietà e compagnia, trattando per la concessione del teatro e lavorando al fine di garantire un successo di pubblico per soddisfare le esigenze dei proprietari. Si capisce subito la notevole difficoltà del mestiere, divenuto leggendario nella storia dello spettacolo, in particolare nell'Ottocento, il secolo teatrale per eccellenza, quando furono protagonisti, infatti, i più celebri impresari.

Il padre del Merelli, che era l'amministratore di una nobile famiglia bergamasca, avviò il figlio agli studi di diritto, ma sin da subito il giovane scoprì la propria vocazione per le discipline umanistiche e per l'arte di comporre versi, alcuni dei quali furono musicati dallo stesso Donizetti.
Le prime vicissitudini di una vita alquanto avventurosa cominciarono presto per il Merelli, arrestato a soli diciotto anni con l'accusa di furto ai danni di una donna, probabilmente del casato amministrato dal padre. Rilasciato per insufficienza di prove - profondamente segnato dall'accaduto - scelse la strada di Milano in cerca di fortuna nel mondo teatrale, fondando in poco tempo la propria agenzia e continuando a coltivare la passione per la scrittura di libretti.
Cominciando con l'amministrare stagioni teatrali a Varese, Como e Cremona, a partire dal 1829 fu al Teatro alla Scala, amministrato inizialmente insieme al Barbaja e poi da solo dal 1835. Da ricordare, nell'anno 1831, fu anche il ruolo di responsabile dell'organizzazione della prima della Norma di Vincenzo Bellini.

La facciata del Teatro alla Scala - Angelo Inganni - 1852 - Milano, Museo Teatrale alla Scala

Il merito più importante attribuito al Merelli fu però quello di aver supportato la nascita della carriera di Giuseppe Verdi, dando fiducia ad un compositore emergente ancora sconosciuto. Fu infatti proprio il Merelli - quando per Verdi la perdita della moglie e l'insuccesso della sua prima opera, intitolata Un giorno di regno, lo portarono alla tentazione di abbandonare le scene - a ricoprire un ruolo decisivo nel sostenere moralmente e concretamente Verdi, incoraggiandolo a musicare, nel 1842, il Nabucco. Ricordata dal compositore stesso come il principio della sua carriera, l'opera sarà il primo vero trionfo di Verdi, che scrisse a riguardo quando gli fu consegnato il libretto dal Merelli:
era un gran copione a caratteri grandi, come s'usava allora: lo faccio in rotolo e salutando Merelli mi avvio a casa mia. Strada facendo mi sentivo addosso una specie di malessere indefinibile, una tristezza somma, un'ambascia che mi gonfiava il cuore!... Rincasai e con un gesto quasi violento, gettai il manoscritto sul tavolo, fermandomisi ritto in piedi davanti. Il fascicolo cadendo sul tavolo stesso si era aperto; senza saper come, i miei occhi fissano la pagina che stava a me innanzi, e mi si affaccia questo verso: «Va, pensiero, sull'ali dorate». Scorro i versi seguenti e ne ricevo una grande impressione, tanto più che erano quasi una parafrasi della Bibbia, nella cui lettura mi dilettavo sempre. Leggo un brano, ne leggo due: poi fermo nel proposito di non scrivere, faccio forza a me stesso, chiudo il fascicolo e me ne vado a letto!... Ma sì... Nabucco mi trottava pel capo!... Il sonno non veniva: mi alzo e leggo il libretto, non una volta, ma due, ma tre, tanto che al mattino si può dire ch'io sapeva a memoria tutto quanto il libretto.

Merelli amministrò la Scala sino al 1850, vivendo quella crisi economica e politica generata dai moti rivoluzionari del 1848, che scossero l'Europa così come l'industria operistica italiana ed in particolare la figura professionale degli impresari, che ne risentirono particolarmente per i loro affari a causa dell'interruzione delle stagioni e la riduzione delle paghe.
Sospettato di essere una spia austriaca, pur senza prove concrete, il Merelli si trasferì a Vienna lasciando la Scala e vivendo un tramonto malinconico, perdendo buona parte delle fortune accumulate, a testimonianza della precarietà di tale mestiere, in cui si viveva di giorno in giorno, basandosi sul successo di pubblico ed essendo costantemente legati alle sorti politiche e finanziarie. Il declino personale coincise con quello della figura dell'impresario in generale, che fu sostituita da quella degli editori, divenuti i nuovi professionisti capaci di lanciare un compositore e di scegliere dove dare le opere e con quali cantanti. Lo stesso Verdi, per esempio, si affidò ad un impresario sino al 1859, con l'opera Un ballo in maschera, per poi stringere, verso fine secolo, un prolifico sodalizio con l'editore Giulio Ricordi.
Gli editori presero così il potere decisionale a scapito degli impresari, i quali continuarono ad esercitare la loro professione in diversi teatri d'Italia sino alla Prima guerra mondiale, ma ricoprendo sempre più una posizione di semplici esecutori.
Il Merelli, tornato dapprima a Milano nel 1861, dove aveva ottenuto un indimenticabile successo, si ritirò poi a Bergamo e, nuovamente nel capoluogo lombardo, si spense nell'anno 1879.

Bibliografia

  • L'impresario d'opera - John Rosselli - EDT Musica
  • Il sistema teatrale - Livia Cavaglieri - Dino Audino editore
  • Con moltissima passione - Raffaele Mellace - Carocci editore