Breve storia della danza

Dal Medioevo al Novecento

Ballerina in posa per il fotografo - Edgar Degas - 1875 circa - Parigi, Museo d'Orsay

La danza è una delle forme d'arte più antiche che accompagna ogni cultura e civiltà sin dalle origini, nata probabilmente in connessione con la musica per l'esigenza di esprimersi attraverso il movimento del corpo. Da sempre accompagna dunque lo sviluppo dell'uomo, partendo dalla preistoria per poi avvicinarsi alla religione e al culto degli dei. Fu infatti al centro del teatro greco e alla base dell'educazione giovanile come mezzo ideale per raggiungere la perfetta armonia di corpo e anima. Affermava Platone: "Cantare bene e ballare bene significa essere ben educati".
La storia della danza teatrale ha le proprie origini nelle corti italiane rinascimentali e si precisa attraverso la professionalizzazione nel Seicento, sino al vero e proprio trionfo di fine Ottocento.

La danza - Henri Matisse - 1909 - New York, Museum of Modern Art

Medioevo

Nonostante venga considerato un periodo buio, nel quale la danza subì la condanna delle autorità ecclesiastiche, molteplici sono le forme di intrattenimento spettacolare con forme danzate, mantenute vive soprattutto dalla figura del giullare, il professionista dello spettacolo medievale.
In capolavori come il Decameron di Giovanni Boccaccio e la Divina Commedia di Dante si trova spesso citata la carola, danza a catena chiusa in cui ci si teneva per mano formando un cerchio. Nel Paradiso dantesco le anime cantano e danzano la loro beatitudine, ma il danzare in cerchio tra le anime non è solo simbolo di felicità, bensì vera e propria disposizione nelle sfere celesti da parte dei beati.
Intorno all'anno Mille si diffuse invece la danza macabra, praticata nei cimiteri durante i riti funerari.

Rinascimento

La capacità di progettare e di realizzare spettacoli divenne pian piano una via per mostrare il prestigio e il potere di una corte. All'inizio del Quattrocento la danza entrò così nella vita mondana e nell'educazione come ricerca di stile, strumento fondamentale per il corpo e per la mente. La danza assunse le forme di una vera disciplina e nella seconda metà del secolo cominciarono ad emergere le prime figure di maestri di ballo, in genere cortigiani abili nel danzare e in grado di trasmettere le loro competenze. Nacquero anche i primi manuali volti a facilitare l’apprendimento e la memorizzazione dei passi e delle regole. I tre trattati quattrocenteschi più importanti sono:
  • De arte saltandi et choreas ducendi – Domenico da Piacenza (1455).

  • Libro dell’arte del danzare – Antonio Cornazzano (1455).

  • De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum – Guglielmo Ebreo da Pesaro (1463).

Nel Cinquecento acquistano sempre maggiore rilevanza gli intermezzi danzati, collocati all'interno della rappresentazione di commedie o tragedie pur non avendo necessariamente una precisa connessione con essi, anzi costituendo uno spettacolo autonomo a cui assistono gli spettatori nei momenti di pausa o di cambio della scena. Un esempio si trova nella Calandria di Bernardo Dovizi da Bibbiena, la prima commedia italiana in prosa eseguita nel 1513 presso la prestigiosa corte di Urbino.
Verso la fine del XVI secolo proseguì anche la tradizione manualistica con Il Ballarino, datato 1581, di Marco Fabrizio Caroso da Sermoneta, lodato da un sonetto di Torquato Tasso, e Nobiltà di dame del 1600. Lo scrittore e maestro di ballo descrive con accuratezza e competenza le modalità della danza del tempo, riportando coreografie e musiche da lui stesso composte e dettando a dame e cavalieri le buone norme che regolano il comportamento in società.
Anche in Francia si compongono dei trattati, come Orchésographie (1589) di Thoinot Arbeau, autore di un testo relativamente semplice destinato non solo ai nobili, che avevano più tempo per imparare, ma anche al colto ceto urbano e all'ambiente militare, in quanto, come recita il sottotitolo, “tutte le persone possono facilmente imparare e praticare l’onesto esercizio delle danze”. Molti giovani erano infatti desiderosi di cimentarsi nella danza per gli incontri sentimentali che avvenivano in occasione delle feste danzanti.
Con il declino delle corti italiane molti maestri di danza sono protagonisti di una consistente migrazione in cerca di corti prestigiose presso cui lavorare, come per esempio in Francia. È il caso del musicista e coreografo Baldassarre da Belgioioso che nel 1581 diede vita al Ballet Comique de la Reine, il primo balletto della storia.
Rappresentato presso la corte di Francia, in un palazzo di Parigi nei pressi del Louvre, alla presenza di Caterina de' Medici, è il primo esempio di ballo spettacolare in cui la danza, insieme alla musica e al canto, ricopre un ruolo di primo piano. Il tema è tratto dal mito di Circe, maga della mitologia greca, e lo scopo della rappresentazione, oltre che di festeggiamento per il matrimonio tra il duca di Joyeuse e Margherita di Lorena, è di celebrare la corte che lo ha sovvenzionato. Interessante è la parte conclusiva nella quale si svolge il grand ballet, con tutti i ballerini che formano quaranta figure geometriche, disponendosi in schieramenti simili a quelli messi in atto durante le battaglie.

Seicento

Nella seconda metà del Seicento la danza viene finalmente portata sui palcoscenici teatrali, aprendosi al professionismo.
L'indebolimento delle corti tra XVI e XVII secolo comportò un parallelo rafforzamento del potere assoluto, prime tra tutte la Francia, i cui sovrani contribuirono notevolmente al fiorire della danza.
Luigi XIII si esibiva in prima persona nei balletti durante i festeggiamenti, alcuni dei quali ispirati alla Gerusalemme liberata del Tasso, dove sceglie di vestire i panni di un demone del fuoco per dichiarare la propria capacità di vincere le minacce che gli arrivano dalla corte stessa e dall'esterno, affermando la propria posizione al di sopra degli altri uomini, vicina a Dio.
Ancor più celebre è il figlio, Luigi XIV, noto come il Re Sole, che proseguì la linea d'interesse per la danza aperta dal padre, mostrando una vera passione per quest'arte. I suoi cortigiani dovevano imparare obbligatoriamente da due a quattro balli l'anno per avere così un repertorio di una dozzina da mostrare durante gli spettacoli. Il re stesso era protagonista delle danze e per queste occasioni si esercitava sino a due ore al giorno.

Il suo debutto avvenne nel 1653 all'età di soli quindici anni, quando era al potere già da dieci, con il Ballet de la nuit. Proprio in questa occasione, vestendo i panni del sole che scaccia la notte, si conquistò il soprannome con cui è ricordato. Musiche e coreografie furono realizzate dal fiorentino Giovanni Battista Lulli, naturalizzato francese con il nome di Jean-Baptiste Lully, segnando la sua ascesa artistica. Egli promosse nel 1661 la nascita dell'Académie Royale de Danse, prima istituzione unicamente dedicata alla danza con cui prese avvio la danza accademica; per questo motivo la terminologia del balletto classico è universalmente in lingua francese.
Nel 1681 venne rappresentato a Saint Germain en Laye, vicino a Parigi, un altro balletto importante, Le Triomphe de l'amour, in occasione delle nozze del figlio di Luigi XIV e Maria Teresa d'Asburgo. Qualche mese più tardi lo spettacolo venne riproposto a teatro con musica di Lully e interpreti dell'Académie royale de musique et de danse, istituzione che andrà poi a coincidere con l'Opéra di Parigi.
Il libretto, pubblicato a seguito della "prima", tesse le lodi di Amore, il dio capace di vincere esseri umani e creature celesti. Il testo cantato dal coro e dai solisti si intreccia con le danze per sottolineare il potere del figlio di Venere, che pervade la vita di ogni uomo poiché “tutti i cuori sono fatti per l’amore”. Si accenna nel libretto anche riguardo all'allestimento scenico, costituito da luoghi magnificamente ornati, mentre i costumi non vengono descritti.

L'interesse per le scenografie fastose, tipiche della cultura barocca, e per la danza, non riguardò solo la Francia, ma anche Inghilterra, Spagna e, soprattutto, Italia, dove a partire dalla fine del Cinquecento si sviluppò intensamente la scenografia. Già Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio, Bronzino e Giorgio Vasari avevano ideato decorazioni sceniche e allestito lussuose feste, ma il loro lavoro rimase circoscritto nell'ambiente di corte. Nel Barocco cominciarono invece ad essere utilizzati nuovi espedienti scenici nei teatri per creare scene trasformabili, in grado di dare l'idea del passaggio del tempo, vere e proprie "finestre barocche". Ciò appassionò artisti come Giovan Battista Aleotti, il cui progetto architettonico diede vita nel 1618 allo straordinario Teatro Farnese di Parma, ma anche lo stesso Gian Lorenzo Bernini, i cui capolavori sono infatti caratterizzati dalla spiccata genialità teatrale.

Nel corso della prima metà del secolo il balletto ebbe un notevole sviluppo presso la corte dei Savoia, a Torino, dove la danza si pose al centro di una costruzione scenografica importante, in cui molta attenzione è posta anche ai costumi e alle macchine teatrali, oltre che alla musica e al canto. L'intrecciarsi di musica canto e danza è ancora quasi del tutto inestricabile, come testimonia l'opera di Claudio Monteverdi, violinista alla corte di Mantova, nella quale nel 1608 andò in scena Il ballo delle ingrate. Alcune "anime ingrate", ossia defunti che in vita non hanno ricambiato i sentimenti amorosi a loro rivolti, escono dalla bocca dell'Inferno per poi farvi ritorno al termine del balletto. Alla "prima" parteciparono anche il duca di Mantova e suo figlio Francesco Gonzaga, il festeggiato insieme alla sposa Margherita di Savoia.

Il balletto si allontanò dunque, nella seconda metà del Seicento, dall'ambiente delle corti, aprendosi al professionismo nei teatri a pagamento. In questo fondamentale passaggio assunse un ruolo decisivo la città di Venezia, in cui a partire dal 1637 il Teatro San Cassiano cominciò ad essere gestito da un gruppo di professionisti che misero in scena opere in musica non inferiori a quelle delle corti, ma con ingresso riservato al solo pubblico pagante.

Settecento

Intorno alla metà del XVIII secolo si sviluppò in Europa il ballet d'action, o balletto d'azione, grazie al quale la danza diviene un’arte capace di esprimere emozioni senza il sostegno della parola recitata o cantata.
Un esempio è Le Festin de pierre, rappresentato a Vienna nel 1761 con coreografie di Gasparo Angiolini, autore anche del libretto in francese ed interprete nei panni di Don Juan. La musica, appositamente composta, è di Gluck, autore che riformò il melodramma.
Il protagonista è Don Giovanni, seduttore amante delle donne, che precipiterà all'inferno per aver ucciso il padre della sua innamorata durante un duello. L'opera è l'anticipazione del celeberrimo Don Giovanni di Mozart.
Lo spettacolo fu un trionfo e il pubblico, secondo quanto riportato dalle cronache dell'epoca, provò paura e commozione fino alle lacrime. Questa è una novità di estrema importanza per la storia del balletto: la danza non è ormai più intesa come semplice svago, ma arte capace di suscitare emozioni.
La danza può essere accostata alla pittura in quanto forme artistiche fruibili solo attraverso gli occhi, che non vengono trasmesse attraverso l'uso della parola, ma capaci ugualmente di esprimersi, proprio attraverso il silenzio, e di custodire molteplici significati.

Direttore del Teatro imperiale di San Pietroburgo e in seguito attivo a Milano presso il Teatro alla Scala da poco inaugurato, Gasparo Angiolini sviluppò l'idea del balletto d'azione, chiamato anche balletto pantomimo, in un periodo particolarmente fertile per la danza, alimentato dal confronto con il coreografo e maestro di balletto Jean-Georges Noverre.

La facciata dell'architetto Giuseppe Piermarini in un'incisione del 1790.

La città di Vienna svolse dunque un ruolo precursore di questa nuova concezione della danza, in particolare con il coreografo Franz Anton Hilverding, autore di balletti su tragedie di autori come Racine e Voltaire a cui il suo allievo Angiolini attribuirà il nome di "pantomimi".

Di questo secolo bisogna ricordare anche l'ambizioso progetto dell'Encyclopédie (1751 - 1780), curata da Diderot in collaborazione con d'Alembert, nella quale vennero coniati da Louis de Cahusac le voci "ballet" e "geste". Il poeta sarà anche autore nel 1754 del Traité historique de la danse, in cui rintraccia le origini del balletto nell'antichità ed esorta gli artisti contemporanei a rinnovare la danza accademica.

Anche Noverre, rivale di Angiolini, scrisse quello che è forse il più importante testo teorico inerente al balletto d'azione, vale a dire Lettres sur la danse, et sur les ballets, datato 1760, mentre la sua attività di coreografo non raggiunse mai livelli altrettanto elevati, al contrario di Angiolini il cui Don Juan viene considerato il primo esempio di balletto d'azione. Lo stesso Pietro Verri, dopo aver assistito ad un balletto di Noverre alla Scala dirà: "non ha saputo commuovere, non è stato superiore ad Angiolini".

Nel Settecento la danza ebbe il merito di ricoprire un ruolo primario all'interno della cultura, divenendo un’arte senza confini, nel senso che si fece patrimonio comune di paesi dalle tradizioni culturali diverse. Per arrivare a ciò nazioni come la Francia e l'Italia su tutte diedero il maggiore contributo, con città come Venezia, Milano, Torino e Roma che ospitavano la danza nei teatri pubblici dando vita ad una produzione di balletti che superò quella di ogni altra città europea.
Il nome del coreografo iniziò ad apparire sui libretti stampati a Venezia e più avanti venne aggiunto anche quello dei ballerini.
In Francia una figura di assoluto fascino fu la danzatrice Marie Sallé, celebrata anche dai versi di Voltaire, le cui virtuose esibizioni infiammarono i principali teatri europei. Il suo talento venne poi superato dalla giovane Barbara Campanini, dotata di un'incredibile bravura pantomimica.

La sostanziale differenza fra lo stile di danza accademico francese e italiano è che il primo è connotato da una morbidezza, un abbandono e una grazia aristocratici, mentre il secondo da una potenza, un brio e un’energia che non rinnegano la lontana influenza delle acrobazie della commedia dell’arte.
La musica nel ballo, in questo periodo, assunse un ruolo sempre di primaria importanza, con Angiolini e Noverre che sostennero la necessità di composizioni create appositamente per il balletto, in una relazione sempre più intima tra le due arti. Angiolini collaborò così con Gluck, mentre Noverre con Mozart.
Durante la metà del secolo ci si pose inoltre la questione della collocazione del ballo nel melodramma; da un lato si auspicava l’integrazione del ballo nel dramma per musica, dall'altro si sottolineò l’autonomia della danza, infine nacquero degli intermezzi ballati all'interno del melodramma che separavano, durante l’intervallo, un atto dall'altro.

Ottocento

Il nuovo secolo si aprì con il balletto Le creature di Prometeo del 1801 coreografato a Vienna da Salvatore Viganò su apposita musica di Ludwig van Beethoven, l'unica del grande musicista dedicata alla danza teatrale. Pur narrando di figure appartenenti alla mitologia greca, al centro dell'attenzione è posto l'essere umano e la rivoluzione di pensiero che caratterizzò quegli anni.
Il balletto venne portato nel 1813 alla Scala sempre da Viganò, che fu attivo nel teatro milanese durante il decennio che va dal 1811 al 1821. Egli fu l'inventore del coreodramma, nel quale la coralità ha il predominio sugli assoli e la pantomima è finalmente integrata totalmente alla danza portando avanti dunque l'idea di balletto d'azione. Per la prima volta con Viganò, capace di avvicinare alla danza un ampio pubblico, venne utilizzato l'aggettivo "romantico" per definire i suoi balletti.
Fu davvero un secolo trionfale per la danza e per il teatro in generale. Nei primi decenni proseguì la contrapposizione tra scuola italiana e francese, patrie incontrastate della bellezza. Si pensi ai loro magnifici teatri, i più importanti al mondo, l'Opéra di Parigi, tempio della tradizione, sede d'elezione del balletto romantico, e la Scala di Milano, "casa" di Giuseppe Verdi.

Così Stendhal: "Esco ora dalla Scala […] È per me il primo teatro del mondo, perché è quello che procura dalla musica i maggiori piaceri […] Quanto all'architettura, è impossibile immaginare nulla di più grande, più solenne e nuovo".

In Francia si affermò il grand opéra, i cui migliori esempi si trovano nelle opere italiane di Gioachino Rossini ma anche di Gaetano Donizetti, genere operistico serio che usa molto il balletto, caratterizzato da coreografie elaborate, sfarzosi allestimenti scenici e dal virtuosismo dei cantanti.

L'orchestra dell'Opéra - Edgar Degas - 1868 circa - Parigi, Museo d'Orsay

Mentre in Francia vi fu il tentativo di inserire definitivamente la danza nell'opera lirica, in Italia si continuava ad offrire il balletto come spettacolo connesso all'opera, ma da essa autonomo ed indipendente per tema e svolgimento d'azione. Questa libertà rimane tuttavia indissolubilmente legata alla lirica; bisognerà infatti aspettare il Novecento per assistere a serate esclusivamente dedicate alla danza.
I migliori ballerini dell'epoca furono due italiani attivi nella scuola francese, Salvatore Taglioni e Carlo Blasis. Taglioni si formò e debuttò a Parigi per poi lavorare a Napoli dove, nel 1812, fondò al Teatro San Carlo una scuola di ballo che per la prima volta sperimentò con impegno la tendenza all'elevazione, al sollevarsi sulle punte, tipica dello stile romantico. Anche suo fratello Filippo fu un celebre danzatore, il quale nel 1827 stupì tutto il pubblico parigino dell'Opéra facendo esibire la figlia Maria, stella della danza, con le scarpette da punta.
Blasis interpretò ruoli di spicco a Parigi e girò poi da Varsavia a Lisbona, da Mosca a Milano, dove rimase tredici anni alla Scala. Oltre che come ballerino va ricordato come scrittore di trattati sulla danza in cui contribuì alla formazione del buon danzatore inserendo numerose illustrazioni che permettono al lettore di comprendere visivamente le corrette posizioni di gambe, braccia e busto.

L'étoile - Edgar Degas - 1878 - Parigi, Museo d'Orsay

Nel 1841 debuttò all'Opéra di Parigi Giselle, emblema del balletto romantico, il cui libretto fu scritto da un allora giovane letterato, Théophile Gautier. La coreografia fu curata da Jean Coralli, mentre i passi dei primi ballerini da Jules Perrot.
La protagonista, interpretata da un’acclamata Carlotta Grisi, da poco assunta al teatro, è una bellissima fanciulla di paese che ama ballare nonostante la fragile salute. Il suo innamorato Loys, in realtà duca Albert, tiene celata la propria identità per rimanerle vicino. I due si promettono amore eterno, ma l’arrivo della principessa promessa sposa di Albert porterà alla tragica morte di Giselle, impazzita per il dolore.
La scena cambia in tutt'altra atmosfera nei pressi di un lago, in un bosco dove appaiono le villi, fanciulle morte infelici perché tradite o abbandonate. Da una tomba si leva Giselle, che volteggia in aria ricordando i passi che tanto amava eseguire in vita. Sopraggiunge disperato Albert in cerca della tomba di Giselle e tra i due avviene un incontro carico di tenerezza e malinconia. Le villi, che costringono a danzare fino alla morte gli uomini, decidono di punire Albert, protetto però da Giselle che lo sostiene con amore fino a quando le ville sono costrette a svanire con le prime luci dell’alba. Nella conclusione scompare anche Giselle, che Albert non dimenticherà mai, vivendo nel rimpianto di un amore perduto, più forte della morte stessa.
Il successo fu straordinario, non solo per la danza ma anche per le bellissime coreografie, con il sorprendente contrasto tra una prima parte carica di colori luminosi e una seconda immersa in un biancore lunare. Sono i temi più che mai romantici di amore e morte, umano e divino.

Carlotta Grisi come Giselle.

Se Giselle è l'esempio più classico di balletto romantico, La Sylphide va ricordato come il primo, interpretato nel 1832 da Maria Taglioni, anch'esso focalizzato sulle differenze tra reale e sovrannaturale, con quella ricerca verso l’infinito che tornerà in molte opere successive.

Il Romanticismo si diffuse in Francia qualche anno dopo rispetto a Germania e Inghilterra. Determinante fu certamente Victor Hugo, autore del dramma Hernani, la cui “prima” nel 1830 segna convenzionalmente l’inizio del Romanticismo francese.
Nel 1844 andò in scena La Esmeralda, ispirato al ricorrente tema di amore e morte del romanzo capolavoro Notre-Dame de Paris.
Durante il periodo romantico si assiste alla celebrazione della prima ballerina; Maria Taglioni e Carlotta Grisi su tutte divengono vere icone internazionali e il loro abbigliamento scenico, caratterizzato dal tipico tutù di tulle bianco e dalle scarpette da punta, emblema unitario di ogni cultura in cui trova espressione.

Ballerina - Pierre-Auguste Renoir - 1874 - Washington, National Gallery of Art

Le scarpette da punta divengono specchio dello stato d'animo, mezzo che attraverso la sensibilità e la grazia di chi le indossa riesce quasi a colmare quell'aspirazione al volo di un corpo che tende verso un altrove ideale.
La bellezza celestiale delle ballerine e del loro abbigliamento contrasta però con l'estenuante fatica fisica a cui sono sottoposte quotidianamente e di un mondo, quello teatrale, che al di là del palco è sicuramente meno sfavillante. Per molte ragazze entrare in un corpo di ballo significava infatti fuggire da una povertà altrimenti certa.

Il dipinto

Edgar Degas è stato il pittore delle ballerine, soggetto che gli permise allo stesso tempo di rappresentare una realtà contemporanea e di studiare il movimento, conferendo ai suoi quadri una nuova inquadratura, quasi fotografica, che riesce a fermare un preciso istante con immediatezza. L'artista, assiduo frequentatore dell'Opéra, sembra infatti sempre presente in un angolo della scena, si pensi al capolavoro L'assenzio, divenendo nei suoi dipinti una presenza silenziosa capace di restituirci fedelmente istanti del passato, proprio come la nuova tecnica della fotografia, promossa in quegli anni da Félix Nadar. Sebbene le sue opere appaiano dipinte in poco tempo, in realtà vi lavorava per diversi giorni, a volte anche anni, come nel caso della Lezione di danza a cui si dedicò dal 1873 al 1875. Ciò si contrappone alla tecnica impressionista di autori come Claude Monet o Camille Pissarro, i quali prediligevano il dipingere en plein air restituendo la prima impressione che l'occhio focalizzava mente.

Custodita al Museo d'Orsay di Parigi, nella Lezione di danza non sono esenti velature di inquietudine, che si esprimono nello sguardo severo del maestro, Jules Perrot, coreografo di Giselle, con in mano un lungo bastone autoritario. Solo una ragazza è al centro dell'attenzione, impegnata nell'esecuzione di un esercizio, mentre le altre approfittano dell'inaspettato momento di pausa.
I corpi femminili di Degas sono però anche l'espressione appassionata della sensibilità di un pittore considerato dai più scorbutico e nevrotico a causa della salute cagionevole. Dipingerà questo tema sino agli ultimi giorni, quando ha ormai perso totalmente la vista, dando vita a veri e propri sogni d'amore.


Nel corso dell'Ottocento i teatri europei che accolgono il balletto aprirono a spettatori appartenenti sempre più a diverse fasce sociali. I palchi divengono così luoghi d'incontro per borghesi arricchiti e nobili, dove le signore possono chiacchierare con le amiche senza essere accompagnate dai mariti. Il pubblico assume un ruolo da protagonista e spesso osservare gli altri palchi poteva essere una sorta di spettacolo nello spettacolo.
L'arrivo della luce elettrica permise di avvolgere la platea nel buio, così da poter godere della scena senza essere visti da altri, magari servendosi di un binocolo da teatro, così da poter circoscrivere il proprio sguardo.

Il palco - Pierre-Auguste Renoir - 1874 circa - Londra, Courtauld Gallery

Dopo la seconda metà del secolo l'Opéra entrò lentamente in crisi, con Parigi che perse la propria egemonia a scapito di San Pietroburgo, dove nel 1892 debuttò al Teatro Marijnskij Lo schiaccianoci di Čajkovskij, ancora oggi nei teatri un autentico capolavoro.
L'allestimento scenico fu curato da uno dei massimi coreografi della storia del balletto, Marius Petipa, che dovette però lasciare il posto a Lev Ivanov, secondo coreografo del teatro, a causa di una malattia.
L'azione si svolge in due atti, il primo di ambientazione realistica eccetto il finale a cui si assiste ad un sogno, mentre il secondo fantastico, immerso in uno zuccherato Regno dei dolci.
Durante la vigilia di Natale Clara e Fritz, figli di una coppia benestante, attendono con ansia i regali. Finalmente arriva un amico di famiglia, il signor Drosselmeyer, con alcuni doni strabilianti tra cui uno schiaccianoci a forma di soldatino per Clara.
Nella notte la bambina inizia a sognare una miriade di topi intenti a rubarle il giocattolo. Improvvisamente lo schiaccianoci si anima trasformandosi in un grazioso giovane, portando con sé la fanciulla in un viaggio nel Regno dei dolci, di cui è il Principe. Tra meravigliose e dolci sorprese Clara e il Principe assistono ad esibizioni di danzatori provenienti da paesi esotici, durante le quali vengono eseguite le più celebri composizioni di Čajkovskij, per poi fare ritorno nella realtà. Al risveglio la bambina ripensa al magico sogno abbracciando il suo schiaccianoci.
I primi ballerini del balletto avevano già ottenuto un grande successo interpretando due anni prima La Bella addormentata nel bosco, altro capolavoro del musicista.

La Russia divenne dunque, a partire dagli anni settanta del XIX secolo, il fulcro di elaborazione del balletto. Fondamentale fu la figura di Petipa, francese, che si trasferì a San Pietroburgo nel 1847 portando alcuni balletti di successo dell'Opéra, come Sylphide e Giselle, ma anche La Esmeralda di Londra. La collaborazione tra Petipa e Čajkovskij aprì una fase creativa straordinaria, caratterizzata da allestimenti fastosi e sontuose scene d’insieme, cominciata con i due balletti citati e proseguita nel 1895 con Il Lago dei cigni.

L'apice della gloria ottenuta in questi anni del balletto proseguì anche all'inizio del Novecento in un'esperienza del tutto nuova ed affascinante che avrà come protagonisti l'impresario Diaghilev ed il mito della danza Nijinskij.

Novecento

Nei primi anni del XX secolo crebbe la volontà di riprendere la tradizione della danza accademica adattandola al tempo in cui veniva impiegata, in una linea che venne poi definita “neoclassica”. Su quest'idea posero le loro basi i Balletti russi, compagnia di danza classica fondata nel 1909 da Sergej Diaghilev, geniale direttore artistico ed impresario capace di intrecciare facoltose relazioni, una fra tutte quella con Igor Stravinskij, che scoprì quando era solo una promessa aprendogli la strada del successo. Il loro prolifico legame portò alla realizzazione di numerosi capolavori, come Le Sacre du Printemps, in italiano "Rito Sacro della primavera", spesso erroneamente tradotto come "La Sagra della primavera".

Diaghilev e Stravinskij nel 1921.

I Balletti russi concepivano la danza come un’opera d’arte totale, capace di coinvolgere la coreografia, intesa come l’arte di comporre le figure del balletto, ma anche la musica, i costumi e le scenografie. Attorno a questa nuova espressione artistica gravitarono le figure più importanti dell’epoca, tra cui, oltre a Stravinskij, i musicisti Claude Debussy, Erik Satie, Maurice Ravel, sino a Sergej Prokof’ev; da Michel Fokine a George Balanchine per le coreografie; infine pittori come Pablo Picasso e Henri Matisse.

I danzatori dei Balletti russi, capaci letteralmente di incantare la scena francese di inizio secolo, si formarono tutti in uno dei templi della danza accademica, ossia la città di San Pietroburgo, tuttavia non si esibirono mai nel loro paese. Il fenomeno dei balletti di Diaghilev nacque infatti dalla volontà di far conoscere l'arte del proprio paese all'estero, connessa all'intuizione di proporla in Francia, vale a dire quella che era la capitale culturale e del balletto, declassata sul finire dell'Ottocento a scapito del contesto russo.

Il ballerino più celebre della compagnia, rimasto nella storia della danza per il virtuosismo e l'intensità delle sue caratterizzazioni, fu Vaslav Nijinskij, giovane bello e sensuale di cui si innamorò Diaghilev, sostenitore della sua brillante carriera. La vita di Nijinskij fu invece breve e difficile, sfociata nel mito. Perse infatti la madre e il fratello, ricoverato in manicomio, vivendo sempre a contatto con la tristezza e la follia, oscura presenza che lo rapì proprio nel momento di massimo successo. La sua genialità si trasformò così in pazzia, in una ricerca quasi maniacale di dialogo con Dio per mezzo della danza, da qui il soprannome "ballerino di Dio".
Nijinskij, artista fondamentale per il rilancio novecentesco di una danza maschile finita in secondo piano rispetto a quella femminile, restò sempre umile e semplice nonostante la gloria, estraniandosi dalla bassezza umana e liberando così la sua danza verso il divino.

La gente pensa di aver bisogno di molte cose, perché più cose si hanno, più si è felici. Io so che meno si ha, più si è tranquilli dentro. [...] Non voglio che si pensi << per me basta e avanza >>. Io non amo l'egoismo. Io amo tutti. Se mangio poco è perché non ho bisogno di riempirmi lo stomaco. Voglio vivere semplicemente. Voglio amare perché voglio la felicità di tutti. Sarò il più felice del mondo quando saprò che tutti condividono tutto. Sarò il più felice del mondo quando reciterò, danzerò, eccetera, senza essere pagato.

Seduti sui gradini di una chiesa
aspettavamo che finisse messa e uscissero le donne,
poi guardavamo con le facce assenti
la grazia innaturale di Nijinskij.
E poi di lui si innamorò perdutamente il suo impresario
e dei Balletti russi [...]
L'inverno con la mia generazione
le donne curve sui telai vicine alle finestre,
un giorno sulla prospettiva Nevski
per caso vi incontrai Igor Stravinskij [...]
E il mio maestro mi insegnò com'è difficile
trovare l'alba dentro l'imbrunire...
E il mio maestro mi insegnò com'è difficile
trovare l'alba dentro l'imbrunire.

Franco Battiato

Il cartellone della prima stagione, nel 1909, offrì quattro balletti, Les Sylphides, omaggio al primo romanticismo con musiche tratte dal repertorio di Fryderyk Chopin, Le Pavillon d’Armide, Il Principe Igor e Cléopâtre, tutti coreografati da Michel Fokine. Quest’ultimo si dimise nel 1912 quando Diaghilev, avendo ormai consolidato il successo, affidò con una scelta audace il ruolo di coreografo, oltre che di primo ballerino, a Nijinskij per la realizzazione del balletto Il pomeriggio di un fauno, musicato da Debussy ed ispirato al poema di Sthéphane Mallarmé.

Intanto nel 1910 era iniziata la collaborazione con Stravinskij ne L’uccello di fuoco, cavallo di battaglia della compagnia, che proseguì l’anno successivo con Petrushka, struggente interpretazione del dramma di una marionetta che ama segretamente una ballerina, finendo ucciso dall’amante di lei. Il ruolo del burattino venne affidato a Nijinskij, che ne trasse una delle sue interpretazioni più memorabili, riuscendo a dare una vera e propria anima alla marionetta più avanti accostata alle figure di Pierrot e Pinocchio.

Il perfetto connubio tra Diaghilev, Stravinskij e Nijinskij proseguì nel 1913 con Le Sacre du Printemps, opera che suscitò un incredibile scandalo in quanto celebrazione pagana che si concludeva con il sacrificio di una giovane donna in onore della stagione florida e rigeneratrice. Il musicista, che diede vita ad una partitura di dirompente attualità, fu addirittura aggredito in sala durante l’esecuzione.

Durante la Prima guerra mondiale il Balletti russi sopravvissero a fatica; inoltre nel 1917 Nijinskij abbandonerà la compagnia in totale rottura con Diaghilev e sull'orlo della follia. Il suo posto fu preso da Léonide Massine, coreografo ed abile danzatore formatosi a Mosca. Con il ballerino Diaghilev si legò in una relazione che si concluse presto a causa del matrimonio di Massine, stesso motivo per cui l'impresario aveva troncato il rapporto con Nijinskij.

Sempre nel 1917 andò in scena Parade con musica di Satie, che inserì effetti sonori prima di allora mai utilizzati, tratti dalla moderna vita contemporanea, come quelli prodotti da una macchina da scrivere. L’opera, che stupì per originalità e riuscì per un attimo a far dimenticare la drammaticità della guerra, non fu però compresa totalmente dal pubblico e venne fortemente criticata dagli spettatori, tutti eccetto uno: Marcel Proust.
Le scene, i costumi ed il sipario furono realizzati da Picasso, mentre Apollinaire scrisse il programma di sala in cui per la prima volta usò il termine “surrealismo”.

Nel 1928 debuttò Apollon musagète, noto con il titolo di Apollo, l’opera più importante dell'ultimo coreografo dei Balletti russi, George Balanchine. È un balletto narrativo di ambientazione mitologica con musica apposita di Stravinskij. Nella scena iniziale, breve e prevalentemente mimica, che si svolge dinanzi al sipario chiuso, Leto dà alla luce Apollo. Il giovane dio scopre subito i propri poteri sovrannaturali e danza in un assolo. Sopraggiungono poi tre muse, Calliope, dea della poesia epica, Polimnia, protettrice della pantomima, e Tersicore, della danza, alle quali Apollo dona gli attributi delle arti di cui sono a capo. Nella conclusione il dio danza con tutte e tre per poi condurle al Parnaso insieme alla madre Leto.

La “prima” fu un evento mondano di grandissimo successo, con lo stesso Stravinskij come direttore d’orchestra che lodò il coreografo perché capace di risollevare la danza accademica in un’opera contemporanea. La sua partitura fu per questo scritta come omaggio al Seicento francese.
Balanchine inventò per il balletto dei gesti e movimenti capaci di rimanere impressi negli occhi degli spettatori, come quando Apollo e Tersicore mettono in contatto la punta degli indici delle loro mani in un chiaro riferimento al Michelangelo Buonarroti della Cappella Sistina.

L'anno successivo Diaghilev morì improvvisamente a Venezia, dove oggi riposa vicino a Stravinskij. Con lui si dissolsero anche i Balletti russi, il cui mito sopravvisse ben oltre ai vent'anni di esistenza, in un repertorio ancora oggi danzato nelle versioni originali con incredibile e sempre nuovo successo.

Note

La foto del Teatro Farnese di Parma è stata scattata nel settembre 2021.