Il Sommo Poeta

DI MARCO CATANIA

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Il duca dannunziano

2025-06-25 22:58

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Storia,

Il duca dannunziano

Il cugino del re: Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta.

In ogni famiglia i rapporti di parentela spesso non sono tra i più idilliaci, carichi di rivalità o incomprensioni, a maggior ragione in una famiglia reale, in cui l'ambizione al trono può rivelarsi portatrice di gelosie o conflitti tra chi ha sulle spalle il peso del potere e chi, condannato al ruolo di comprimario, lo ambisce costantemente.
Nella storia della corona d'Italia questo dualismo si verificò tra i Savoia e i cugini Aosta, in particolare tra il sovrano Vittorio Emanuele III e suo cugino Emanuele Filiberto d'Aosta, ricordato come il Duca Invitto e protagonista della Grande Guerra al comando della celebre Terza Armata.
Nel lungo regno del "piccolo re", segnato - oltre che dai complessi per la propria inferiorità fisica - da due grandi conflitti mondiali, dalle numerose insurrezioni del Biennio rosso e dall'ascesa del fascismo di Benito Mussolini, un'ulteriore minaccia era rappresentata proprio dalla figura del cugino, particolarmente popolare e affascinante, amato dai soldati e dalle donne. Il suo mito era Gabriele d'Annunzio, il Vate, del quale imitava i gesti e l'appassionata retorica, amando più il dannunzianesimo inteso come arte di piacere che i suoi versi sublimi o le auliche prose.
Unico in Casa Savoia capace di parlare in pubblico sebbene l'insofferenza per lo studio, d'indole coraggiosa e affabile nei modi, Emanuele Filiberto incarnava l'immagine dei protagonisti dei romanzi dannunziani che vivevano d'arte, rivelandosi spesso un po' fatui e sensualmente decadenti come tipico del gusto di fine Belle Époque. Alto, atletico e di bell'aspetto, il duca d'Aosta era coetaneo del re d'Italia e dunque il popolo aveva cominciato a mormorare sin da subito sulla gelosia che poteva nutrire l'erede al trono nei confronti dell'affascinante cugino, per poi continuare a vociferare sulla volontà del duca di prenderne il posto negli anni dei loro rispettivi matrimoni, della guerra e del regime fascista.
Il ramo cadetto di Casa Savoia era nato con il padre di Emanuele Filiberto, Amedeo d'Aosta, secondogenito del "Padre della Patria" Vittorio Emanuele II e, sebbene per un tempo alquanto breve, sovrano di Spagna, una corona che, nell'instabilità politica del paese, si decise di assegnare ai Savoia. Fu scelto allora Amedeo, il fratello minore dell'erede di Vittorio Emanuele, che era Umberto I, il quale ereditava invece l'Italia.
Nato a Genova nel gennaio 1869, ad appena un anno Emanuele Filiberto era principe ereditario di Spagna, nonché l'eventuale successore al trono italiano a seguito del regicidio di Umberto I, quando Vittorio Emanuele, sposato con Elena del Montenegro, tardava ad avere l'erede maschio. Inoltre da ragazzo Vittorio Emanuele - appassionato studioso dal carattere schivo e riservato - aveva dichiarato la propria incertezza nell'ereditare il trono paterno, attratto maggiormente da una vita serena e solitaria nella quiete dei suoi molteplici interessi, su tutti quelli per la numismatica e la fotografia. I suoi progetti cambiarono in modo inaspettato nel drammatico 29 luglio del 1900, quando l'uccisione di suo padre a Monza lo portò ad assumersi le proprie responsabilità, in un gesto che ne rivelava un coraggio ammirevole e non scontato per un uomo di appena trent'anni.
Vittorio Emanuele III, al contrario del cugino, dimostrava molti più anni della sua età, era smunto, d'altezza appena superiore al metro e cinquanta, freddo nei modi e di scarsa loquacità. Era giunto il tempo, però, di mettere da parte le rivalità familiari, di affrontare il senso d'inferiorità che lo mortificava e di salire al trono per guidare il paese in un periodo, quello di inizio Novecento, che si stava rivelando più che mai inquieto.
A far vacillare la legittima successione al trono, prima dell'assassinio di Umberto I, era stato anche il matrimonio di Emanuele Filiberto, avvenuto nel 1895, ossia un anno prima di quello tra Vittorio Emanuele e la principessa Elena del Montenegro. Il duca d'Aosta, nonostante la contrarietà dei Savoia, era riuscito a sposare l'affascinante Elena d'Orléans, una donna emancipata e intraprendente, figlia di Luigi Filippo Alberto, conte di Parigi, pretendente al trono di Francia in quanto nipote di Luigi Filippo d'Orléans, ultimo sovrano francese. Tenendo conto delle delusioni monarchiche vissute nella propria patria nel corso del XIX secolo, Elena era ben felice di convolare a nozze con un principe raffinato e di un illustre casato, che era stato anche erede di Spagna e che poteva vantare ambizioni al trono italiano. Sicuramente Elena sognava e fantasticava su tale scenario, guardando con ottimismo al nuovo secolo, tuttavia bisogna dire che ella rispettò sempre il proprio ruolo, basti dire che fu una delle prime ad accorrere al Castello di Racconigi, in piena notte, quando nel 1904 la regina Elena dava alla luce il futuro Umberto II, una nascita che di fatto poneva fine alle aspirazioni degli Aosta.
Il matrimonio tra Emanuele Filiberto e Elena, ostacolato in quanto veniva celebrato prima di quello degli eredi al trono, trovava anche giudizi negativi tra chi faceva notare che gli Orléans erano una famiglia fortemente cattolica, un dettaglio non di poco conto per una monarchia, quella sabauda, ancora poco solida a seguito dell'unificazione nazionale e caratterizzata da una politica di indipendenza dalla Chiesa. Elena era inoltre principessa d'alto lignaggio, dalla raffinata educazione, che avrebbe brillantemente vinto il confronto con la futura regina d'Italia, proveniente da un regno quasi sconosciuto e poverissimo. Non a caso si alimentarono pettegolezzi, come quello secondo cui la duchessa d'Aosta fosse solita chiamare la rivale Elena, ironicamente, ma anche con malizia aristocratica, ma cousine la bergère, ossia la pastora. Infine, un altro motivo di notevole importanza contro le nozze era la Triplice Alleanza sancita nel 1882 dall'allora sovrano Umberto I con Austria e Germania, dunque in contrapposizione con la Francia, con cui i rapporti, a seguito dell'alleanza risorgimentale, non erano dei migliori.
Sulla scena politica e patriottica italiana, a distinguersi per prima nella coppia dei duchi d'Aosta fu proprio Elena, che, sebbene le fragili condizioni di salute che caratterizzarono tutta la sua vita, decise di imbarcarsi come volontaria della Croce Rossa verso la Libia durante la guerra coloniale del 1911, celebrata per la sua prodigalità dai versi di d'Annunzio, al tempo esule in Francia, un paese da lui sempre amato.
Per Emanuele Filiberto il glorioso palcoscenico personale si presentò invece in occasione della Prima guerra mondiale, quando, al comando della Terza Armata schierata sul Carso orientale, si distinse per la capacità di resistere sul Piave per poi risollevarsi a Vittorio Veneto, ottenendo il soprannome di Duca Invitto poiché mai fu battuto dai nemici. Elena accorse nuovamente al fronte come crocerossina e alla guerra parteciparono anche i loro giovanissimi figli, Amedeo e Aimone, per una famiglia che acquisiva in tal modo ancor più popolarità.
Sebbene anche Vittorio Emanuele rafforzò la propria immagine nel corso del conflitto, celebrato come un re soldato perché impegnato in prima persona al fronte a visitare le truppe, l'immagine del duca - intento a ispezionare le prime linee, impegnato nelle discussioni sui piani di battaglia e capace di interagire coi soldati grazie a quelle capacità umane che mancavano al cugino - divenne quella di una vera e propria personalità, una leggenda della Grande Guerra, a cui, non a caso, molti guardarono quando, a seguito della disfatta di Caporetto, il re scelse saggiamente per un cambio al vertice come capo dell'esercito. Al posto del generale Luigi Cadorna, tuttavia, venne scelto Armando Diaz, tra l'altro un sottoposto del duca, con la giustificazione che un possibile erede al trono non poteva correre il rischio di essere troppo coinvolto in un'eventuale sconfitta, una scelta comprensibile ma difficile da accettare per Emanuele Filiberto.
Interventista e nazionalista, a conclusione della guerra il duca d'Aosta fu un sostenitore dell'Impresa di Fiume dannunziana, senza tenere conto della contrarietà del governo e del fatto che i membri della famiglia reale non dovrebbero schierarsi politicamente. Ancor più eclatante fu il gesto di sua moglie Elena, che fece visita al Vate e ai suoi legionari. Il poeta rimarrà però deluso dall'epilogo dell'impresa e dalla figura del duca, che man mano andava avvicinandosi al movimento fascista di Mussolini. Questa scelta, oltre a rappresentare un'ulteriore presa di posizione inopportuna da parte di un principe, dimostrava la sua mancanza di una solida istruzione, l'educazione militarista e un carattere alquanto impulsivo, tradendo una nobile ideologia come quella dannunziana che aveva ispirato il duce nella propria ascesa, ma che nulla aveva a vedere con i gesti e i modi propri del regime mussoliniano.
Filiberto, come tanti, vedeva nel fascismo una forza nazionalista capace di ristabilire l'ordine e accontentare i delusi reduci di guerra, ponendo fine alle violenze sociali e alle rivoluzioni che segnavano il paese. Così, quando nell'ottobre 1922 Mussolini salì al potere a seguito della Marcia su Roma, la figura del duca, schierata a favore delle camicie nere, alle quale conferiva legittimazione, divenne un serio problema per Vittorio Emanuele III, il quale, nella decisione di non proclamare lo stato d'assedio, tenne probabilmente in considerazione anche la possibilità di una presa del potere con la forza da parte dei fascisti facendo leva proprio sul duca d'Aosta, il quale avrebbe potuto finalmente scalzare dal trono il cugino.
Non si può sapere quanto di vero vi fosse in questa ipotesi, ma di sicuro Filiberto non fu una presenza rasserenante per il re, durante l'ascesa di Mussolini come in tutti gli episodi precedenti. Con la sua prestanza fisica e l'oratoria appresa da d'Annunzio, il duca incarnava perfettamente quell'ideale elaborato dal fascismo e rimase costantemente un'ombra minacciosa per il sovrano, sino a quando la morte, improvvisa, lo colse a Torino nel 1931, ad appena sessantadue anni. Come da sua volontà, fu sepolto tra le salme di migliaia di caduti al fronte, insieme agli eroi della Terza Armata nel sacrario di Redipuglia, in provincia di Gorizia.

Nell'immagine di copertina si vede il Duca Invitto con Gabriele d'Annunzio.

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In ogni famiglia i rapporti di parentela spesso non sono tra i più idilliaci, carichi di rivalità o incomprensioni, a maggior ragione in una famiglia reale, in cui l'ambizione al trono può rivelarsi portatrice di gelosie o conflitti tra chi ha sulle spalle il peso del potere e chi, condannato al ruolo di comprimario, lo ambisce costantemente.Nella storia della corona d'Italia questo dualismo si verificò tra i Savoia e i cugini Aosta, in particolare tra il sovrano e suo cugino Emanuele Filiberto d'Aosta, ricordato come il Duca Invitto e protagonista della Grande Guerra al comando della celebre Terza Armata.Nel lungo regno del "piccolo re", segnato - oltre che dai complessi per la propria inferiorità fisica - da due grandi conflitti mondiali, dalle numerose insurrezioni del Biennio rosso e dall'ascesa del fascismo di , un'ulteriore minaccia era rappresentata proprio dalla figura del cugino, particolarmente popolare e affascinante, amato dai soldati e dalle donne. Il suo mito era , il Vate, del quale imitava i gesti e l'appassionata retorica, amando più il dannunzianesimo inteso come arte di piacere che i suoi versi sublimi o le auliche prose.Unico in Casa Savoia capace di parlare in pubblico sebbene l'insofferenza per lo studio, d'indole coraggiosa e affabile nei modi, Emanuele Filiberto incarnava l'immagine dei protagonisti dei romanzi dannunziani che vivevano d'arte, rivelandosi spesso un po' fatui e sensualmente decadenti come tipico del gusto di fine Belle Époque. Alto, atletico e di bell'aspetto, il duca d'Aosta era coetaneo del re d'Italia e dunque il popolo aveva cominciato a mormorare sin da subito sulla gelosia che poteva nutrire l'erede al trono nei confronti dell'affascinante cugino, per poi continuare a vociferare sulla volontà del duca di prenderne il posto negli anni dei loro rispettivi matrimoni, della guerra e del regime fascista.Il ramo cadetto di Casa Savoia era nato con il padre di Emanuele Filiberto, , secondogenito del "Padre della Patria" e, sebbene per un tempo alquanto breve, sovrano di Spagna, una corona che, nell'instabilità politica del paese, si decise di assegnare ai Savoia. Fu scelto allora Amedeo, il fratello minore dell'erede di Vittorio Emanuele, che era , il quale ereditava invece l'Italia.Nato a Genova nel gennaio 1869, ad appena un anno Emanuele Filiberto era principe ereditario di Spagna, nonché l'eventuale successore al trono italiano a seguito del regicidio di Umberto I, quando Vittorio Emanuele, sposato con , tardava ad avere l'erede maschio. Inoltre da ragazzo Vittorio Emanuele - appassionato studioso dal carattere schivo e riservato - aveva dichiarato la propria incertezza nell'ereditare il trono paterno, attratto maggiormente da una vita serena e solitaria nella quiete dei suoi molteplici interessi, su tutti quelli per la numismatica e la fotografia. I suoi progetti cambiarono in modo inaspettato nel drammatico 29 luglio del 1900, quando l'uccisione di suo padre a Monza lo portò ad assumersi le proprie responsabilità, in un gesto che ne rivelava un coraggio ammirevole e non scontato per un uomo di appena trent'anni.Vittorio Emanuele III, al contrario del cugino, dimostrava molti più anni della sua età, era smunto, d'altezza appena superiore al metro e cinquanta, freddo nei modi e di scarsa loquacità. Era giunto il tempo, però, di mettere da parte le rivalità familiari, di affrontare il senso d'inferiorità che lo mortificava e di salire al trono per guidare il paese in un periodo, quello di inizio Novecento, che si stava rivelando più che mai inquieto.A far vacillare la legittima successione al trono, prima dell'assassinio di Umberto I, era stato anche il matrimonio di Emanuele Filiberto, avvenuto nel 1895, ossia un anno prima di quello tra Vittorio Emanuele e la principessa Elena del Montenegro. Il duca d'Aosta, nonostante la contrarietà dei Savoia, era riuscito a sposare l'affascinante Elena d'Orléans, una donna emancipata e intraprendente, figlia di Luigi Filippo Alberto, conte di Parigi, pretendente al trono di Francia in quanto nipote di , ultimo sovrano francese. Tenendo conto delle delusioni monarchiche vissute nella propria patria nel corso del XIX secolo, Elena era ben felice di convolare a nozze con un principe raffinato e di un illustre casato, che era stato anche erede di Spagna e che poteva vantare ambizioni al trono italiano. Sicuramente Elena sognava e fantasticava su tale scenario, guardando con ottimismo al nuovo secolo, tuttavia bisogna dire che ella rispettò sempre il proprio ruolo, basti dire che fu una delle prime ad accorrere al Castello di Racconigi, in piena notte, quando nel 1904 la regina Elena dava alla luce il futuro , una nascita che di fatto poneva fine alle aspirazioni degli Aosta.Il matrimonio tra Emanuele Filiberto e Elena, ostacolato in quanto veniva celebrato prima di quello degli eredi al trono, trovava anche giudizi negativi tra chi faceva notare che gli Orléans erano una famiglia fortemente cattolica, un dettaglio non di poco conto per una monarchia, quella sabauda, ancora poco solida a seguito dell'unificazione nazionale e caratterizzata da una politica di indipendenza dalla Chiesa. Elena era inoltre principessa d'alto lignaggio, dalla raffinata educazione, che avrebbe brillantemente vinto il confronto con la futura regina d'Italia, proveniente da un regno quasi sconosciuto e poverissimo. Non a caso si alimentarono pettegolezzi, come quello secondo cui la duchessa d'Aosta fosse solita chiamare la rivale Elena, ironicamente, ma anche con malizia aristocratica, , ossia la pastora. Infine, un altro motivo di notevole importanza contro le nozze era la Triplice Alleanza sancita nel 1882 dall'allora sovrano Umberto I con Austria e Germania, dunque in contrapposizione con la Francia, con cui i rapporti, a seguito dell'alleanza risorgimentale, non erano dei migliori.Sulla scena politica e patriottica italiana, a distinguersi per prima nella coppia dei duchi d'Aosta fu proprio Elena, che, sebbene le fragili condizioni di salute che caratterizzarono tutta la sua vita, decise di imbarcarsi come volontaria della Croce Rossa verso la Libia durante la guerra coloniale del 1911, celebrata per la sua prodigalità dai versi di d'Annunzio, al tempo esule in Francia, un paese da lui sempre amato.Per Emanuele Filiberto il glorioso palcoscenico personale si presentò invece in occasione della Prima guerra mondiale, quando, al comando della Terza Armata schierata sul Carso orientale, si distinse per la capacità di resistere sul Piave per poi risollevarsi a Vittorio Veneto, ottenendo il soprannome di Duca Invitto poiché mai fu battuto dai nemici. Elena accorse nuovamente al fronte come crocerossina e alla guerra parteciparono anche i loro giovanissimi figli, Amedeo e Aimone, per una famiglia che acquisiva in tal modo ancor più popolarità.Sebbene anche Vittorio Emanuele rafforzò la propria immagine nel corso del conflitto, celebrato come un re soldato perché impegnato in prima persona al fronte a visitare le truppe, l'immagine del duca - intento a ispezionare le prime linee, impegnato nelle discussioni sui piani di battaglia e capace di interagire coi soldati grazie a quelle capacità umane che mancavano al cugino - divenne quella di una vera e propria personalità, una leggenda della Grande Guerra, a cui, non a caso, molti guardarono quando, a seguito della disfatta di Caporetto, il re scelse saggiamente per un cambio al vertice come capo dell'esercito. Al posto del generale Luigi Cadorna, tuttavia, venne scelto Armando Diaz, tra l'altro un sottoposto del duca, con la giustificazione che un possibile erede al trono non poteva correre il rischio di essere troppo coinvolto in un'eventuale sconfitta, una scelta comprensibile ma difficile da accettare per Emanuele Filiberto.Interventista e nazionalista, a conclusione della guerra il duca d'Aosta fu un sostenitore dell'Impresa di Fiume dannunziana, senza tenere conto della contrarietà del governo e del fatto che i membri della famiglia reale non dovrebbero schierarsi politicamente. Ancor più eclatante fu il gesto di sua moglie Elena, che fece visita al Vate e ai suoi legionari. Il poeta rimarrà però deluso dall'epilogo dell'impresa e dalla figura del duca, che man mano andava avvicinandosi al movimento fascista di Mussolini. Questa scelta, oltre a rappresentare un'ulteriore presa di posizione inopportuna da parte di un principe, dimostrava la sua mancanza di una solida istruzione, l'educazione militarista e un carattere alquanto impulsivo, tradendo una nobile ideologia come quella dannunziana che aveva ispirato il duce nella propria ascesa, ma che nulla aveva a vedere con i gesti e i modi propri del regime mussoliniano.Filiberto, come tanti, vedeva nel fascismo una forza nazionalista capace di ristabilire l'ordine e accontentare i delusi reduci di guerra, ponendo fine alle violenze sociali e alle rivoluzioni che segnavano il paese. Così, quando nell'ottobre 1922 Mussolini salì al potere a seguito della Marcia su Roma, la figura del duca, schierata a favore delle camicie nere, alle quale conferiva legittimazione, divenne un serio problema per Vittorio Emanuele III, il quale, nella decisione di non proclamare lo stato d'assedio, tenne probabilmente in considerazione anche la possibilità di una presa del potere con la forza da parte dei fascisti facendo leva proprio sul duca d'Aosta, il quale avrebbe potuto finalmente scalzare dal trono il cugino.Non si può sapere quanto di vero vi fosse in questa ipotesi, ma di sicuro Filiberto non fu una presenza rasserenante per il re, durante l'ascesa di Mussolini come in tutti gli episodi precedenti. Con la sua prestanza fisica e l'oratoria appresa da d'Annunzio, il duca incarnava perfettamente quell'ideale elaborato dal fascismo e rimase costantemente un'ombra minacciosa per il sovrano, sino a quando la morte, improvvisa, lo colse a Torino nel 1931, ad appena sessantadue anni. Come da sua volontà, fu sepolto tra le salme di migliaia di caduti al fronte, insieme agli eroi della Terza Armata nel sacrario di Redipuglia, in provincia di Gorizia.
Bibliografia

  • Aosta. Gli altri Savoia - Silvio Bertoldi - Rizzoli
  • Duchi d'Aosta. I Savoia che non diventarono re d'Italia - Gianni Oliva - Mondadori
  • D'Annunzio e i Savoia - Vito Salierno - Salerno Editrice
Note

Nell'immagine di copertina si vede il Duca Invitto con Gabriele d'Annunzio.

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