La Cappella Paolina

In Vaticano, nel cuore dei Palazzi apostolici, accanto alla Cappella Sistina, dalla quale la separa solo la Sala Regia, vi è la Cappella Paolina, un luogo preziosissimo progettato da Antonio da Sangallo il Giovane che custodisce alcuni capolavori della storia universale delle arti.
Al centro delle pareti laterali svettano infatti due affreschi di Michelangelo Buonarroti, i suoi ultimi lavori pittorici realizzati alla soglia dei settant'anni.
Si tratta, per così dire, di un Michelangelo inedito e sicuramente poco conosciuto in quanto la cappella è esclusa dal normale percorso dei Musei Vaticani. Mentre la Sistina è nota come cappella "magna", adibita alle grandi liturgie, la Paolina è invece quella "parva", ossia piccola e privata, il cui accesso è permesso solo al pontefice che vi si reca non appena eletto dai cardinali riuniti a conclave nella Sistina.
Il nuovo papa, dunque, prima di affacciarsi alla loggia della basilica di San Pietro, si raccoglie qui in preghiera rivolgendo al Signore tutte le sue più intime preoccupazioni ed accettando simbolicamente quella croce che Michelangelo raffigura in maniera monumentale nella Crocifissione di San Pietro.

Prima di "entrare" nella Paolina è importante fermarsi nella Sala Regia, il salone d'onore che separa le due cappelle, destinata al papa per quando riceveva i sovrani giunti in visita ufficiale ad omaggiarlo.
Anch'essa edificata da Antonio da Sangallo, contemporaneamente impegnato nella fabbrica di San Pietro, presenta diversi affreschi in gran parte opera di Giorgio Vasari, conosciuto soprattutto per essere stato il primo storico dell'arte con le Vite. I suoi dipinti mostrano le glorie politiche e militari della Chiesa. La volta venne invece decorata da Perin del Vaga, mentre gli stucchi delle pareti con bellissimi nudi, omaggio all'anatomia michelangiolesca della Sistina, sono di Daniele da Volterra.

Sulla parete di fondo della foto si scorge la porta che conduce alla Paolina; sul fregio spicca il nome del committente, il papa da cui ha preso il nome, vale a dire Paolo III Farnese, figura di grande pontefice del Rinascimento e per la vita artistica di Michelangelo. Se con Giulio II aveva infatti realizzato il capolavoro della volta, grazie a papa Paolo poté lavorare al Giudizio e poco dopo affrescare la sua cappella privata.

Paolo III ritratto da Tiziano nel 1545.

Una volta aperta la porta della cappella, ci si trova dinanzi ad uno spazio certamente meno ampio rispetto alla Sistina, essendo un luogo privato, ma allo stesso modo sontuoso e carico di bellezza. Sulla parete di destra sono raffigurate le scene della vita di San Pietro, mentre a sinistra quelle di San Paolo, i santi che sono le colonne portanti della dottrina cattolica. Subito si nota il blu lapislazzulo, già utilizzato come sfondo nel Giudizio finale, ma è un altro il dettaglio che rapisce l'attenzione, un vero e proprio colpo di scena della pittura michelangiolesca che ha un incredibile significato simbolico.

Non appena il papa entra nella cappella, magari a seguito della sua elezione, viene richiamato e ammonito dal severo sguardo di Pietro, rivolto verso l'ingresso, come a domandare al suo successore se sia in grado di portare quella croce a cui egli si offre quasi volontariamente, con la serenità dei martiri; un recente restauro ha infatti rivelato che i chiodi delle mani e dei piedi dell'apostolo sono stati posti in un secondo momento e sicuramente non da Michelangelo.

Lo stesso autore sembra porsi al cospetto di questo sguardo, interrogandosi sulla propria vita, come scrive in un sonetto della vecchiaia:

Giunto è già ’l corso della vita mia,
con tempestoso mar, per fragil barca,
al comun porto, ov’a render si varca
conto e ragion d’ogni opra trista e pia.

  Onde l’affettüosa fantasia
che l’arte mi fece idol e monarca

conosco or ben com’era d’error carca
e quel c’a mal suo grado ogn’uom desia.
  Gli amorosi pensier, già vani e lieti,
che fien or, s’a duo morte m’avvicino?
D’una so ’l certo, e l’altra mi minaccia.
  Né pinger né scolpir fie più che quieti
l’anima, volta a quell’amor divino
c’aperse, a prender noi, ’n croce le braccia.

L'esistenza dell'artista, vissuta come una fragile barca in mezzo al mare tempestoso, è ormai giunta al termine in quel porto dove bisogna rendere conto di ogni opera giusta o sbagliata che sia. La sua stessa arte viene messa in discussione e concepita come qualcosa di errato. Con questa presa di coscienza né il dipingere né lo scolpire potranno consolare la sua anima, ora più che mai rivolta a quell'amore divino che sulla croce accoglie in un abbraccio ognuno di noi.

Un dettaglio, quello dello sguardo di San Pietro, che colpì cinquant'anni più tardi anche il giovane Caravaggio, che prese sempre Michelangelo come primo riferimento nella sua pittura. Evidente è l'omaggio nella sua versione della Crocifissione di San Pietro, conservata sempre a Roma nella cappella Cerasi della chiesa di Santa Maria del Popolo.

Sulla parete di sinistra della Paolina vi è invece la Conversione di Saulo sulla via di Damasco, dipinto da Michelangelo qualche anno prima della Crocifissione di Pietro.
La luce divina squarcia il cielo e acceca Saulo, caduto da cavallo, mentre qualcuno cerca di aiutarlo ed altri, spaventati, non riescono a capire da dove provenga quel fragore assordante. Cristo sembra affrettarsi nel suo intervento a convertire Paolo, quasi cercando di afferrarlo, mentre con la mano sinistra indica la città di Damasco dove dovrà recarsi, spettrale nel perdersi dell'orizzonte. Così è scritto negli Atti degli Apostoli:
E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.

Nel volto di Paolo alcuni studiosi sostengono che sia raffigurato lo stesso Michelangelo al culmine della propria crisi spirituale di uomo profondamente religioso. Secondo le scritture Saulo era infatti un giovane uomo, mentre nel dipinto il protagonista è un uomo anziano, segnato dall'età e dalle fatiche.

Molteplici sono le differenze tra i due affreschi, anzitutto l'assenza del divino nella Crocifissione di Pietro, nella quale vi è però una grande partecipazione emotiva dei personaggi in primo piano e sulla parte destra della composizione.
Inoltre, se nella Conversione di Paolo la scena era carica di concitazione, qui è invece caratterizzata dal silenzio, come si intravede nel gesto di un giovane posto al centro che chiede di non parlare. Pietro appare drammaticamente solo nel momento del suo martirio, in un paesaggio desolato e appena accennato, come tipico della pittura del Buonarroti che ha sempre posto l'attenzione all'anatomia. Si notano anche qui, come nel Giudizio, alcuni corpi maschili nel pieno della virilità, come il giovane di spalle a sinistra e quello che sostiene la croce, entrambi con abiti azzurri. In primo piano in basso un uomo sta invece scavando la fossa nella quale verrà conficcata la croce.

Giunto a metà del lavoro a questi affreschi, nell'anno 1546, Michelangelo ricevette la notizia della morte di Antonio da Sangallo, architetto della cappella, nonché di San Pietro. Il sovrintendente della fabbrica propose allora al papa di far tornare a Roma da Mantova Giulio Romano, il migliore discepolo di Raffaello Sanzio, ma Paolo III non ebbe dubbi nell'affidare la carica al Buonarroti, che nei suoi ultimi anni darà vita alla basilica che oggi conosciamo e al meraviglioso progetto della cupola, uno dei più rivoluzionari mai concepiti.

L'anno seguente si spense anche l'amata Vittoria Colonna, una nobildonna intima confidente di Michelangelo, con la quale, data la sua notevole raffinatezza intellettuale, poteva parlare dei propri dissidi religiosi e della sua ricerca di Dio per mezzo dell'arte. A lei dedicò alcuni tra i versi d'amore più belli della nostra letteratura.

Un uomo in una donna, anzi uno dio
per la sua bocca parla,
ond’io per ascoltarla
son fatto tal, che ma’ più sarò mio.
I’ credo ben, po’ ch’io
a me da lei fu’ tolto,
fuor di me stesso aver di me pietate;
sì sopra ’l van desio
mi sprona il suo bel volto,
ch’i’ veggio morte in ogni altra beltate.
O donna che passate
per acqua e foco l’alme a’ lieti giorni,
deh, fate c’a me stesso più non torni.

Fu una dolorosa perdita per Michelangelo, che nel 1549 non se la sentì di proseguire la decorazione della Paolina a seguito della scomparsa del suo mecenate, papa Paolo III, oltre che per le difficili condizioni di salute, già compromessa negli anni della volta e del Giudizio. Scrisse Giorgio Vasari: "Queste furono l’ultime pitture condotte da lui d’età d’anni settantacinque, e secondo che egli mi diceva con molta sua gran fatica: avenga che la pittura passato una certa età, e massimamente il lavorare in fresco, non è arte da vecchi".

I lavori vennero ripresi qualche anno dopo sotto il pontificato di Gregorio XIII Boncompagni, nella seconda metà del XVI secolo. Egli chiamò due artisti, Federico Zuccari e Lorenzo Sabatini, a cui spettò l'arduo compito di confrontarsi con l'arte michelangiolesca, di più, di proseguire le scene della cappella proprio a fianco di quei capolavori.
Al bolognese Lorenzo Sabatini sono attribuiti i due dipinti situati ai lati della Conversione di Saulo, mentre il resto della cappella, compresa la volta, a causa della prematura scomparsa di Sabatini, è frutto del lavoro di Federico Zuccari, uno dei grandi esponenti del manierismo, che tra il 1575 e il 1579 aveva lavorato agli affreschi della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, prendendo il posto del Vasari.

La lodevole opera dei due pittori fu quella di uniformarsi allo stile e ai colori michelangioleschi nel proseguire le scene, conferendo alla cappella una sensazione di omogeneità di toni e contenuti. Fu una scelta preziosa e coraggiosa quella di imitare il genio del Buonarroti, mettendo in secondo piano le loro innovazioni pittoriche al fine di realizzare un vero e proprio omaggio al predecessore, esaltando i suoi capolavori.

La volta della cappella.

Un altro straordinario omaggio è quello di Federico Zuccari al Raffaello delle Stanze con la Liberazione di San Pietro, situato sopra l'ingresso, fedele ricostruzione del notturno più bello della nostra storia dell'arte.


A Paola,
Natale 2019