Raffaello ritrattista

Quando fra l’altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,
quanto ciascuna è men bella di lei
tanto cresce ’l desio che m’innamora.

Francesco Petrarca, Canzoniere, XIII, vv. 1-4


Se si definisce il ritratto come una "figura cavata dal naturale", capace di imitare perfettamente la natura e di rivaleggiare con essa, indagando l'anima del soggetto raffigurato nella sua profondità - conferendole immortalità presso i posteri - è indubbio che Raffaello Sanzio da Urbino vi eccelse in modo straordinario. Celeberrimi sono i suoi ritratti di donne dalle meravigliose fattezze, discendenti dalla Gioconda leonardesca, basti pensare all'amata Fornarina della Galleria nazionale d'arte moderna di Palazzo Barberini a Roma o a La Velata di Palazzo Pitti a Firenze, ma anche la serie di Madonne fiorentine di ineguagliabile raffinatezza, eredi della grande tradizione poetica stilnovista e del Petrarca, a testimonianza di un rapporto intrinseco tra versi amorosi e ritrattistica.
Raffaello, come riporta il critico aretino Giorgio Vasari nelle pagine delle Vite, fu sensibile al fascino femminile e un amante pieno di passione e desiderio: «Era Raffaello persona molto amorosa et affezzionata alle donne, e di continuo presto a i servigi loro».
La qualità più nobile, nella sua breve ma straordinaria e inimitabile esistenza, fu quella di saper cogliere la bellezza, costruendo immagini intimamente delicate e vivissime, rapendo l'espressione di un volto per l'eternità. In tal senso la ritrattistica è un'arte divina poiché avvicina l'uomo mortale al gesto creatore di Dio. Sono stati d'altronde molteplici i critici e i poeti ad accostare l'aggettivo "divino" al nome del pittore Urbinate, si pensi alle parole di Pietro Bembo incise sul sepolcro raffaellesco presso il Pantheon di Roma: «Qui riposa Raffaello, da cui, finché visse, la Natura temette di essere vinta, e ora che egli è morto, teme di morire con lui».
Recatosi nella città eterna da Firenze a soli venticinque anni per volere di papa Giulio II Della Rovere - avendo il privilegio di lavorare nel cuore della cristianità - il Sanzio ebbe modo di incontrare uomini raffinati e nobili committenti, a cominciare dai pontefici, per i quali uno dei desideri più ambiti era quello di farsi ritrarre dal genio di Urbino, così da consegnare alle generazioni future il ricordo delle loro fattezze e soprattutto l'esempio delle loro virtù morali. Prerogativa del genere del ritratto è infatti quella di tramandare l'esempio di uno spirito virtuoso che si distinse per magnanimità, per imprese valorose o per l'incorruttibilità della propria fede.
Quale esempio migliore del Ritratto di Bindo Altoviti, databile intorno al 1515, per comprendere l'idea di come la bellezza di un ritratto, attraverso le fattezze del personaggio raffigurato, possa restituire un ricordo positivo dell'animo e del carattere del protagonista, tanto che - in conformità con le regole della fisiognomica, secondo cui esiste una precisa correlazione tra psicologia e aspetto fisico - l'opera è stata ritenuta un autoritratto dell'artista.
Scrive il Vasari a introduzione della biografia raffaellesca: «Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo collocando, anzi per meglio dire, riponendo et accumulando in una persona sola le infinite ricchezze delle ampie grazie o tesori suoi, e tutti que' rari dono che fra lungo spazio di tempo suol compartire a molti individui, chiaramente poté vedersi nel non meno eccellente che grazioso Rafael Sanzio da Urbino».
Se i nobili caratteri morali del pittore si riflettono nei suoi celebri autoritratti - basti pensare a quello giovanile della Galleria degli Uffizi - si capisce allora il perché i critici si siano potuti sbagliare nella corretta attribuzione del ritratto dell'Altoviti, probabilmente tratti in inganno anche dalle parole del Vasari a riguardo: «Et a Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane, che è tenuto stupendissimo».

Erede della famiglia fiorentina degli Altoviti, trasferitosi a Roma per la sua professione di banchiere, il giovane uomo raffigurato era anche un raffinato mecenate rinascimentale, legato a Raffaello da amicizia per il comune ricordo fiorentino e l'ormai stabile affermazione nell'Urbe.
Di bell'aspetto ed elegantissimo nei modi, il committente si mostra in una posa laterale voltandosi d'improvviso verso lo spettatore, come colto di sorpresa nel gesto di avvicinare la mano inanellata al petto, che ne rivela una languida dolcezza. Grazie agli occhi di un azzurro intenso che risaltano sulla morbidezza delle gote ed i capelli biondissimi, quasi d'oro, l'Altoviti scruta l'osservatore con l'intensità del suo sguardo, in un attimo che è sospeso eternamente e che rende questo ritratto uno dei più riusciti della storia dell'arte.
Di pari profondità psicologica è certamente il Ritratto di Baldassarre Castiglione, realizzato intorno all'anno precedente ed oggi custodito al Museo del Louvre di Parigi. Connotato da una posa meno teatrale e dal tradizionale profilo di tre quarti, anche questo ritratto è impostato sul gioco di sguardi tra il soggetto e chi lo guarda, denotando il legame di sincera amicizia tra il pittore e l'umanista autore de Il Cortegiano, un'opera che a sua volta è un vero e proprio ritratto della corte di Urbino, uno dei centri più prestigiosi a livello politico e culturale durante la grande stagione rinascimentale, meta ambita da moltissimi artisti e intellettuali.
Il ritratto di Baldassarre Castiglione è anche un capolavoro di fondamentale importanza per la storia della moda, mostrando l'affermarsi del colore nero come scelta più idonea per le occasioni importanti, come cerimonie e ricevimenti. Il letterato, di cui risaltano gli occhi di un azzurro acceso, indossa un vistoso cappello e dal suo abito spicca sul petto la candida camicia bianca dalla preziosa manifattura.
Conosciutesi ad Urbino nel 1504, mentre Raffaello lavorava alla sua prima grande committenza, lo Sposalizio della Vergine, Il sodalizio umano e intellettuale che legò il Sanzio e Castiglione poté esprimersi pienamente a Roma sotto il pontificato di Leone X Medici, quando Raffaello - impegnato nella decorazione delle Stanze e divenuto architetto della basilica di San Pietro - fu nominato soprintendente delle antichità, incaricato dal nuovo papa di redigere la carta archeologica di Roma e di tutelare le bellezze del passato. Per ricoprire un ruolo così moderno e di tale rilievo, l'urbinate ebbe bisogno del sostegno di Castiglione, con il quale scrisse nel 1519 la lettera a Leone X sulla tutela dei monumenti antichi della città eterna.

Raffaello giunse a Roma l'anno 1508 grazie all'intuizione di papa Giulio II, il quale scommise su un autore ancora giovanissimo per la decorazione dei propri appartamenti privati, affidando invece a Michelangelo Buonarroti l'impresa della volta della Cappella Sistina. Sebbene le Stanze di Raffaello siano ancora oggi uno dei traguardi iconografici e la sintesi più compiuta di tutto lo scibile umanistico, bisogna notare che il successo definitivo per Raffaello giunse in concomitanza con l'elezione al soglio petrino di Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico nonché fondamentale mecenate e profondo conoscitore del bello, il quale decise di servirsi del talento di Raffaello nei campi più disparati, dalla tutela dei beni culturali all'architettura, dalla pittura sino all'arte degli arazzi con cui decise di arricchire le pareti laterali della Sistina.
In onore del pontefice, il Sanzio realizzò il celebre Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi, uno dei suoi ritratti più compiuti, attentissimo alla cura dei dettagli e alla celebrazione del potente e stimato committente, in una posa tanto innovativa quanto intrisa di significati. Stupisce la sinfonia di rossi dei panneggi, che appaiono così realistici al punto da vincere i limiti imposti dalla cornice e restituire sensazioni tessili ancora vibranti, nonostante le precarie condizioni conservative.
Il moltiplicarsi dei toni di colore e la costruzione dell'immagine per superfici cromatiche arricchiscono il dipinto di qualità tipiche della pittura veneta, di cui è stato dimostrato l'interesse da parte di Raffaello, in anni in cui giunsero in Vaticano Lorenzo Lotto e Sebastiano del Piombo, il quale, affiancando Michelangelo, cercherà di competere con la divina pittura del Sanzio.
Il ritratto di Leone X è anche testimonianza del potere e sintesi del nepotismo rinascimentale, basti dire che l'uomo raffigurato a sinistra nel dipinto è il nipote di Leone, anch'egli futuro pontefice con il nome di Clemente VII. In tal senso l'opera è un'anticipazione del triplice ritratto di Paolo III con i nipoti eseguito da Tiziano intorno al 1545.
A destra vediamo invece un altro cardinale, il cui sguardo, che cerca i nostri occhi, suggerisce la posizione dell'osservatore in relazione alla tela, dato che nessuno dei tre protagonisti è posto in posizione frontale.

Colpiscono in primo piano, a testimonianza di sfarzo e regalità, gli oggetti che circondano il papa, seduto su una sedia imbottita di velluto rosso, tra cui un campanello da camera in oro e argento, un prezioso codice miniato e una lente d'ingrandimento che il successore di Pietro tiene tra le mani delicate, il cui candore non ha bisogno di essere impreziosito da alcun anello. Tali dettagli, resi in modo sublime, colpirono particolarmente il Vasari, che riserva ampio spazio alla descrizione del ritratto: «Fece in Roma un quadro di buona grandezza, nel quale ritrasse Papa Leone, il Cardinale Giulio de' Medici et il Cardinale de' Rossi, nel quale si veggono non finte, ma di rilievo tonde le figure; quivi è il velluto che ha il pelo, il domasco addosso a quel papa, che suona e lustra; e le pelli della fodera son morbide e vive, gli ori e le sete contraffatti sì, che non colori ma oro e seta paiono.
Vi è un libro di carta pecora miniato che più vivo si mostra che la vivacità, un campanello d'argento lavorato che maraviglia è a voler dire quelle parti che vi sono.
Ma fra l'altre una palla della seggiola brunita e d'oro nella quale, a guisa di specchio, si ribattono (tanta è la sua chiarezza) i lumi delle finestre, le spalle del papa et il rigirare delle stanze; e sono tutte queste cose condotte con tanta diligenzia, che credasi pure e sicuramente che maestro nessuno di questo meglio non faccia, né abbia a fare».
L'ultimo ritratto raffaellesco, cronologicamente, che è anche un autoritratto di fondamentale importanza, è un'enigmatica tela visibile al Louvre, dipinta l'anno prima della morte e intitolata Autoritratto con un amico, di cui è incerta l'identità del personaggio raffigurato in primo piano, al quale un Raffaello ormai stanco e segnato dalla malattia, pone affettuosamente la mano sulla spalla sinistra.
L'invenzione del doppio ritratto - che riprende per impostazione geometrica le linee diagonali del quadro precedente, nella coppia di Leone X e del cardinale dietro di lui - sviluppa un linguaggio di sguardi più complesso ed espressivo, denotando un forte legame tra il pittore e quello che probabilmente è un allievo di bottega. L'ipotesi più concreta potrebbe essere infatti che l'amico ritratto altri non sia che Giulio Romano, il miglior seguace di Raffaello, al quale il maestro affidò in eredità la sua prolifica bottega, consapevole di non avere ormai molto tempo a disposizione.
Raffaello si spense a soli trentasette anni, lasciando un vuoto presso la corte pontificia, nei numerosi committenti che tanto lo amavano per la sua gentilezza e disponibilità, infine negli amati allievi, nei confronti dei quali si mostrò sempre generoso, ennesima dimostrazione di un'innata nobiltà d'animo. Lo sguardo del giovane uomo nel dipinto è ancora rivolto all'illustre maestro, ma la strada da perseguire dinanzi a lui è già tracciata e conosciuta, come testimonia il gesto della mano.
L'arte di Raffaello ha guadagnato l'immortalità e continua a vivere in coloro che, come dichiara il Vasari, ne apprezzano la perfezione e ne fanno tesoro per imitarne gli altissimi valori:
«Ora a noi che dopo di lui siamo, resta imitare il buono, anzi ottimo modo, da lui lasciatoci in esempio e come merita la virtù sua e l'obligo nostro, tenerne nell'animo graziosissimo ricordo e farne con la lingua sempre onoratissima memoria. [...]
Beato ancora si può dire chi stando a' suoi servigi sotto lui operò, perché ritrovo ognuno che lo imitò essersi a onesto porto ridotto e così quegli che imiteranno le sue fatiche nell'arte saranno onorati dal mondo, e ne' costumi santi lui somigliando remunerati dal cielo».

Bibliografia

  • Raffaello. 1520-1483 - Marzia Faietti e Matteo Lanfranconi con Francesco P. Di Teodoro, Vincenzo Farinella (a cura di) - Skira
  • Raffaello. Il giovane favoloso - Costantino D'Orazio - Skira
  • Raffaello. Un Dio mortale - Vittorio Sgarbi - La nave di Teseo
  • Raffaello - Claudio Strinati - Giunti
  • Ritratto di Leone X di Raffaello Sanzio - Francesco P. Di Teodoro - TEA
  • Il ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento all'Età dei Lumi - Édouard Pommier - Einaudi
  • Le Vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri - Giorgio Vasari - Einaudi
  • Canzoniere - Francesco Petrarca (a cura di Marco Santagata) - Mondadori