La stanza del vescovo

Pellicola di Dino Risi del 1977 tratta dall'omonimo romanzo di Piero Chiara, La stanza del vescovo è un'opera psicologica e misteriosa quanto leggera e avvincente, narrata con la consueta eleganza che connota lo stile letterario di Chiara, il quale, ancora una volta, sceglie di ambientare la vicenda sul Lago Maggiore, nei luoghi a lui tanto cari che dimostra di conoscere perfettamente in ogni loro segreto.
Dedito a navigare sul lago con la propria imbarcazione chiamata Tinca, in un vivere sereno che connota il clima di fine estate negli anni del secondo dopoguerra, un trentenne di nome Marco Maffei, di ritorno dalla Svizzera, si imbatte improvvisamente in un bizzarro quanto enigmatico individuo - interpretato magistralmente da Ugo Tognazzi - che lo attende a riva.
Nei panni del Maffei è l'attore francese Patrick Dewaere, la cui biografia sarà segnata dalla morte per suicidio a seguito di una delusione lavorativa, una tragedia che ha in qualche modo delle affinità con la pellicola. Tognazzi è invece l'avvocato Temistocle Mario Orimbelli, un reduce di guerra dall'oscuro passato, arruolato nel Regio Esercito, spedito prima in Africa e poi a Napoli, ma probabilmente legato al partito fascista e dunque costretto ad un periodo di lontananza dal paese.
Dall'incontro fra i due personaggi principali avranno seguito una serie di eventi accomunati dallo scenario lacustre e che ruotano attorno alla maestosa villa in cui viene introdotto il Maffei dall'avvocato, che si scopre essere sposato per interesse con la signora Cleofe Berlusconi, più anziana e ricca di lui. Presso la villa il Maffei ha modo di conoscere anche Matilde, interpretata da una bellissima Ornella Muti, la cognata dell'Orimbelli rimasta precocemente vedova del marito a causa della guerra in Etiopia, per la quale scopre sin da subito un'intensa passione.
Riuniti attorno al tavolo per cena, i protagonisti vengano intrattenuti dai racconti avventurosi e nostalgici dell'Orimbelli, che ricorda la guerra nonostante lo sdegno della moglie Cleofe, che non sembra più credere ad una sola parola del coniuge.
Terminata la cena, l'Orimbelli insiste nel trattenere l'ospite a dormire, offrendogli di riposare nella stanza più confortevole della villa - da cui prende il titolo il film - appartenuta ad un prozio di Cleofe, vescovo e Nunzio Apostolico trovato morto annegato nella darsena della villa, del quale sono ancora conservate le reliquie e i paramenti nella stanza. Accomodatosi nel letto, il Maffei è turbato dalla vista degli abiti del religioso ed è poi sorpreso dalla vista di Matilde, dalla finestra, intenta a cambiarsi per coricarsi.
Al mattino il Maffei, pronto a ripartire con la propria barca, è atteso con ansia dall'Orimbelli, deciso a salpare insieme a lui. Pur cercando di persuaderlo, avendo un appuntamento amoroso per la sera, il giovane non riesce a liberarsi dell'avvocato, che, approfittando della presenza di una donna anche per lui, si rivela un uomo di compagnia con cui potersi divertire. Libero dalla presenza soffocante della moglie appare infatti spensierato e sincero, tuttavia man mano si vengono a conoscenza di alcune maldicenze sul suo conto da persone che lo conoscono da tempo. In alcuni momenti, sotto accusa, l'Orimbelli sembra allora mutare il suo allegro temperamento in un ripiegarsi malinconico nei propri intimi pensieri e nei rimpianti che lo portano a versare anche qualche lacrima. Il Maffei, a volte, prova quasi pietà per l'amico.
In realtà, in ambito amoroso, l'Orimbelli non ha alcuno scrupolo nel corteggiare le conoscenti del Maffei e, capendo l'interesse del giovane per Matilde, una sera gli dichiara di avere con lei una relazione segreta, così da anticiparlo negli intenti, dicendo che sono costretti a fingere per non essere scoperti dalla moglie, che sospetta qualcosa. In realtà si tratta di una menzogna, ma nella successiva uscita in barca, in compagnia di Matilde, quest'ultima sarà delusa dal comportamento del Maffei, che le starà lontano lasciandola sola con il cognato persino a dormire. Il tranello dell'avvocato è dunque servito.
Nel corso della gita, durante un pranzo, il gruppo viene a conoscenza della morte della signora Cleofe, trovata annegata nel lago, così cominciano le indagini e gli interrogatori per l'avvocato e Matilde. Intanto il Maffei nutre in sé il dubbio di aver visto, la sera precedente, l'Orimbelli uscire in bicicletta sul lungolago, ma, confidandosi con Matilde, gli viene chiesto di non dire nulla, con la donna che sembra divenire la complice perfetta, vestendo i panni della femme fatale. Essendo effettivamente lontani dalla villa nella notte del tragico accaduto, per l'avvocato l'alibi regge, nonostante dinanzi al magistrato non esiti a sottolineare il proprio odio nei riguardi della moglie. Il Maffei, che intanto riesce comunque ad avvicinarsi a Matilde, comincia inoltre a sospettare che proprio il suo sentimento per la cognata avesse spinto l'avvocato ad escogitare il delitto; la morte della moglie avrebbe infatti aperto in tal modo alla possibilità di sposare Matilde.
Il matrimonio tra l'Orimbelli e Matilde viene celebrato alla presenza di due soli invitati, nonché testimoni, il Maffei e un compagno d'armi dell'avvocato, mentre le indagini vengono archiviate come caso di suicidio. A riaprire ogni ipotesi sarà l'arrivo inaspettato dell'ingegnere marito di Matilde, di ritorno dall'Etiopia, creduto morto da tutti se non dall'avvocato, il quale sapeva che era stato catturato ed evirato dai guerrieri etiopi, decidendo di non fare più ritorno per la vergogna. Appresa la notizia della scomparsa della sorella, con la quale era legato da un rapporto epistolare, l'ingegnere si era deciso a tornare, ormai convinto anche degli intrighi del cognato, il quale non aveva detto nulla per impossessarsi del patrimonio di Cleofe, di cui adesso si rivelava essere con ogni probabilità l'assassino.
Maffei, sostenuto dal ritorno del fratello della scomparsa, si decide a rivelare di aver visto l'Orimbelli in bicicletta la notte dell'omicidio, testimonianza a cui si aggiunge, in via definitiva, la dichiarazione di un meccanico che rivela agli agenti di aver venduto all'avvocato una bicicletta.
Arrestato dal magistrato, l'Orimbelli chiede di potersi preparare, ma Matilde avverte che in camera possiede un baule contenente qualcosa di pericoloso. Nella stanza del vescovo si assiste così, nel finale, all'apertura del misterioso baule siglato con le iniziali dell'avvocato, accanto a cui il Maffei ha dormito diverse notti. All'interno vengono scoperte numerose armi da fuoco e cimeli di guerra, ma anche lettere o pegni d'amore, ricordi - commenta laconicamente l'Orimbelli - di una vita avventurosa vissuta totalmente, ma dalla quale ora non si sente più amato.
L'apertura simbolica del baule della memoria denota la componente quasi feticista con cui il protagonista conserva i propri trofei, ma sembra essere un'allusione anche allo svelarsi di un oscuro passato di chi non ha mai superato la guerra e, forse, ricorda con nostalgia quei tempi, riferimento che coincide anche con la costante posizione di condanna del fascismo che troviamo nei romanzi di Chiara.
Una volta scoperto, rimasto solo per qualche istante, l'Orimbelli si chiude nella camera e decide di togliersi la vita, impiccandosi proprio al cospetto dell'armadio contenente l'abito talare del vescovo.
Pur potendo iniziare una storia d'amore con Matilde, il Maffei decide alla fine di lasciare la villa, di cui la donna è divenuta proprietaria, riprendendo la via del lago con la propria imbarcazione, in cerca di avventure o, più probabilmente, di una stabilità economica e di affetti, alla ricerca della serenità di una vita adulta che, complice il doloroso periodo della guerra, non aveva mai potuto conoscere. Alle spalle, il Maffei si lasciava per sempre lo sguardo malinconico di Matilde su cui si sofferma l'inquadratura nel momento del congedo, ma anche un episodio tanto misterioso quanto indimenticabile, a cui ogni tanto tornerà con il ricordo salpando nei pressi della villa.

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