Morire per un bacio

Nell'universale storia della letteratura le vicende di Romeo e Giulietta narrate da William Shakespeare e quelle di Paolo e Francesca che troviamo nel Canto V dellla Divina Commedia di Dante Alighieri sono in assoluto le massime rappresentazioni del sentimento dell'amore.
Unite nella trama dai contrasti familiari e dal tema di amore e morte che conduce al tragico epilogo, le due narrazioni presentando numerose differenze, su tutte quella dell'invenzione shakespeariana a cui si contrappone il racconto dantesco, che narra un evento di cronaca reale.
Quello che interessa ai due autori è descrivere quell'istante eterno nel quale i due innamorati comprendono i loro sentimenti l'uno per l'altro, quel momento che Dante chiama dei "dolci sospiri", quando l'amore trafigge il cuore cambiando per sempre l'intera esistenza fisica e interiore di una persona.
In Shakespeare comincia tutto con un bacio, in Dante il bacio è il punto di arrivo e di inizio dell'eterna dannazione. Shakespeare narra di una ragazza che è poco più di una bambina, Giulietta Capuleti, la quale, promessa sposa al conte Paride, ancora non osa nemmeno sognare l'amore. Romeo Montecchi ha in mente un'altra ragazza, Rosalina, che non ricambia il suo sentimento. Fino al loro primo incontro, ad un ballo organizzato dal padre di Giulietta, i due sono del tutto ignari del loro destino e più che mai distanti. L'incontro sopraggiunge imprevedibile e inaspettato, quando Romeo decide di recarsi al ballo pur non essendo invitato per via della rivalità tra le famiglie.
Romeo, con aria triste e malinconica, si aggira nella casa dei nemici della sua famiglia in cerca di Rosalina, anche lei alla festa. All'improvviso, lo sguardo del giovane ragazzo incrocia quello di un'altra ragazza, come se l'universo intero fosse in attesa di quell'attimo, sino a quando, tra la musica e il frastuono della sala, Romeo si avvicina e prende la mano a Giulietta.

Romeo

Chi è quella fanciulla che rende preziosa la mano del giovane con cui balla?

Servo

Non lo so, signore.

Romeo

Oh, potrebbe insegnare alle torce a splendere più luminose! […]

Spicca tra le altre donne come una colomba immacolata in una schiera di cornacchie.

Finito questo ballo, vedrò dove si ferma e toccherò la sua mano benedetta con questa mia ruvida mano.

Ho mai amato fino ad ora? Gli occhi dicono di no: non ho mai visto niente di più bello fino a questa notte. […]

Se io profano con la mia mano indegna il sacro scrigno della tua mano, è un peccato d’amore.

E le mie labbra, due pellegrini rossi di vergogna, sono pronte ad addolcire quel tocco rude con un tenero bacio. 

Giulietta

Buon pellegrino, fai troppo torto alla tua mano che invece si dimostra umilmente devota.

Le mani dei pellegrini non toccano forse le mani dei santi, e palmo su palmo non è il bacio dei devoti? 

Romeo

Non hanno labbra i santi, e i pellegrini? 

Giulietta

Sì, ma vanno usate in preghiera. 

Romeo

Oh ma allora, cara santa, labbra e mani si uniscano in preghiera!

E tu esaudisci, perché la fede non cada nella disperazione. 

Giulietta

I santi sono immobili, nell’esaudire le preghiere. 

Romeo

Non muoverti allora, mentre io colgo l’effetto delle mie preghiere. (La bacia)

Il dipinto

Il bacio, capolavoro di Francesco Hayez datato 1859 e custodito alla Pinacoteca di Brera, è stato assunto a simbolo del Romanticismo e del momento più alto della passione amorosa, tuttavia, se osservata attentamente, l'opera fa presagire un senso di precarietà e di angoscia. Quanto accadrà dopo il tenero incontro tra i due amanti resta solo un'ipotesi che però possiamo immaginare se guardiamo l'ombra minacciosa sulla sinistra. I due giovani potrebbero essere allora Paolo e Francesca, con il marito di lei raffigurato nell'ombra, oppure Romeo e Giulietta, in questo caso l'oscura presenza sarebbe dunque l'allegoria del drammatico destino che li attende.



Due giovani si incontrano ad una festa e si innamorano al primo sguardo durante il ballo, mentre musica e danza conciliano l'atmosfera. Sembrano le classiche regole per un perfetto innamoramento, eppure ai tempi di Shakespeare questa scena era a dir poco sconvolgente, dato che nessuno aveva mai rappresentato nulla del genere a teatro. Come se non fosse abbastanza chiaro, poco dopo Romeo bacia nuovamente l'amata.

Romeo

Così dalle mie labbra le tue tolgono il peccato. 

Giulietta

Ma allora sulle mie labbra è rimasto il peccato che hanno tolto. 

Romeo

Peccato dalle mie labbra? Che dolce rimprovero!

Ridammi il mio peccato. (La bacia) 

Giulietta

Baci come dice il libro.

Quale sia il libro non ci è dato saperlo; si potrebbe ipotizzare Il Cortegiano di Baldassar Castiglione, che al tempo era il manuale d'amore e cortesia più diffuso, ma quello che è importante è l'oggetto stesso, il libro, fondamentale anche nella storia dantesca. Il Poeta nel Canto V, dopo che la sua attenzione è stata rapita da due anime ancora unite nonostante la dannazione e dopo aver ascoltato le parole di Francesca, vuole comprendere quale fu il momento esatto nel quale ella capì di essere veramente innamorata di Paolo e che le loro anime sarebbero divenute una sola.

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?".

E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.

Paolo e Francesca - Dante Gabriel Rossetti - 1867

Francesca prova dolore nel ricordare i dolci momenti vissuti con Paolo ora che si trova all'Inferno, eppure trova le forze per descrivere di quel giorno in cui, per passare il tempo, lei e l'amato stavano leggendo il libro di Lancillotto e Ginevra. Giunti alla pagina in cui viene descritto il bacio tra i due innamorati, anche Paolo trova il coraggio di baciare, tutto tremante, la bocca di Francesca. Fu dunque il libro ad essere "Galeotto", ossia a fare da intermediario amoroso tra Paolo e Francesca, un termine divenuto colloquiale che richiama il personaggio della storia arturiana. Grazie al libro i protagonisti del canto hanno capito le loro emozioni; Dante ci vuole insegnare attraverso questa storia struggente come la letteratura possa aprirci alla sensibilità, al conoscere l'intimità della nostra anima.

Paolo e Francesca - Ary Scheffer - 1835

Il Poeta non poteva che provare pietà, un termine che torna ricorrente nel canto, per questi due innamorati uniti nel loro destino per l'eternità. Non vi è nemmeno un verso nel quale Francesca arrivi anche solo lontanamente a rinnegare il suo amore per Paolo, nonostante la morte, nonostante la dannazione. Dante sembra addirittura invidiare il loro sentimento così forte e sincero, come se anch'egli desiderasse la medesima sorte per lui e Beatrice.
La storia di Paolo e Francesca tocca da vicino Dante, al punto da fargli perdere i sensi nella conclusione del canto, in quanto i due innamorati non sono frutto della sua invenzione poetica, bensì personaggi realmente esistiti. Paolo, un giovane nobile della famiglia Malatesta di Rimini, era nato una ventina d'anni prima del Poeta, mentre Francesca era la figlia di Guido Da Polenta, signore di Ravenna. I Malatesta e i Da Polenta erano rivali e per motivi di riappacificazione optarono per un matrimonio tra i rispettivi figli.

Simile è quanto accade nel racconto shakespeariano, dove a Verona «due famiglie di pari nobiltà da un rancore antico s'arriva a una novella lotta, che fraterne mani sporca di sangue fraterno. E dalla carne fatale di questi due nemici nasce una coppia d'amanti sotto cattiva stella, la cui pietosa vicenda seppellirà, coi loro corpi, anche l'odio dei genitori».
Romeo e Giulietta sono divisi dai risentimenti degli adulti, in una lotta che dura ormai da tanto tempo se è proprio Dante, nel Canto VI del Purgatorio, a citare i Montecchi e i Capuleti come simbolo delle divisioni politiche dell'Italia del suo tempo.
Il legame che lega Giulietta e Romeo è però più forte di qualsiasi proibizione e arriverà ad insegnare, agli adulti, il vero amore. La storia contrappone costantemente le due distanti realtà del mondo dei giovani e quello degli adulti, i quali arrancano con i loro intrighi e la loro mancanza di passione dietro ai ragazzi. Frate Lorenzo, pur stando sempre dalla parte dei due sventurati amanti, cerca di ammonirli predicando la calma che gli deriva dalla saggezza dell'età, ma Romeo e Giulietta non hanno tempo, perché le cose più belle sono incontenibili: «Venga pure qualsiasi dolore, conterà meno della gioia che mi dà un solo minuto della sua presenza», afferma Romeo, che sembra qui come Francesca, alla quale la dannazione non interessa più di tanto perché ancora legata al suo Paolo.
Mossi dal desiderio e da un amore inarrestabile, il legame tra Romeo e Giulietta non potrà certo essere diviso da una lotta di fazione, ancor meno da un nome, ed è proprio quanto afferma Giulietta nella celeberrima scena del balcone.

Giulietta

Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?

Rinnega tuo padre e rifiuta il tuo nome,

oppure, se non vuoi, giura che sei mio

e smetterò io d’essere una Capuleti.

È solo il tuo nome che m’è nemico, e tu sei te stesso

anche senza chiamarti Montecchi. Cos’è Montecchi?

Non è una mano, un piede, un braccio, un volto,

o qualunque parte di un uomo. Prendi un altro nome!

Cos’è un nome? Ciò che chiamiamo rosa,

con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo,

così Romeo, se non si chiamasse più Romeo,

conserverebbe quella cara perfezione che possiede

anche senza quel nome. Romeo, getta via il tuo nome,

e al suo posto, che non è parte di te, prendi tutta me stessa.

Romeo e Giulietta - Frank Dicksee - 1884

Questo breve monologo di Giulietta, che ha la forma di un sonetto se si contano i quattordici versi di cui è composto, è una delle scene più famose del teatro, con lui sotto la finestra di lei a contemplare la sua incantevole bellezza, una classica e sempre meravigliosa immagine sia che il sentimento sia corrisposto o meno, basti pensare all'eroe romantico protagonista del Rosso e il nero di Stendhal che osserva la finestra dell'amata, Giacomo Leopardi nella Recanati di inizio Ottocento al cospetto della luce accesa nella dimora di Silvia, oppure Cesare Pavese, che attende sotto alla pioggia, sino ad ammalarsi, "il suo amore ballerina".
Amori come questi, a prima vista, non possono certo essere ostacolati da impedimenti, leggi, muri, tanto meno da un nome, come ci fa capire lo stesso Romeo: «Sulle ali leggere dell'amore ho superato queste mura: non ci sono limiti di pietra che possano impedire il passo all'amore, e ciò che l'amore può fare, l'amore osa tentarlo».

L'unico ostacolo, fatale, è quello della morte, che sia in Shakespeare che in Dante corteggia l'amore per tutta la durata della narrazione, a cominciare proprio dal primo bacio, per arrivare sino alla scena finale con i due amanti uniti nella reciproca disperazione sul sepolcro.

Giulietta

Cosa c’è qui?

Una coppa stretta tra le mani del mio solo amore?

Capisco, è stato il veleno la sua fine immatura.

Ah, scortese! L’hai bevuto tutto,

senza neanche lasciarne una goccia amica

per aiutare anche me? Bacerò le tue labbra.

Forse su di esse c’è ancora del veleno

capace d’uccidermi con questo conforto.

Le tue labbra sono calde!

Le mani, le labbra: sono tutti elementi già incontrati nella scena del ballo che qui ritornano quasi come uno scherzo della cattiva sorte. Giulietta e Romeo muoiono per un bacio, così come Paolo e Francesca.

Romeo e Giulietta - Joseph Wright of Derby - 1790

Perché l'unica soluzione, se il proprio sentimento è inviso al destino, è la celebrazione nell'eternità, nonostante la dannazione, del tema di Amore e Morte tanto caro alla letteratura romantica e di ogni secolo, che trova in queste due storie le più alte manifestazioni.

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense.


Bibliografia

  • La Divina Commedia. Inferno - Dante Alighieri - Mondadori
  • Romeo e Giulietta - William Shakespeare - Garzanti
  • Shakespeare e l'amore - Carlo Cattaneo - Mondadori
  • La scrittura e l'interpretazione. Volume 3 - Palumbo Editore