Di Marco Catania

L'altra faccia del Risorgimento

L'altra faccia del Risorgimento

Qui si fa l'Italia o si muore.

La frase attribuita al generale Giuseppe Garibaldi, autore della leggendaria impresa dei Mille, ricorda bene come ad ogni grande vittoria corrisponda sempre una sconfitta, spesso destinata ad essere dimenticata, cancellata dalle narrazione dei vincitori o a rimanere nei ricordi maggiormente malinconici e dolorosi.
Si tratta della sfortunata storia di re Francesco II di Borbone, ultimo sovrano delle Due Sicilie, il quale visse il tragico epilogo di una lunga pagina di storia, costretto ad abbandonare Napoli a causa dell'annessione al Regno d'Italia di Vittorio Emanuele II e a vivere in esilio, come accadrà anche agli stessi Savoia, in questi anni sugli altari per il processo di unificazione nazionale, quando Umberto II - vittima delle colpe del padre Vittorio Emanuele III durante il regime fascista e la Seconda guerra mondiale - sarà costretto anch'egli a lasciare il proprio paese.
La storia, come è noto, è destinata tragicamente e in modo beffardo a ripetersi, basti ricordare che poco prima dell'unità italiana, in pieno Risorgimento, le sconfitte dell'enigmatico Carlo Alberto di Savoia lo avevano portato all'esilio nel 1859, anno in cui suo figlio Vittorio Emanuele gli successe come Re di Sardegna, riuscendo in poco tempo - aiutato da personalità di primo piano quali d'Azeglio, Cavour e lo stesso Garibaldi - a liberare l'Italia e a compiere il sogno risorgimentale, trasformando i Savoia da sovrani di un piccolo regno subalpino in una vera e propria potenza europea con capitale Roma, la città eterna.

La vita politica di Francesco II comincia nel maggio 1859, quando ad appena ventitré anni sale al trono a seguito dell'improvvisa scomparsa del re suo padre, Ferdinando II, un sovrano che aveva dovuto attraversare una fase di grandi cambiamenti storici e politici, affrontando le rivoluzioni del 1848. Dapprima aperto al cambiamento e disposto a concedere la Costituzione ancor prima di Carlo Alberto, finì poi per ripiegare su posizioni assolutiste che incisero profondamente sul destino del Mezzogiorno e del Regno delle Due Sicilie. Quando il Piemonte di Carlo Alberto sarà infatti sconfitto dalle truppe austriache nel corso della Prima guerra d'indipendenza, il nuovo sovrano Vittorio Emanuele, trattando con il maresciallo Radetzky, si impegnò nel mantenere lo Statuto Albertino quale costituzione, divenendo celebre da questo episodio come il "Re galantuomo" e scalando posizioni, nonostante l'insuccesso, quale punto di riferimento per il movimento unitario.
A Napoli cominciò al contrario un periodo di declino, causato dall'isolamento internazionale e dai ripensamenti del sovrano, scelte che porteranno al triste epilogo del regno nel 1860, una crisi vissuta ingiustamente, per via di un ostile destino, da Francesco II, capace però di sopportare le avversità della fortuna con silenziosa fermezza, dignità e coraggio.
Descritto come timido e insicuro, taciturno, incapace di decidere e preoccupato - nonostante la rigida educazione propria di un principe ereditario - di essere inadeguato al ruolo, il nuovo re, ancora ragazzo, veniva chiamato affettuosamente "Franceschiello" dai napoletani, soprannome con cui gli si rivolsero poi i suoi denigratori in tono ironico e dispregiativo, sull'onda del mito e della celebrazione del Risorgimento.
Francesco, che mai si sarebbe aspettato di regnare tanto presto, non avrà nemmeno il tempo per lasciare il segno nelle pagine dei libri di storia, travolto dalla parabola risorgimentale e dall'Impresa dei Mille di Garibaldi, che porranno fine a quello che era il regno più grande dell'Italia pre-unitaria. Pagherà così le decisioni paterne e il fardello della storia proprio come accadrà a Umberto II per quanto concerne la dinastia sabauda, in una malinconica sorte che li accomuna negli oltre trent'anni che sconteranno lontani dalla patria. Al pari di Umberto, anche re Francesco aveva sofferto nel corso della giovinezza la figura del padre, soprattutto a causa della perdita della madre, che mai aveva conosciuto in quanto venuta a mancare nel dare alla luce il figlio.
Allo sbarco quasi incontrastato delle camicie rosse in Sicilia, Francesco II, in un tentativo disperato di salvare il regno, richiamò in vigore la Costituzione del 1848, sperando di conquistarsi le simpatie liberali, ma la situazione era ormai compromessa e nel Mezzogiorno si respirava un clima di sfiducia da fine regime, alimentato dal malcontento popolare per le condizioni sociali. L'apertura democratica finì così solo per mostrare la debolezza della monarchia borbonica, ormai succube e rassegnata spettatrice del progetto unitario di Vittorio Emanuele.
Per un ulteriore scherzo del destino, Francesco era anche imparentato con la dinastia sabauda, essendo cugino del re piemontese da parte di madre, la devotissima Maria Cristina di Savoia, che la Chiesa ha recentemente proclamato beata.
Vittorio Emanuele propose inizialmente al cugino di dividere la penisola in due potenti Stati di cui sarebbero stati i rispettivi sovrani, spartendosi i territori appartenenti allo Stato Pontificio. Francesco tuttavia - non meno devoto di sua madre e dipinto come bigotto - non avrebbe mai osato schierarsi contro al pontefice. Così, quando Garibaldi entrò a Napoli accolto come un liberatore, senza che nessuno fosse più disposto a battersi per la corona borbonica, Francesco II capì che era già giunto per lui il momento della fine, scegliendo di lasciare la capitale.
L'estremo gesto dei fedelissimi di Re Francesco fu il ripiegare a Gaeta, nel sud del Lazio, dove si rifugiarono e cercarono di resistere a fianco del sovrano e della bella regina consorte Maria Sofia di Baviera, una donna determinata e dal carattere forte, soprannominata "Aquiletta bavara" da Gabriele d'Annunzio, che si distinse nel corso dell'assedio di Gaeta da parte delle truppe garibaldine per il supporto donato ai soldati borbonici, prodigandosi personalmente in soccorso dei feriti, come testimoniano le parole del sovrano: «Ho fatto ogni sforzo per persuadere S.M. la Regina a separarsi da me, ma sono stato vinto dalle tenere sue preghiere, dalle generose sue risoluzioni. Ella vuol dividere meco, sin alla fine, la mia fortuna, consacrandosi a dirigere negli ospedali la cura dei feriti e degli ammalati; da questa sera Gaeta conta una suora di carità in più».
La strenua ed ostinata resistenza di Gaeta - dove l'esercito di Francesco II mostrò con valore, anche se tardivamente, la volontà di difendere il regno dall'assalto delle truppe sardo-piemontesi - fu dovuta probabilmente all'opera di convincimento della stessa Maria Sofia nei riguardi del marito, che sino ad allora si era invece mostrato rassegnato alla sconfitta e all'epilogo della dinastia, convinto di come opporre resistenza fosse solo un'operazione di guerra fratricida. L'assedio di Gaeta, che deriverebbe dunque da un ripensamento del re, costò notevolmente in termini di vite umane, tuttavia fu l'ultimo gesto coraggioso di un sovrano che, riscattando indecisioni e tentennamenti, respingeva con fierezza gli invasori dalla propria fortezza, l'ultimo gesto con cui si concludeva - per lo meno non in maniera disonorevole - la lunga storia di "un regno che è stato grande".

Costretto alla resa e a firmare la capitolazione, re Francesco lasciò l'estremo baluardo di Gaeta trasferendosi via mare insieme alla moglie verso lo Stato Pontificio, sotto la protezione di Pio IX, in un addio che questa volta richiama la partenza per l'esilio verso l'Egitto, nel 1946, di Vittorio Emanuele III e della regina Elena del Montenegro. Dirà con saggezza Francesco II: «I Re che partono ritornano difficilmente sul trono, se un raggio di gloria non abbia indorato la loro sventura e la loro caduta».

Nonostante il tramonto del Regno delle Due Sicilie e l'avvento del Regno d'Italia, non furono in pochi a rimpiangere sin da subito il recente passato, in particolare i contadini che, a causa delle difficili condizioni economiche e sociali - nonché l'obbligo di una dura e severa leva militare per la quale dovettero rinunciare al lavoro nei loro campi - cominciarono ad insorgere e a dare voce ad un forte malumore. Le ribellioni di chi si sentiva tradito dal processo di unificazione diedero inizio a quello che le autorità del Regno definirono "brigantaggio", un fenomeno destinato a durare a lungo nella storia dell'Italia unita. Bande di contadini si unirono così in nome della restaurazione di Francesco II e della difesa dei diritti del pontefice.
In tale contesto, risuonavano amaramente le parole di Re Francesco: «Voi sognate l'Italia e Vittorio Emanuele, ma purtroppo sarete infelici. I napoletani non hanno voluto giudicarmi a ragion veduta; io però ho la coscienza di avere fatto sempre il mio dovere, ad essi rimarranno solo gli occhi per piangere».

Sino alla braccia di Porta Pia, nel 1870, Francesco e la moglie rimasero a Roma, alloggiando prima al Quirinale ospiti di Pio IX e in seguito presso Palazzo Farnese, vivendo con amarezza la decisione dei principi ereditari Umberto I e Margherita di Savoia di trasferirsi per qualche anno proprio a Napoli, nell'intento di rafforzare il senso di appartenenza alla corona nel Mezzogiorno.
I due ex sovrani borbonici si trasferirono poi a Parigi, recandosi sovente anche in Baviera, terra natale di Maria Sofia. Francesco II osserverà dunque da lontano le vicende dell'Italia unita, vedendo succedere al rivale Vittorio Emanuele il figlio Umberto, anch'egli destinato ad una drammatica fine con cui si aprirà il XX secolo.
In esilio, Francesco si legò ancor di più alla moglie, con la quale condivideva una visione aristocratica della vita e un affetto sincero alimentato dal destino avverso condiviso, ma anche dal dolore per la perdita dell'unica figlioletta, venuta a mancare ancora in fasce, vicenda che conferisce ancor più malinconia e compassione alla sventura dei due regnanti. Struggendosi nel ricordo del triste passato e nelle ingiustizie del presente, Francesco - che conduceva un'esistenza semplice - era dedito a lunghe letture, visite culturali, allo scrivere o al disegnare piccoli quadretti paesaggistici napoletani, trovando conforto nella salda fede cattolica.
L'ultimo dei Borbone morirà senza lasciare eredi in un freddo inverno del 1894 ad Arco di Trento, allora sotto il dominio austro-ungarico, dove era solito recarsi per delle cure termali. Solamente novant'anni più tardi le sue spoglie troveranno pace nella Basilica di Santa Chiara a Napoli, luogo di sepoltura dei sovrani della dinastia borbonica.

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Francesco II e la Regina Maria Sofia lasciano la fortezza di Gaeta: è la fine del Regno delle Due Sicilie e l'inizio della storia dell'Italia unita.

Bibliografia:
  • L'ultimo re di Napoli. L'esilio di Francesco II di Borbone nell'Italia dei Savoia - Gigi Di Fiore - UTET
  • La regina del Sud. Amori e guerre segrete di Maria Sofia di Borbone - Arrigo Petacco - Mondadori
  • Un regno che è stato grande. La storia negata dei Borboni di Napoli e Sicilia - Gianni Oliva - Mondadori
  • O Roma o morte. 1861-1870: la tormentata conquista dell'unità d'Italia - Arrigo Petacco - Mondadori
  • 1861. La storia del Risorgimento che non c'è sui libri di storia - Giovanni Fasanella; Antonella Grippo - Sperling & Kupfer
  • Il senso del tempo. Volume 2 - Alberto Mario Banti - Editori Laterza

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