Di Marco Catania

Il regio Quirinale

Il regio Quirinale

Tra le mura di uno dei palazzi più noti di Roma, il Quirinale - testimone del potere e custode della nostra storia - il tempo sembra essersi fermato, narrandoci gli sfarzi del passato e i suoi segreti, in un luogo la cui piazza, ritratta in innumerevoli disegni e dipinti, è uno degli affacci più suggestivi sulla città eterna, da cui si può scorgere quell'infinita e unica bellezza che si perde sino alla vista della cupola della Basilica di San Pietro, vetta della cristianità. Così la descrive nella prima metà dell'Ottocento il viaggiatore francese Stendhal nelle pagine di Passeggiate romane: «Tornando da villa Ludovisi, abbiamo sostato a lungo in piazza di Monte Cavallo, ci sembra una delle più belle di Roma e del mondo. È piuttosto irregolare; è il rimprovero che le muovono gli sciocchi dal gusto educato. Ci si trova di fronte la facciata laterale del palazzo del papa con il portone davanti al quale se ne stanno seduti su alcune panche gli otto o dieci svizzeri di guardia al sovrano. A destra il palazzo della Consulta, a sinistra un ripido pendio oltre il quale si scorgono i profili di tutti i grandi edifici di Roma, infatti si è sull'estrema propaggine del colle del Quirinale circa all'altezza della cupola di San Pietro, che si vede nitidamente dall'altro lato della città e fa un'impressione incredibile».

Il potere spirituale del pontefice si intreccia così con il potere dello Stato, come fu nel corso della storia, quando a seguito dell'unificazione nazionale e poi della breccia di Porta Pia - il 20 settembre del 1870 - l'allora pontefice Pio IX fu costretto a lasciare il Quirinale per trasferirsi al Palazzo Apostolico in Vaticano, in attesa dell'arrivo dei sovrani sabaudi, nuovi inquilini del palazzo.
Eppure la storia del Quirinale regio fu alquanto particolare, sicuramente poco fortunata perché destinata a cominciare tardi e a concludersi presto, come se il presagio di Vittorio Emanuele II di Savoia, timoroso e restìo nel prendere possesso di una residenza appartenuta per secoli ai pontefici, fosse il segno di una parentesi storica il cui epilogo sarebbe stato uno dei più amari, quando Umberto II, il "Re di maggio", dovette lasciare troppo presto la propria patria e le stanze del palazzo del potere, pagando per tutti gli errori del regime fascista di Benito Mussolini e della Seconda guerra mondiale.

La lunga storia del Quirinale comincia a fine Ottocento sotto il pontificato di Gregorio XIII, che decise di costruire una villa sul colle adibita a residenza estiva dei papi, i quali saranno ben trenta prima dell'arrivo della monarchia. Ogni pontefice aggiungerà del suo al palazzo, come nel Seicento Urbano VIII Barberini, che chiese un progetto a Gian Lorenzo Bernini per la loggia sopra il portone principale da cui impartire le benedizioni, dalla quale si affacceranno anche i regnanti in occasione di ricorrenze importanti o matrimoni a corte.
Così la residenza estiva dei pontefici, la cui sede ufficiale era invece il Laterano, divenne negli anni interesse artistico di committenti e alcuni tra i più grandi architetti e pittori, da Carlo Maderno e Domenico Fontana sino a Ferdinando Fuga, da Guido Reni a Pietro da Cortona.

A inizio Ottocento le armate francesi occuparono Roma per ordine di Napoleone Bonaparte, che per dimostrare la sua indipendenza dal papato fece arrestare Pio VII proprio nelle sale del Quirinale, trasferendo la sua sede in Francia. L'intenzione dell'imperatore dei francesi, ostacolata solamente dalla crisi e dalla decadenza politica e militare a cui andò incontro, era quella di servirsi del Quirinale quale sede imperiale, ma con la sua sconfitta Pio VII ebbe modo di ritornarvi accolto da una folla festante.

Come è noto, conclusa l'unificazione nazionale nel 1861 con la proclamazione del Regno d'Italia, bisognerà attendere il 1870 perché Roma divenni la capitale, quando la breccia di Porta Pia sancì la fine del potere temporale del papa-re. Per avvicinarsi alla città eterna, il Parlamento decise per un provvisorio trasferimento della capitale da Torino a Firenze nel 1865, dove la residenza della corte di Vittorio Emanuele divenne Palazzo Pitti. Il sovrano, completata definitivamente la parabola risorgimentale con l'annessione di Roma, procrastinò il suo ingresso nella nuova capitale sino a inizio 1871, quando fu quasi costretto da un violento alluvione che aveva portato all'esondazione del Tevere a visitare la città per portarvi sostegno e conforto.
Nel frattempo si era stabilito che il Quirinale sarebbe divenuto di pertinenza dello Stato, destinato a residenza del suo sovrano, il quale vi entrò ufficialmente - vinta la superstizione di alloggiare in un edificio contestato dal papa - nel luglio 1871, accolto trionfalmente da un fastoso corteo. Il "Padre della Patria" volle vicino a sé al Quirinale il reggimento dei Corazzieri, la guardia d'onore dei re, ancora oggi al servizio del Presidente della Repubblica e nati già qualche anno prima in occasione delle nozze del principe ereditario Umberto I.
Ancora sotto il regno di Vittorio Emanuele, che sarà l'unico dei Savoia a morire in Quirinale, il palazzo conobbe un periodo felice per merito dei principi Umberto e Margherita di Savoia, che abiteranno gli appartamenti del limitrofo Palazzo della Consulta, occupandosi però dei ricevimenti e delle cerimonie a corte, impegni del protocollo che annoiavano terribilmente Vittorio, dedito più volentieri all'arte della guerra, alla caccia e alla buona cucina.
Quando nel 1878 venne a mancare il primo sovrano dell'Italia unita, le sue spoglie furono trasferite con grande commozione popolare dal Quirinale al Pantheon, dove trovarono definitiva sepoltura, così al trono salì Umberto, in un periodo di piena Belle Époque che vide il Quirinale protagonista della vita aristocratica che gravitava attorno alla famiglia reale grazie alla dedizione della regina Margherita, in grado in poco tempo di rendere il palazzo la corte più ambita e prestigiosa d'Europa, luogo di ritrovo per intellettuali, letterati, pittori e musicisti.
Lo sfarzo regale dei ricevimenti, che avevano funzione mondana e politica, raggiungeva l'apice dello splendore in occasione delle visite ufficiali di sovrani o capi di Stato di altri paesi, tutti impressionati positivamente dal lustro che la famiglia sabauda era stata capace di conferire alla nuova sede del potere. Il merito era appunto da attribuire al gusto raffinato della regina, interprete magistrale del ruolo assegnatole quando dovette sposare il cugino Umberto, che per tutta la vita rimase però legato all'amata Eugenia Bolognini duchessa Litta, una dama milanese. Forse per tale ragione il sovrano preferiva al Quirinale la residenza estiva monzese, dove si recava spesso per incontrare la favorita e dove troverà tragicamente la morte nel regicidio del 29 luglio 1900.

Il drammatico episodio aprì il nuovo secolo all'insegna di tristi presagi e forti inquietudini, sentimenti che sembrarono riversarsi tra le mura del palazzo romano, che man mano vide spegnersi le proprie luci e ridursi a semplice ufficio di rappresentanza. La scelta era quella di Vittorio Emanuele III, l'ancor giovane re che ereditò il trono da Umberto, che tuttavia - ligio al lavoro e preoccupato per l'anarchia di anni tanto difficili, nonché vittima di un complesso di inferiorità a causa della bassa statura - ridusse drasticamente gli invitati e il numero di balli o pranzi fastosi presso la corte, morigerato a tavola e parsimonioso economicamente qual era.
La regina madre Margherita non poteva tollerare tali decisioni, convinta di come il dovere dei regnanti fosse anche quello di rappresentanza, occasione di dimostrare il proprio prestigio, ma ormai il suo tempo era finito e le scelte spettavano al figlio, sicuramente non ostacolato nei suoi intenti dalla regina Elena del Montenegro, una donna dai modi semplici dedita maggiormente alle mansioni familiari, come l'accudire con tenerezza i figli.
I due coniugi, destinati a regnare per quasi mezzo secolo sull'Italia, sceglieranno la più borghese Villa Savoia quale dimora familiare, mentre il Quirinale divenne un vero e proprio ufficio dove si recava quotidianamente il sovrano per svolgere le sue mansioni.
Nel corso della Prima guerra mondiale la regina Elena decise di adibire i saloni del Quirinale a corsie d'ospedale per i feriti di guerra, trasformando in modo radicale le stanze della reggia. Qualche anno dopo, a inizio 1930, in pieno regime fascista, il Quirinale ospitò solennemente nella Cappella Paolina il matrimonio del principe Umberto con Maria José del Belgio, i regnanti con cui si concluderà la storia della corona sabauda e del Quirinale regio.
A questo punto la storia lascia spazio alle ipotesi di come sarebbe potuta essere un'istituzione monarchica retta da Umberto II, distante dall'ideologia del duce, e da Maria José, donna di cultura ostile al fascismo e ai tedeschi, che proprio nel suo appartamento privato del Quirinale incontrava segretamente intellettuali, filosofi e scrittori vicini a posizioni antifasciste. L'ostinazione di Vittorio Emanuele III nel rimanere sul trono non permise tuttavia ai due eredi di agire nelle loro convinzioni che, probabilmente, sarebbero risultate decisive e avrebbero avuto la loro ricompensa.
Per via di un destino avverso Umberto II, che sarebbe stato forse il sovrano che più di tutti avrebbe voluto alloggiare al Quirinale - essendo cattolico nonché sensibile al bello - poté dunque alloggiare presso il palazzo solamente durante la luogotenenza, a seguito della liberazione della capitale, e poi nel mese e poco più che si trovò a regnare. L'epilogo arrivò quando, a seguito del contestato ed incerto esito del Referendum istituzionale, gli italiani scelsero la Repubblica, decisione per la quale Umberto, scongiurando una possibile guerra civile, preferì abbandonare il Quirinale, partendo verso l'esilio in un malinconico pomeriggio del 13 giugno dell'anno 1946.

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Umberto, in borghese, lascia il cortile del Quirinale salutando i suoi fedelissimi, apprestandosi a raggiungere l'aeroporto di Ciampino da cui partirà per il Portogallo.

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