Lavandare

Un aratro dimenticato nel mezzo di una maggese, ossia un campo metà coltivato e metà lasciato incolto a seconda del ciclo stagionale, diviene per Giovanni Pascoli l'emblema dell'universale condizione di solitudine che pervade l'io poetico e l'intera umanità. La vita quotidiana e il motivo popolare campestre divengono grazie a Pascoli, sull'esempio del suo maestro Giosuè Carducci, protagonisti di una poesia alta, nella quale si rivela anche l'immagine della perdita di una persona amata. Anche qui la condizione del dramma è universale, in quanto inizialmente viene espresso al femminile, come se fosse una lavandaia, intenta a sciacquare i panni in un rivolo d'acqua, a ricordare il proprio personale dolore vissuto alla partenza della persona amata, ma che, tenendo presente l'esperienza giovanile del poeta, riflette anche in questo caso, come in tante altre sue liriche, il proprio traumatico passato.

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.

L'aratro e l'erpice (secondo Millet) - Vincent Van Gogh - 1890