Giambologna

L'anno 1568 il critico aretino Giorgio Vasari pubblicò la seconda edizione delle sue Vite, nella quale fece in tempo ad inserire una breve ma fondamentale biografia dello scultore fiammingo Jean de Boulogne, un "giovane veramente rarissimo" da poco conosciuto in Italia con il nome di Giambologna. Vasari, che già aveva contribuito al diffondersi del mito di Michelangelo Buonarroti, divenne così uno dei primi testimoni dell'affermazione di quello che fu l'altro maggiore scultore del Cinquecento, capace di donare a Firenze uno dei suoi simboli principali dopo il David michelangiolesco e il Perseo di Benvenuto Cellini.
Circa dieci anni dopo la morte di Vasari, il Giambologna scoprì il meraviglioso Ratto delle Sabine, capolavoro collocato nella Loggia dell'Orcagna in piazza della Signoria, cuore politico e artistico del capoluogo toscano. Era l'anno 1583 e tra l'entusiasmo generale, regnante sulla città il granduca Francesco I de' Medici, Giambologna toccò l'apice della propria carriera, gloria profetizzata con incredibile lungimiranza dal Vasari: «Farà per quel Principe opere grandi e d'importanza, nelle quali averà largo campo di mostrare la sua molta virtù».

La straordinaria novità di una scultura come questa è rappresentata dalla pluralità di vedute che presenta; l'osservatore è infatti quasi costretto a una visione rotatoria, sollecitato magicamente a girare intorno all'opera per volontà dell'autore stesso, che diede vita ad un gruppo che si avvolge in un movimento elicoidale proprio come una spirale.
Nella grande tradizione scultorea, si pensi a Donatello o Michelangelo, ma anche agli antichi, ogni scultore aveva sempre immaginato una singola veduta frontale, invece Giambologna rovesciò questo assioma che aveva governato sino ad allora le arti plastiche, offrendo allo spettatore una fruizione dalle molteplici angolature, ognuna delle quali permette di scoprire diversi punti di vista.

L'opera nacque dalla volontà dell'autore, afferma lo scrittore fiorentino Raffaello Borghini nel suo trattato d'arte Il Riposo, di superare se stesso respingendo le accuse di chi lo credeva uno scultore capace solamente di piccole cose, ma non di una composizione di grandi dimensioni, esposta al giudizio del pubblico.
«Giambologna, punto dallo sprone della virtù, si dispose di mostrare al mondo che egli non solo sapea fare le statue di marmo ordinarie, ma eziandio molte insieme, e le più difficili che far si potessero».
Così l'artista, con questa impresa nata da un unico blocco marmoreo, non solo dimostrò il suo valore contro ogni detrattore, ma fu capace di competere nientemeno che con il Perseo del Cellini, alla sinistra della statua, e col David michelangiolesco originariamente collocato di fronte a Palazzo Vecchio dove oggi è sostituito da una copia.

Il virtuosismo del fiammingo sembra anticipare il gusto, tipicamente seicentesco, per la dinamicità e la spettacolarità, aprendo la strada alle suggestive innovazioni del Barocco, da Francesco Mochi per arrivare al Gian Lorenzo Bernini della Galleria Borghese di Roma. L'opera assume infine un significato universale in quanto non nacque da un tema ben preciso, scrive sempre il Borghini, ma dalla volontà dell'artista di dimostrare il proprio valore: «e così finse, solo per mostrar l'eccellenza dell'arte e senza proporsi alcuna historia, un giovane fiero, che bellissima fanciulla a debol vecchio rapisse».

Solo successivamente, dunque, si pensò che la scultura facesse riferimento all'episodio mitico del rapimento delle sabine da parte dei romani, tuttavia l'opera, come ogni capolavoro nella storia universale delle arti, eleva il suo significato a qualcosa di ben più alto, proprio come il David o il Perseo, facendosi metafora del contrasto fra l'aspirazione dell'essere umano verso l'alto, verso il divino, e la repressione verso il basso causata dalla condizione terrena.

Un ritratto del Giambologna realizzato intorno al 1590.

Nato nel 1529 a Douai, nelle Fiandre, Jean de Boulogne giunse a Firenze poco più che ventenne, a seguito di un soggiorno romano di notevole importanza per l'osservazione dell'antico, del Michelangelo della Cappella Sistina e del Raffaello Sanzio delle Stanze.
Nella Firenze di Cosimo I de' Medici farsi notare come scultore era una sfida a dir poco complessa; non bisognava infatti fare i conti solamente con il modello di Michelangelo, ma superare la concorrenza di autori già affermati come Baccio Bandinelli, che godeva del favore del granduca, e Benvenuto Cellini, che scopriva al pubblico nel 1554 il suo Perseo con la testa di Medusa per piazza della Signoria proprio quando Giambologna era appena giunto in città.

Il colossale Ercole e Caco del Bandinelli e sullo sfondo il Perseo del Cellini.

Il merito di Giambologna fu di non scoraggiarsi dinanzi alle difficoltà, anzi di trarre l'occasione proprio da un contesto che poteva essere sfavorevole, all'ombra di quei nomi ormai già noti pubblicamente e celebrati per le loro imprese. Il giovane artista fiammingo visse invece questo confronto come uno stimolo per raggiungere e, perché no, superare tali modelli. La piena affermazione sul prestigioso palcoscenico fiorentino fu, necessariamente, graduale e piuttosto lenta, tuttavia lo scultore seppe sfruttare tutte le opportunità che si presentarono.
All'anno 1560 è datato un primo tentativo di imitare i grandi scultori attraverso un Bacco in bronzo, oggi al Museo nazionale del Bargello, col quale si confrontava per tema con il celeberrimo Bacco michelangiolesco realizzato in età giovanile, nonché col Bacco di Iacopo Sansovino, anch'esso al Bargello, ma allo stesso tempo si cimentava con un materiale, il bronzo, la cui leggendaria fusione del Perseo, avvenuta pochi anni prima e narrata nell'autobiografia del Cellini, era già divenuta una pagina di storia.

Sempre nel medesimo anno sembrò presentarsi l'occasione di una prima commissione pubblica quando Cosimo de' Medici decise di bandire un concorso per la realizzazione di una fontana in piazza della Signoria, progetto al quale si dedicarono l'anziano Bandinelli, il tenebroso Cellini e Bartolomeo Ammannati, protetto del Vasari nonché allievo del Bandinelli. La fontana, secondo la volontà del duca Cosimo, sarebbe stata sormontata da una maestosa figura del dio del mare, Nettuno, ricavata da un unico blocco di marmo di Carrara. Alla fine, come è noto, vinse il modello dell'Ammannati, il quale però, a seguito di un lungo lavoro, deluse le aspettative.
Giambologna, invece, pur sapendo di avere poche possibilità di vittoria, seppe cogliere l'occasione per farsi notare con un modello che lo stesso Vasari non esitò a ritenere migliore di quello dell'Ammannati, guadagnandosi in tal modo l'attenzione di numerosi committenti. Tra questi quello di maggior prestigio fu sicuramente Francesco I de' Medici, futuro granduca di Toscana alla morte del padre Cosimo sebbene solo per un breve periodo.

Francesco I ritratto da Alessandro Allori intorno al 1560.

Il gruppo marmoreo richiesto dal principe al Giambologna fu una raffigurazione di Sansone e il filisteo, oggi a Londra, che nel 1568 doveva essere quasi compiuto perché citato dal Vasari nelle Vite. Ispirata a un'idea michelangiolesca, il cui bozzetto è visibile a Firenze in Casa Buonarroti, la composizione mostra alcuni aspetti fondamentali nella produzione del fiammingo, come la costante volontà di misurarsi col maestro, con la sua monumentalità e perfezione anatomica, in un vortice di corpi che denota l'esigenza di una veduta plurale da parte dello spettatore al fine di essere pienamente appagato dalla contemplazione dell'opera.

Ulteriore esempio di queste sculture che presentano svariati punti di vista, capacità che toccherà l'apice con il Ratto delle Sabine, è Firenze vittoriosa su Pisa, raffinata allegoria politica dedicata alla famiglia medicea per la cui realizzazione l'artista fu coadiuvato da uno dei migliori allievi della sua bottega, Pietro Francavilla. L'opera è oggi custodita al Bargello, ma inizialmente era stata pensata per una prestigiosa collocazione, accanto al michelangiolesco Genio della Vittoria del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio.

Altra caratteristica tipica del Giambologna fu la spiccata tendenza al naturalismo, che trova la sua massima espressione in quella sorta di assemblea di uccelli in bronzo che adornano il verone - ossia un loggiato del Museo del Bargello - capolavoro davvero unico per verismo che ci permette di contemplare un'incredibile fauna di volatili tra cui un falcone, un gufo, un pavone e persino un tacchino, quest'ultimo animale raro ed esotico in quel tempo.

Ancora al Bargello, nel cortile, si può ammirare l'energico e colossale Oceano, uno dei marmi più imponenti a cui lavorò Giambologna, opera che inizialmente coronava la fontana dell'Oceano nel Giardino di Boboli, presso Palazzo Pitti, dove oggi è sostituita da una copia.

Si aprì poi, per l'artista - come dimostra l'opera precedente - un periodo nel quale si dedicò alla realizzazione di alcune bellissime fontane, una delle quali, certamente la più importante, gli permise di dar vita a quel progetto rimasto solamente un modello per la fontana di piazza della Signoria, vale a dire la fontana del Nettuno per piazza Maggiore a Bologna. Sostenuta da una complessa architettura ricca di figure allegoriche, la statua del Nettuno presenta una posa dinamica nettamente diversa da quella dell'Ammannati, che con la sua staticità e mancanza di espressività era divenuto l'emblema di un manierismo ormai anacronistico.

In concomitanza con i lavori per la fontana, negli anni che vanno dunque tra il 1563 e il 1566, Giambologna si cimentò in vari bozzetti che porteranno a futuri capolavori; egli non era infatti solito disegnare, bensì abbozzare dei modelli che diventarono essi stessi oggetti di studio e di collezionismo. Uno di questi è il Mercurio del Museo civico di Bologna di cui Vasari scrisse: «e di bronzo ha fatto [...] un Mercurio in atto di volare, molto ingegnoso, reggendosi tutto sopra una gamba et in punta di piè». Riprodotto e replicato in numerosissime copie, anche dall'autore stesso, il modello portò nell'anno 1580 alla realizzazione del celeberrimo Mercurio volante del Bargello, di cui esistono ulteriori due copie al Louvre di Parigi e a Vienna.

Tra le più fortunate e rappresentative opere dell'autore, il Mercurio è singolarissimo nel suo genere, dinamico nella posa e pronto a spiccare il volo grazie alle ali che ha ai piedi e alla bocca di Zefiro da cui esce un soffio di vento su cui il giovane poggia il piede. Il profondo significato che custodisce questo bronzo è probabilmente quello dell'origine divina del sapere, che è dono di Dio e scende dal cielo illuminando coloro che hanno l'ardire di conoscere ed elevare i propri interessi verso la bellezza.
Disparate sono le fonti d'ispirazione tratte dal Giambologna per tale composizione, da un bronzetto di Mercurio del Cellini per il basamento del suo Perseo sino alla Loggia di Psiche di villa Farnesina a Roma, dove Raffaello e Giulio Romano dipinsero in uno dei pennacchi della volta un Mercurio che richiama il bronzo dello scultore manierista nel movimento, nel petaso e nelle piccole ali ai piedi.

Tra il 1570 e il 1575 Giambologna partecipò ai lavori di decorazione dello Studiolo di Francesco I a Palazzo Vecchio, originalissimo scrigno di tesori del manierismo fiorentino, luogo intimo e privato direttamente collegato con il Salone dei Cinquecento dove il granduca, colto sovrano innamorato delle arti, poteva studiare nella più completa tranquillità dedicandosi ai propri interessi, come quelli esoterici e alchemici.

Tra le pitture presenti troviamo artisti come l'Allori e Santi di Tito, tutti guidati dal Vasari, ma anche piccole sculture tra cui un Apollo del fiammingo, alto poco meno di un metro, in cui notiamo un'esasperazione della figura serpentinata che appare ripresa dal Genio della Vittoria michelangiolesco, movimento alimentato dalla torsione elegante del busto e dalla posa della gamba destra, che poggia il piede sul basamento.

Ormai pienamente affermato, Giambologna, oltre ai soggetti mitologici, cominciò a occuparsi anche a quelli religiosi, che ci portano fuori dai confini di Firenze, dapprima a Lucca, nella cattedrale di San Martino, e poi a Genova.
Nel Duomo di Lucca diede vita, nella seconda metà degli anni Settanta del Cinquecento, a quello che è il suo esordio in questo campo, ossia l'Altare della Libertà, che celebra l'indipendenza cittadina da Pisa. La struttura è a serliana, presenta cioè l'accostamento di tre nicchie nelle quali si vedono al centro la figura di Cristo risorto, mentre ai lati i santi Pietro e Paolo affidati dal Giambologna all'allievo Francavilla.

Giambologna si riservò l'esecuzione del Cristo trionfante che vince la morte, opera che questa volta trova il suo riferimento più stretto nella Resurrezione del Bronzino, pala d'altare per la basilica della Santissima Annunziata di Firenze.

Presso l'Aula magna dell'Università degli studi di Genova troviamo alcune figure allegoriche di Virtù in bronzo, tra cui qui sotto si vedono la Temperanza e la Fede, opere squisitamente raffinate tra le più alte nella carriera del fiammingo, che anche in questo caso si fece aiutare dal Francavilla.

Il percorso attraverso la carriera di Giambologna ci riporta in conclusione a Firenze, in piazza della Signoria, con la Statua equestre di Cosimo I e di nuovo nella Loggia dei Lanzi con il gruppo scultoreo di Ercole e il centauro Nesso.
La statua celebrativa di Cosimo, che si trova alla sinistra della fontana dell'Ammannati, fu commissionata all'artista dal granduca Ferdinando I de' Medici, fratello di Francesco I, che si avvalse dell'arte, come già aveva fatto suo padre, per mostrare la grandezza di Firenze, celebrandone il potere e il prestigio. La posa sicura del granduca è un richiamo a tale magnificenza, col signore di Toscana che avanza sicuro sul suo cavallo verso la gloria, scrutando con lo sguardo l'orizzonte.

Nello stesso periodo nacque la scena di Ercole e il centauro Nesso, voluta nel 1594 da Ferdinando e completata nel 1600, otto anni prima della morte dell'ormai anziano Giambologna. Situata proprio dietro al capolavoro del Ratto delle Sabine, l'opera vede nuovamente la collaborazione di Pietro Francavilla, che si concentrò nell'esecuzione dei volti di Ercole e della sua vittima. L'episodio, tratto dalle fatiche di Ercole, spicca ancora una volta per dinamismo, attenzione all'anatomia e pluralità di vedute, caratteristiche uniche di un autore, simbolo di Firenze, che aprì la straordinaria strada al nuovo secolo, quello del Barocco.

Note

Le fotografie del Ratto delle Sabine con Palazzo Vecchio sullo sfondo, del verone del Bargello, di Oceano, Mercurio e di Ercole e il centauro Nesso sono state scattate a Firenze nel luglio 2023.

Bibliografia

  • Giambologna - Donatella Pegazzano - Giunti
  • La scultura raccontata da Rudolf Wittkower. Dall'antichità al Novecento - Einaudi
  • Arte in primo piano. Manierismo, Barocco, Rococò - Giuseppe Nifosì - Editori Laterza
  • Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti - Giorgio Vasari - Newton Compton editori