De vulgari eloquentia

Sei poeti toscani - Giorgio Vasari - 1544

Come il Convivio, composto negli stessi anni, il De vulgari eloquentia di Dante concentra l'attenzione sul discorso della dignità del volgare, nel tentativo di renderlo la lingua della cultura come lo era il latino. Per la riuscita del suo intento il Poeta sceglie di scrivere l'opera in latino, al contrario del Convivio, rivolgendola così ai dotti, ai quali voleva dimostrare la propria tesi in sostegno del volgare mostrando anche un'ottima conoscenza del latino.
Secondo il progetto originario il trattato doveva essere composto di quattro libri, tuttavia il lavoro di Dante fu interrotto a metà del secondo libro, probabilmente per l'evolversi del grandioso progetto della Divina Commedia.
Il primo libro sviluppa alcuni argomenti di linguistica, come l'origine delle lingue e delle loro diverse tipologie. Il frazionamento linguistico deriva dalla punizione divina inflitta all'umanità a seguito della costruzione della torre di Babele, che portò alla suddivisione delle lingue europee in tre famiglie, vale a dire greca, germanica e neolatina. Dante pone l'attenzione a quest'ultima, compiendo un'ulteriore distinzione in lingua d'oc, quella dei provenzali, d'oil, dei francesi, e di , ossia il volgare italiano. A seguito di tali premesse comincia la ricerca del "volgare illustre", dunque di una lingua adatta ad uno stile sublime, che fosse consona a trattare temi elevati e di notevole importanza. Per farlo, il Poeta procede passando in rassegna ben quattordici varietà di parlate regionali, constatando che nessuno di questi dialetti, che egli chiama volgari municipali, possieda i requisiti necessari ad imporsi sugli altri.
Per l'Alighieri il "volgare illustre" doveva essere "cardinale", proprio come un punto cardine attorno a cui ruotano tutti gli altri dialetti; "aulico" perché sarebbe quello parlato a palazzo se in Italia vi fossero una reggia ed un monarca; infine "curiale" in quanto consono ad un contesto come quello di un tribunale supremo, se esso esistesse in un'istituzione politica civile e unitaria.
Si nota come le disquisizioni linguistiche si intreccino con il contesto politico italiano, tema che sarà ampiamente sviluppato nel Monarchia, e come il Poeta auspichi la nascita di una lingua comune per il paese, di cui ebbe sempre una visione profondamente unitaria.
Il secondo libro definisce gli stili di comico, quello più umile, e tragico, il più alto e consono a trattare argomenti quali le armi, gli amori e la virtù. La forma metrica in cui meglio può esprimersi questo stile è, per il Poeta, la canzone di endecasillabi, la più adatta allo stile tragico per la sua lunga tradizione che dai trovatori provenzali, passando per i siciliani, i seguaci di Guittone d'Arezzo e gli stilnovisti, giunge sino alle canzoni dantesche del Convivio.

Il dipinto

L'aretino Giorgio Vasari, celebre biografo e architetto, realizzò nel 1544 un quadro di notevole interesse nel quale si vedono ritratti alcuni poeti toscani con al centro, nella sua consueta palandrana rossa, l'Alighieri. Il Sommo Poeta mostra un libro all'amico Guido Cavalcanti, quasi ignorando l'altro personaggio in primo piano, Francesco Petrarca, il quale era un convinto sostenitore della superiorità del latino. Sicuro di meritarsi immortalità grazie alle opere redatte in latino, il Petrarca diverrà celebre per il Canzoniere, scritta interamente in volgare. Sembra che il Vasari abbia voluto ricordare, in questo gioco d'immaginazione, la rivalità stilistica fra i due poeti più importanti della nostra letteratura. Alle loro spalle vediamo Giovanni Boccaccio, che prese come modello di riferimento l'Alighieri e fu amico del Petrarca, mentre sullo sfondo a sinistra completano la scena altri due rimatori, probabilmente Cino da Pistoia e Guittone d'Arezzo.